Kerry King: «Non ho bisogno degli Slayer» | Rolling Stone Italia
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Kerry King: «Non ho bisogno degli Slayer»

Intervista senza reticenze al chitarrista. Il primo album solista ‘From Hell I Rise’, la fine della band, gli scazzi con Tom Araya e Dave Lombardo («per me è morto»), i trumpiani, i poliziotti fascistelli: «Riuscite a dormire la notte?»

Kerry King: «Non ho bisogno degli Slayer»

Kerry King

Foto: Andrew Stuart

Kerry King s’è messo alle spalle gli Slayer da un sacco di tempo. Con loro, ha ridefinito il concetto di metal per una generazione di fan. Nel 2018, quando Tom Araya gli ha detto che aveva chiuso, King ha «cambiato marcia».

«Mi sono detto: io non ho chiuso un bel niente», spiega a Rolling Stone. «L’unico rimpianto è aver mollato in quel momento, tipo Peyton Manning che vince il Super Bowl e si ritira. Per non dire che subito dopo il mondo è andato a puttane». Fa una pausa, sospira e dice: «E insomma è strano».

Seduto in fondo alla sala d’un ristorante messicano a Lower Manhattan, vicino all’appartamento in cui s’è trasferito con la moglie alla fine del 2021, King sorseggia diet cola, acqua e tequila. Indossa una maglietta nera con un pentagramma coperto dalla lunga barba nera. La testa e le braccia tatuate, riconoscibilissime, lo farebbero notare da qualsiasi metallaro che entrasse. Fuori fa freddo, ma lui, stoico come sempre, sembra non sentirlo mentre si appoggia alla finestra e parla della vita dopo gli Slayer.

Il 17 maggio King pubblicherà il primo album solista From Hell I Rise. Se vi aspettate una brusca virata rispetto agli Slayer, magari verso territori finora inesplorati come le ballate d’amore, vi sbagliate di grosso. Il primo singolo Idle Hands si apre con un riff esplosivo, che fa tremare le ossa del cranio, prima d’assestarsi su un riff incalzante che sarebbe perfetto nell’amatissimo Reign in Blood degli Slayer. Nel pezzo, il cantante Mark Osegueda (Death Angel) narra il ritorno di King (“La mia rivoluzione inizia così / La violenza distribuisce la mia vendetta”) per poi inveire contro Dio e dichiararsi un Anticristo: “Le mani oziose sono l’officina del diavolo”.

È una canzone esattamente come tutte quelle che King, 59 anni, ha scritto negli ultimi 40 anni. L’album ne conterrà altre 12 come questa. Oltre a King e Osegueda, ci suonano Paul Bostaph, batterista di lunga data degli Slayer, Kyle Sanders, ex bassista degli Hellyeah, e Phil Demmel, ex chitarrista dei Machine Head e dei Vio-lence. Il gruppo, che debutterà dal vivo in primavera, ha registrato l’album con Josh Wilbur, produttore dei Lamb of God.

King vede l’album come una prosecuzione del suo lavoro di scrittura in Repentless degli Slayer e la title track è una delle due canzoni che ha recuperato dalle session di quel disco. «Non ero soddisfatto dell’esecuzione, quindi ho deciso di tenerla da parte per un altro album degli Slayer che non è mai arrivato» (l’altro pezzo che risale al periodo di Repentless si intitola Rage).

Tra un sorso e l’altro delle sue bevande e un boccone di chips con guacamole, King si mette comodo. «Non ho fretta, quindi non sentirti in dovere di tagliare corto», dice. Risponde con calma per tre ore alle domande sullo scioglimento degli Slayer, sui rapporti con gli ex membri Tom Araya e Dave Lombardo, sui rimpianti dopo la morte del chitarrista degli Slayer, Jeff Hanneman. Si rallegra per la sensazione di libertà sperimentata ricominciando da zero con una nuova band.

È già pronto per un altro album solista, dato che ha ancora quattro pezzi non utilizzati risalenti a Repentless e sei outtake provenienti dalle session del nuovo disco. E sta ancora scrivendo. «Non me ne sto fermo a far nulla».

