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Ketama126: «Il Paese è allo stremo, spero in una rivoluzione»

Torna con un pezzo cupo, 'Aquile', perché è così che vede il mondo durante la pandemia. Un po' è incazzato, un po' rassegnato. «Penso a un futuro all'estero dove artisti e maestranze sono rispettati»

Foto: Chiara Mirelli

Rieccolo, Ketama126. Ed è ancora incazzato. Con l’Italia «che non si fila gli artisti», con i «politici che stanno facendo morire la gente», con lo Stato che «fa errori madornali invece di proteggerci dal Covid». Il mese scorso aveva detto che, con un altro anno senza live, sarebbe stato costretto a cambiare Paese o mestiere. Puntualizza di nuovo: era più che altro una provocazione per portare l’attenzione sui lavoratori dello spettacolo dimenticati dalle istituzioni, «ma tanto la gente capisce solo ciò che vuole capire». E allora amen. Guardiamo oltre, per esempio ad Aquile, il nuovo singolo del trapper trasteverino scritto la scorsa estate, guardando fuori dalla sua finestra al centro di Roma. Esce oggi, ma è nato mesi fa: corsi e ricorsi. Ma che vedeva da lì? «Una situazione paradossale».

Spiegati.
Qui a Trastevere veniva tutta Roma a farsi una passeggiata, come sempre. Così le strade erano piene di gente, ma c’era pure la polizia che la braccava, e intorno i locali chiusi. Per me è sintomo di una situazione che, così come la stanno gestendo, non funziona. Infatti il pezzo è abbastanza ansiogeno e cupo, anche per via del suo sound scuro, che a me piace molto e in questo momento sta andando anche parecchio di moda. Mi sembrava il momento giusto per farlo uscire.

C’è il suono delle campane.
L’ho registrato da casa mia: qui, quando suonano, si sentono benissimo, e ti giuro se suonano lo fanno per dieci minuti di fila, tanto che mi costringono a interrompere tutto. Quindi sì, sono state registrate per caso, ma le ho tenute per restituire l’atmosfera lugubre del momento.

Quindi non è neanche casuale che il pezzo sia uscito adesso.
È uno dei primi pezzi nuovi che ho scritto, l’ultimo che è nato a Roma. Poi sono andato a Ibiza un mese, a settembre, a comporne altri.

Perché?
Perché chiuso in casa stavo impazzendo, e ho voluto fare questa vacanza-lavoro per uscirne. E poi a livello professionale avevo perso l’ispirazione, non riuscivo più a scrivere un cazzo: quando rappo parlo della mia vita, di ciò che mi succede; in un anno di lockdown, praticamente, non mi è successo niente. Non avevo niente da dire. Viaggiando fino a Ibiza invece mi sono sbloccato. La chiave per fare musica, in questo momento, per me è non parlare troppo della situazione attuale, non concentrarmi sulla mia vita. È meglio evadere da questo contesto, viaggiare con la fantasia. In questo senso, Aquile è anche un po’ un’eccezione, specie rispetto ai pezzi che ho fatto in Spagna.

Quando usciranno?
Credo che un disco ci sarà solo quando la situazione mi consentirà di fare di nuovo dei concerti. Io non posso permettermi dei live seduti e distanziati, non sono i miei. E un disco adesso sarebbe inutile. Quindi credo che per i prossimi mesi proseguirò per singoli. Un artista serve o a farti ragionare o a farti emozionare. In pandemia, direi che è meglio occuparsi del secondo aspetto.

Tu come la vivi?
Non la vivo. Mi sono quasi completamente arreso, rassegnato. Ne aspetto la fine, come tutti. Cerco di non pensarci. Perché se ci penso, se penso a tutti i casini che stanno facendo, mi viene il veleno.

Cioè?
Lo Stato, piuttosto che accelerare, coi suoi errori sta rallentando il percorso per uscirne. Penso ai ritardi sui vaccini, ma anche alla gestione degli ospedali, compresi i focolai al loro interno. Tanti morti si potevano evitare. Intanto, però, chiedono sacrifici alla gente, che loro puntualmente vanificano. I ristoratori non lavorano da un anno, noi dello spettacolo lo stesso. Di noi non è mai fregato niente a nessuna istituzione, intendiamoci. Non veniamo proprio presi in considerazione. Ma almeno i ristoratori… con tutto quello che pagano di tasse, mi stupisco che non vengano in aiuto neanche a loro. Eppure dicono sempre che mandano avanti l’Italia, mah.