Kerry King - Idle Hands (Official Audio)

Cosa significa Idle Hands per te?
Stare con le mani in mano è quel che ho fatto negli ultimi quattro anni. Questo titolo e From Hell I Rise (riemergo dall’inferno, ndr) fotografano il mio stato d’animo degli ultimi quattro anni e mezzo.

Dopo aver fatto così tanti dischi con gli Slayer avevi già idea di cosa sarebbe stato From Hell I Rise mentre lo scrivevi?
Erano almeno un paio d’anni che avevo in mente la sequenza dei brani. L’ho strutturato come se fosse la scaletta di un concerto. E quindi con un’intro, perché devo arrivare sul palco presentato da qualcosa, e poi il primo pezzo che fa esplodere tutto. Subito dopo ci va qualcosa di heavy: in questo caso è Residue. Poi Tension che è una canzone inquietante e Two Fists che è in stile punk anni ’80. Crucifixation è il pezzo forte: una specie di thrash estremo anni ’80 con un grande stacco nella parte centrale.

Come funziona il tuo processo creativo, ora?
In modo grezzo. Suono con un amplificatore grosso come uno stivale e registro con questo (indica il suo telefono, nda). Mi sintonizzo sul football o su SportsCenter, mi estranio e lascio che le mani vadano da sole. Devo solo essere pronto a registrare quel che esce.

Perché hai deciso di chiamare la band Kerry King?
Per molto tempo l’idea era chiamarsi King’s Reign, che è davvero una figata. Però poi sono andato dai ragazzi e ho detto: «Non sono un tipo vanitoso. Non voglio che compaia il mio nome». Così per un po’ abbiamo parlato di chiamarci Blood Rain, ma non funzionava. E, ogni volta che mi veniva in mente un nome figo, scoprivo che l’aveva già usato qualche band misconosciuta dell’Europa dell’Est. Alla fine il nome è diventato Kerry King perché mi piace il logo.

È vero che avete inciso l’album in due settimane?
Le tracce di batteria sono state fatte in cinque giorni: io e Paul eravamo presissimi da questa cosa.

Con gli Slayer avete mai registrato in questo modo?
No. God Hates Us All è stato fatto in nove giorni, escluse le parti vocali, che hanno richiesto tre mesi di lavoro. Per questo album, Paul è arrivato più preparato di quanto io l’abbia mai visto in tutto il tempo che suono con lui. Dopo la batteria, io mi sono occupato delle chitarre ritmiche e ho fatto tutti gli assoli in un giorno: ne ho incisi 18 di fila. Il giorno seguente sono tornato a ritoccarne sette o otto, ma erano fatti.

Come hai messo assieme la band?
Sapevo che Paul sarebbe stato con me. La mia idea originaria era avere Gary Holt (il chitarrista degli Slayer, nda), ma più mi allontanavo dagli Slayer, più pensavo che se ci fosse stato anche lui la gente avrebbe chiamato questa band Slayer Light o Baby Slayer. Lo diranno comunque, eh, ma non avevo alcun bisogno di alimentare questa polemica. Questo per dire che non c’è stato alcun litigio tra me e Gary.

E Phil Demmel come è entrato nel progetto?
Alla fine del 2018 ha suonato con gli Slayer, sostituendo Gary per quattro show. Quel che lui ha fatto per noi io non riuscirei farlo per nessuna band al mondo. Praticamente ha avuto solo due giorni per osservarci suonare dal vivo e imparare il set. Io non sarei stato in grado di farlo neppure per i Judas Priest, pur essendo un loro grandissimo fan. Così Bostaph mi ha detto: «Che ne dici di Demmel?». Gli ho mandato un messaggio, mi ha risposto: «Sì, ho finito con i Machine Head l’altro ieri». Perfetto.

Come interagite, tu e Phil?
Lui è più tecnico di quanto pensassi. Viene dal thrash californiano, come me. Mi chiedeva sempre: «Pensi che questo assolo sia troppo melodico?». E io: «È il tuo assolo. A meno che non sia banale da fare schifo, non lo eliminerò». Mi piace il suo contributo al disco, anche se non è stato molto grande, visto che non gli ho fatto suonare la chitarra ritmica.

Gli Slayer nel 2001. Da sinistra: Jeff Hanneman, Kerry King, Paul Bostaph, Tom Araya. Foto: Mick Hutson/Redferns

Mi ha sorpreso vedere che c’è un secondo chitarrista, pensavo che avresti suonato tu tutte le chitarre e il basso.
L’ho già fatto. Non in questo disco, ma fin dai primi anni ’90 ho suonato io tutte le chitarre ritmiche e tutte le parti di basso con gli Slayer perché il mio compare (Tom Araya, nda) non lo faceva.

Mark Osegueda è incredibile. È stata una scelta naturale prenderlo come cantante?
Mark è stato della partita fin dal principio. Ma non ho fatto pressioni. Mi dicevo: «Stiamo a vedere cosa succede». Se, per dire, mi avesse chiamato Rob Halford dei Judas Priest dicendomi: «Mi piacerebbe essere il vostro cantante», non avrei certo rifiutato.

Hai mai carezzato l’idea di fare un disco tipo Tony Iommi, con cantanti diversi in ogni pezzo?
No, perché non è riproducibile dal vivo. Metti che Rob Halford canti un pezzo: chi lo canta poi dal vivo? Volevo fare un album alla vecchia maniera, con una band fissa e niente ospiti.

Si vociferava che Phil Anselmo avrebbe cantato nel disco. È una possibilità che è stata presa in considerazione?
Se ne è parlato. Il mio management, il mio promoter, la mia etichetta volevano tutti Phil. Lui è un buon amico, ma ho sempre pensato che non fosse la persona adatta. Questo non ha nulla a che fare col suo talento. Semplicemente, sapevo che non era lui quel che ci voleva. Quando senti Mark capisci che è lui quello giusto. Se Philip fosse stato l’uomo giusto, avremmo fatto i concerti nelle arene, avremmo potuto suonare roba nuova, pezzi dei Pantera e pezzi degli Slayer, i fan sarebbero andati fuori testa. Comunque tutto è sfumato quando è arrivata la faccenda della reunion dei Pantera.

Ho sentito dire che avresti partecipato alla loro reunion.
Non confermo, né smentisco.

Qualche anno fa ho visto Mark cantare delle cover dei Minor Threat e dei Cameo insieme ad alcuni membri dei Metallica. Era diverso da quello che fa nei Death Angel, ma suonava benissimo.
Lui è versatilissimo e nel disco ha fatto in modo di cantare diversamente da come fa nei Death Angel. Non credo di essere arrivato a sfruttare neppure il 50% di ciò che è in grado di fare. In Residue ha cantato così bene che ho dovuto chiedergli: «È un livello sostenibile per te? Non voglio che spacchi su disco e che poi ogni tre concerti resti senza voce». Ha giurato che ce la può fare.

I cantati fanno molto Slayer.
Be’, sono io che faccio gli arrangiamenti vocali. Tom sapeva urlare come un pazzo, è un merito che gli riconoscerò per sempre. La sicurezza di Mark magari a tratti vacillava, ma si è presentato ogni cazzo di giorno ed è sempre preciso, ogni cazzo di secondo di ogni canzone… e questo non vuole essere un attacco a Tom, non è questo il punto.

Slayer - last concert Los Angeles - Angel of Death & Slayer says Goodbye

Già che stiamo parlando di Tom: come hai scoperto che voleva mollare?
Eravamo in tour e, mentre un ragazzo lo intervistava, ha detto qualcosa tipo: «Devo vedermi con Kerry e fare un discorso con lui prima di parlare del prossimo disco». Avrebbe potuto dire semplicemente «forse non farò un altro disco» oppure parlarne con me prima di dire una cosa del genere. Intanto io pensavo: «Oh, cazzo, cosa avrà da dirmi?». Ed era: «Ho chiuso». Non me l’aspettavo. Ma se hai preso questa decisione, non cercherò di farti cambiare idea perché comunque non ci metterai più tutto te stesso.