Anche tu paghi parecchio di tasse, immagino.
Quasi la metà, in cambio di… niente. Vedo un Paese allo stremo, e temo che succederà un casino quando i soldi finiranno, se non si sbrigano coi ristori. La fame è la cosa peggiore. Spero in una rivoluzione, ma temo non accadrà. Per il resto, faccio finta di non vedere cosa abbiamo intorno. E penso a un futuro all’estero, perché lì perlomeno come artista il mio lavoro viene rispettato. Anche se sono romano, e per noi romani andarcene da qui non è mai facile.

A novembre avevi detto che stavi valutando degli investimenti in Kenya.
E ci sono stato! Mi è piaciuto. Ma sto valutando anche altri posti in cui buttare i soldi (ride). Fare il musicista è un po’ come fare il calciatore, ma peggio. Nel senso che puoi lavorare solo fino a una certa età, ma comunque guadagnando meno di loro. Non lo so, magari la mia generazione cambierà tutto: ma ho appena compiuto 29 anni e non mi vedo come rapper a 50, mi pare proprio brutto, non so; sicuramente continuerò a fare il produttore, però con i soldi che sto facendo adesso è ovvio che penso a sistemarmi. Anche solo per arrivare a un momento in cui farò questo mestiere solo per passione, senza pensare ai soldi. E in Italia, per sistemarti come musicista, devi fare i milioni veri, sennò non se ne parla. Al contrario, in posti dove il costo della vita è più basso, l’opportunità di viverci è concreta. Poi figurati: a me piace pure l’estate, ergo un posto come il Kenya sarebbe perfetto.

Foto: Chiara Mirelli

Avevi anche detto che avresti cambiato mestiere o Paese se fossi rimasto un altro anno senza concerti.
L’ho detta un po’ come una provocazione. Certo qui c’è disattenzione culturale nei confronti degli artisti. E dire che ne abbiamo avuti di importanti, da sempre. È un paradosso italiano, uno dei tanti. Il punto dietro la dichiarazione era che se io che sono un cantante – uno che, insomma, rispetto ai colleghi a livello economico non può lamentarsi – lamento una situazione del genere, tu dovresti essere portato a pensare subito alle maestranze. Che hanno stipendi normalissimi, per non dire che sono sottopagati. Poi la gente capisce quello che vuole capire, ma io parlavo soprattutto per loro. Prima o poi si ricomincerà, e bisognerà ricominciare dal vivo nel vero senso del termine. Il problema è che non si sa mai quando, ci sono continui rimandi.

E la cosa come ti fa sentire?
Mi fa incazzare, perché abbiamo politici che non sono capaci di fare un cazzo. In giro per il mondo si fanno già esperimenti, da alcune parti hanno anche riaperto. Nel resto d’Europa, dove invece hanno chiuso le discoteche, comunque pagano gli esercenti per restare chiusi. Qui manca tutto: mancano l’iniziativa di ripartenza, i vaccini e i sussidi adeguati. Ci sta che alcune categorie non possano ripartire, non lo sto negando. Ma cazzo devi pagarle per stare ferme. Invece qui fanno morire la gente.

Non sei ottimista neanche per un po’, insomma.
Pessimista per natura, figurati. La gente mi ferma per strada dicendomi che ha i biglietti per i miei live e che aspetta di venirmi a sentire; io gli dico lo stesso, che aspetto anch’io. Prima poi aggiungevo di chiederlo a Conte; ora invece a Draghi. Ma non vedo una grossa differenza fra i due governi, anche se ammetto che su questo non sono molto informato. Preferisco sentire gli umori della strada, che non sono buoni. Per il resto, sto solo cercando di estraniarmi dal dibattito, di resistere. Spero solo di non essere troppo vecchio per quando si potrà tornare a suonare.

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