Ha spiegato perché ne aveva abbastanza?
Credo semplicemente per il logorio della vita on the road. Penso che volesse starsene a casa. Nessuno di noi va in cerca di fama e lui ancor di meno. E quando c’era Jeff [Hanneman], era una specie di eremita. Scappava dalla notorietà. Io la tollero. Qualcuno deve pur farlo.

Mi chiedevo se lo scioglimento degli Slayer sia derivato dal fatto che tu e Tom avete idee politiche molto diverse. Sembravi piuttosto arrabbiato quando Tom ha postato Trump sull’Instagram ufficiale del gruppo.
Ero incazzatissimo, ma non abbastanza da mollare la band. Gli ho detto: «Amico, per questa roba hai i tuoi social personali. Sei l’unico fra noi a cui frega qualcosa di questo idiota, se lo posti lì, è come se gli offrissimo il nostro sostegno». Io non sono per Trump e neppure Gary e Paul lo sono. Quella era la sua opinione, non la nostra. Io non avrei mai fatto una cosa del genere.

Mi chiedevo se sotto ci fosse qualcosa di più profondo.
Be’, io e Tom non siamo mai stati sulla stessa lunghezza d’onda. Se io voglio un frullato al cioccolato, lui lo vuole alla vaniglia. «Kerry, di che colore è il cielo?». Blu. «Tom, di che colore è il cielo?». Bianco. Siamo diversi. E andando avanti con gli anni la differenza è aumentato. Vedrò ancora Tom? A lui piace abbastanza la tequila e io sono un grande appassionato di tequila, quindi mi farò un bicchiere con lui e poi ognuno andrà per la sua strada. Non ci frequenteremo perché siamo molto diversi. Ma insieme abbiamo fatto grande musica e grandi concerti.

Hai più parlato con Tom da quando avete fatto l’ultimo concerto?
No, nemmeno un messaggio o un’e-mail. Ho sentito tutti gli altri membri della band al telefono, via SMS o per e-mail. Se Tom mi chiamasse, probabilmente risponderei. Forse dipenderebbe dal motivo per cui mi chiama. Diciamo che al momento non gli auguro la morte.

Hai chiesto a Tom il permesso di riregistrare, per From Hell I Rise, le canzoni che avevate scartato dalle session di Repentless?
Non ha nessuna importanza. Le ho scritte io. E se ci fosse stato qualcosa di suo l’avrei cambiato, come i Metallica, nei primi tempi, con le cose di Mustaine. Ma il materiale rimasto era tutto mio, quindi non ci sono problemi.

L’unico altro membro originale degli Slayer ancora vivente è Dave Lombardo, ma la band l’ha licenziato nel 2013 dopo che aveva pubblicato su Facebook un post sulle questioni amministrative del gruppo. Hai parlato ancora con lui?
No, Lombardo per me è morto.

Non sapevo che i rapporti fossero così deteriorati.
Ha scritto quella tirata mentre noi volavamo verso l’Australia e sapeva che non avremmo potuto replicare per 14 ore. Mi ha tradito: io ero l’unico a volerlo tenere nella band. Tom lo voleva cacciare già da prima e Jeff era appena stato morso da un ragno (da cui ha contratto un batterio mangia-carne che l’ha costretto a fermare le attività dal vivo, nda), quindi non suonava molto con noi. Ho detto: «Abbiamo bisogno di Dave. I fan non capiranno se lo sostituiamo subito». E poi c’è stata la cosa dell’Australia. Mi ha tradito, gli ho detto che ero io che lo avevo voluto tenere. Poi ho pensato: che vada a fare in culo.

Cos’era successo di preciso?
Lui è molto influenzabile. Dava ascolto alla sua avvocata, pensava che noi avessimo la grana dei Metallica, cosa che non è vera, cazzo. Lei gli diceva un sacco di cazzate e lui credeva di dover avere più di quanto gli spettava. Avrebbe fatto meglio a parlare con qualcuno che conosceva la situazione e che non lo abbindolava con delle stronzate per far soldi intascando una commissione.

Dopo che Jeff ha dovuto lasciare la band, gli equilibri negli Slayer sono mutati? Sembra che fosse lui a fare da ago della bilancia tra te e Tom.
Sì, per molto tempo le decisioni le abbiamo prese noi tre, anche se Paul era con noi da tanto. Ad esempio, il voto di Jeff è stato decisivo per riportare Paul nella band, ed è stata una buona cosa (Bostaph ha sostituito Lombardo nel 1992 e ha suonato con gli Slayer fino al 2001, quando Lombardo è tornato. È rientrato nella formazione nel 2013, nda).

È stato difficile continuare senza Jeff?
Abbiamo sempre pensato che sarebbe tornato per qualcosa di più di quel cazzo di show del Big Four che ha fatto. Ma non è andata così. Credo che l’ultimo anno in cui è venuto in tour con noi sia stato il 2010. Voleva riprendere, gli ho spiegato che se non era al 100%, la gente se ne sarebbe accorta. Ne abbiamo parlato prima del Big Four. Aveva imparato quattro canzoni. Ne ho parlato con Tom e gli ho detto: «Ascolta, è nel nostro interesse, e in quello di Jeff, che faccia solo due canzoni perché la gente sarà così entusiasta di vederlo che manco lo sentirà suonare». Sono andato a comunicarlo a Jeff e lui mi ha risposto: «Ok, ma io ho imparato quattro canzoni». Gli ho detto che alla terza canzone la gente avrebbe iniziato a capire che non stava suonando al 100%. Probabilmente è stata la conversazione più difficile della mia vita. «È così, amico», gli ho detto, «ti sto facendo un favore». Col senno di poi, nessuno ha mai avuto niente di male da dire su quello show, perché non ce n’è stato motivo.

Jeff Hanneman e Kerry King nel 1991. Foto: Ann Summa/Getty Images

Tu e Jeff, per come suonavate insieme, sembravate le due facce di uno stesso sound.
Credo che sia un’osservazione acuta. Eravamo praticamente uguali. La pensavamo diversamente su un paio di cose, ma all’inizio era difficile distinguerci. Con l’età è diventato più facile.

Ha influenzato il tuo songwriting?
Jeff ha avuto una fase punk, mentre io non mi sono mai interessato al genere perché mi piacevano i grandi cantanti come Dio e Halford. Grazie a Jeff, ho capito il punk e da allora so come incorporarlo nella mia musica. Anche in questo disco ci sono un paio di canzoni che definirei punk: Everything I Hate About You è thrash punk e Two Fists è groove punk anni ’80.

Sei riuscito a dirgli addio prima della sua morte?
No. Sapevo che era in ospedale. Sapevo che era messo male, ma non credevo che fosse così grave. Stavo provando con Paul per qualcosa e un giorno il mio manager mi ha chiamato dicendomi: «Abbiamo perso Jeff». Non me l’aspettavo. Viveva a un’ora da me, ma in una direzione in cui non andavo mai, anche se lo so che questa non è una scusa. Non sai mai quando arriva la fine, e poi ti trovi a dire: «Cazzo. Vorrei esserci andato ieri». Ma non è successo.

Gli Slayer hanno chiuso del tutto? Tu e Tom fareste un altro album degli Slayer?
Posso dire di no al 100% perché ho un nuovo progetto e, anche se non sono gli Slayer, suonano come gli Slayer. Faccio ancora la musica che mi piace, quindi non ne ho bisogno. E comunque i dischi non si vendono più. Sono solo un mezzo per far sapere alla gente cosa suonerò quando arriverò in città. Gli Slayer torneranno in tour? Sono abbastanza certo che non succederà. Gli Slayer potrebbero tornare a suonare? È un’eventualità. Mi sto adoperando perché accada? No, mi sto preparando per iniziare la mia carriera, quindi chi vivrà vedrà. E ho intenzione di dedicarmi a questo per i prossimi dieci anni almeno.

I testi del nuovo album si concentrano su due bersagli ben precisi, gli stessi dei tempi degli Slayer: il cristianesimo e il governo. Perché?
Non è un segreto che io pensi che le religioni siano solo una stampella per le persone che hanno bisogno di qualcosa, nelle loro vite, per tirare avanti. In America questa stampella è Gesù. In tutto il mondo ci sono molti Gesù, in tante forme e con vari nomi. Credo che sia tutto un mucchio di stronzate e l’ho sempre pensato. Mi stupisce che così tanta gente abbia bisogno di qualcosa che la ispiri. Io ho la mia famiglia e i miei amici.

Riesci a immaginare una società senza governo o cristianesimo?
Un governo è necessario. Vorrei solo che esistesse un manuale che spiega come governare bene. Uno dei versi che ho scritto per Toxic dice: “Troppe persone passano troppo tempo a imporre la loro opinione agli altri”.

Cosa ti ha ispirato a scriverlo?
La sentenza Roe vs. Wade. Il punto più importante che vorrei evidenziare, in questa intervista, è che ogni singolo giudice della Corte Suprema che ha assunto l’incarico durante il mandato di Trump ha mentito per ottenere il suo lavoro. Dei giudici del cazzo hanno mentito per avere il loro posto a vita. Che grandissima merda è? Hanno ribaltato la Roe vs. Wade perché sono stati piazzati lì esattamente per questo. Mi ci è voluto molto tempo per metabolizzare il fatto che i nostri giudici della Corte Suprema hanno mentito. Ne parlo in diverse canzoni, come Toxic e Residue.

Anche Rage sembra un pezzo politicizzato. Mark canta: “Fatti alternativi per un Dio alternativo”.
Ricordate quando Trump ha posato con una Bibbia davanti a una chiesa? In Rage il testo parla di ricevere una manganellata in faccia perché Trump, questa persona che non è dotata di intelletto come le persone normali, deve uscire e farsi una foto davanti a una cazzo di chiesa con una Bibbia. Gran parte di Rage parla questo, perché la polizia nelle strade sembrava la Gestapo. Ricordo che hanno spintonato un uomo di 80 anni: è caduto all’indietro e si è rotto la testa.

Io mi chiedo: ma come fate a fare queste cose? Riuscite a dormire la notte? Quel giorno ero avvilito. Mi sono domandato: come puoi assistere a tutto questo, come si può dire che va bene quello che hanno fatto a George Floyd? Non va bene un cazzo. Ecco cosa è diventata la nostra società.

Sei pronto per le elezioni di novembre?
Sono pronto ad andarmene.

Non hai timore di allontanare i tuoi fan trumpiani parlando di queste cose?
Credo che i fan apprezzino la musica. Non penso che interessino le mie idee politiche. Loro hanno le loro idee e io non cerco di dissuaderli. Espongo i fatti. Se vi va di crederci, buon per voi. Se non ci credete, rimanete lì dove siete.

Ho letto che in questo album hai cambiato alcuni testi che parlavano di guerra dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia.
Quella guerra è scoppiata mentre stavo scrivendo diversi testi. Trophies of the Tyrant praticamente parla della guerra in Ucraina, ma anche altri pezzi, come Two Fists, toccavano l’argomento.

Quest’anno compirai 60 anni…
Mi sento ancora giovane. Sono giovane dentro e scrivo ancora musica che mi fa sentire giovane. Detto questo, quando si invecchia succedono delle cose. Se hai un infortunio, il dolore dura più a lungo. Ma questo non si ripercuote sulla musica.

Sei pronto a tornare on the road?
L’altro giorno ho detto a mia moglie: «Non sono mai stato in vita mia a casa per quattro anni e mezzo di fila, quindi sono molto impaziente di tornare a suonare». Ci vorrà del tempo per abituarmi. Ma una volta salito sul palco, sarà divertente.

Da Rolling Stone US.

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