Karma, troppo freak per sopravvivere agli anni ’90 | Rolling Stone Italia
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Karma, troppo freak per sopravvivere agli anni ’90

Storia di un bel fallimento: in occasione della ristampa dell’esordio del 1994, David Moretti spiega perché la band è nata nel momento giusto, ma si è sciolta nel modo sbagliato. Ma c’è una specie di lieto fine

Karma, troppo freak per sopravvivere agli anni ’90

Karma

Foto press

Karma era diverso dagli altri dischi italiani del 1994: era più spiccatamente grunge, con un lirismo ammorbato alla Alice in Chains, suoni possenti alla Soundgarden, vari riferimenti alla filosofia indiana a partire dal nome del gruppo e del disco e dalla ruota del Nataraj (lo Shiva danzante) che appariva in copertina. Pieno di melodie dolenti e intense, è stato registrato quasi per caso al Jungle Sound su insistenza del proprietario Fabrizio Rioda, sull’onda dell’improvvisazione e delle collaborazioni estemporanee come quella con Manuel Agnelli in Nascondimi e con Andrea Scaglia dei Ritmo Tribale in Una stella che cade.

L’album d’esordio dei Karma è stato da poco riedito con due versioni inedite de Il cielo (in versione acustica e piano-violoncello) più per evocare lo spirito di quel periodo che per nostalgia: fare musica dal basso in modo comunitario, il do it yourself, la mescolanza delle arti (musica, arti visive, design, danza, non a caso i Karma si esibivano spesso insieme a una ballerina di danza indiana e un fachiro).

Di tutte le band della scena milanese del periodo, i Karma erano la più pura e quindi quella che ha pagato il prezzo più alto: nel 1996, dopo lo sperimentale Astronotus, si smembrano nel momento in cui altri gruppi cominciano ad attirare un’attenzione più ampia. «Eravamo troppo fricchettoni e persi nel nostro mondo per durare, non avevamo una visione professionale», spiega oggi il cantante David Moretti (che dopo aver lavorato per varie testate italiane, tra cui Rolling Stone e Wired, è ora creative director presso la Apple in California, ndr). Tornano solo nel 2023 col terzo disco K3.

La voglia di rielaborare il passato, però, è tanta e in occasione della riedizione del disco del 1994 Moretti lo fa insieme a noi.

KARMA - Lo Stato Delle Cose (Official Audio)

La ristampa di Karma è la chiusura di un cerchio che era rimasto aperto?
Per certi versi sì. Quando il gruppo si è fermato siamo entrati senza rendercene conto in una lunga pausa che ci è servita per capire esattamente dove dovevamo andare. È assurdo pensare che è durata quasi trent’anni. Il progetto Karma è naufragato proprio nel momento in cui dovevamo stringere i denti, ma avevamo 20 anni, eravamo dei sognatori, fricchettoni senza una vera visione professionale, per cui siamo andati allo sbando. Il lato positivo è che ora torniamo con leggerezza perché, in qualche modo e a fatica, abbiamo elaborato il nostro fallimento.

In che senso?
Negli anni ’90 vivevamo completamente nel nostro mondo che non era quello reale, per cui abbiamo fatto scelte sbagliate, compresa quella di fermarci sul più bello. Il primo album era grunge e figlio di quei tempi. È uscito nel 1994, ma era già finito nel 1992. Astronotus del 1996 era un lavoro sperimentale da fuori di testa e infatti era piaciuto ai musicisti, ma non all’etichetta che non intravedeva un potenziale commerciale. Siamo stati scaricati da Ritmi Urbani e nessuno ci voleva più, perché intanto i tempi erano cambiati. Ricordo le facce contrite dei discografici quando giravo tra le major in cerca di un contratto. A un certo punto non ce l’ho fatta più e ho mollato. Ho fatto altre cose e anche gli altri hanno seguito il loro percorso: Andrea Viti è entrato negli Afterhours, Pacho è andato a suonare con Elio e le Storie Tese e con Morgan, io ho collaborato con Vittorio Nocenzi del Banco del Mutuo Soccorso e con Mauro Pagani. Ci siamo smembrati quando dovevamo perseverare e quello è stato il nostro fallimento.

Karma è nato sull’onda del momento?
Per far capire come si lavorava allora, spiego com’è nata la versione acustica de Il cielo. Ci trovavamo di notte al Jungle Sound, che era casa nostra e senza Fabrizio Rioda noi non esisteremmo. C’erano il fonico Fabio Magistrali e a Patrick Benifei dei Casino Royale che aveva appena finito di suonare nella stanza a fianco. Patrick passa da noi e si mette al piano, mentre Alessandro Branca suona il violoncello e Pacho le percussioni. Improvvisiamo tutti insieme e nasce questa versione intensa del brano rimasta fino ad oggi in un cassetto perché troppo minimale. C’era spirito di collaborazione, si facevano le nottate a suonare e a scambiarsi idee, i featuring capitavano per caso.

KARMA - Il cielo (Piano e Violoncello)

All’epoca vi sentivate parte di una scena?
Non di una scena musicale, ma di una scena controculturale che mescolava gli idiomi artistici: noi ci esibivamo con una ballerina di Bharatanatyam (una danza indiana tradizionale, nda) e un fachiro. Una sera al Leoncavallo abbiamo portato sul palco un sassofonista straniero che avevamo appena conosciuto e abbiamo fatto tutte le canzoni anche con il sax. C’era la gioia di fare musica come un collettivo, c’era una collaborazione trasversale tra musicisti, grafici, videomaker, graffitari, ballerini e attori, una cosa che non c’era nel mainstream.

Dicevi che nel 1996 le major non vi volevano più.
Il 1996 è stato un anno cruciale in cui l’investimento delle major sulla musica alternativa italiana doveva passare il vaglio dei numeri, per cui sottoetichette come la BlackOut della PolyGram e Ritmi Urbani della BMG erano in difficoltà. Ci lasciarono a casa insieme ai Tiromancino. Ricordo che io e Federico Zampaglione ci siamo trovati a Roma davanti a un piatto di pasta a chiederci: «E adesso cosa facciamo?». Con il senno di poi è sopravvissuto chi è rimasto con etichette indipendenti come la Vox Pop prima e la Mescal poi, guidate da veri appassionati. Con la nascita di MTV Italia nel 1997 si apre un altro capitolo per la musica alternativa italiana che conosce una più ampia diffusione, sottoposta però ai dettami del mainstream, ossia i numeri e la creazione di personaggi mediatici. Pochi gruppi a quel punto riescono a stare a galla senza snaturarsi, gli Afterhours sono uno di questi.

Perché loro ce l’hanno fatta?
Manuel Agnelli è stato bravissimo, l’unico in grado di cavalcare quell’onda, un piede dentro e uno fuori dal mainstream. Ha l’attitudine giusta: è una persona molto intelligente con una determinazione incredibile, una chiarezza d’intenti rara, una visione lucida di dove vuole andare. I Karma erano dei cazzoni, dei fricchettoni.

Quanto hanno influito le sostanze psicotrope sulla mancanza di motivazione?
Abbastanza, perché avevamo perso il baricentro. Possedevamo tanta energia, ma facevamo fatica a organizzarla in modo ordinato. Le sostanze facevamo parte del contesto. Si creavano degli allineamenti psicotropi che erano poi soprattutto degli allineamenti umani e artistici. Vivevamo in una sorta di comune. Una volta Neffa ha cantato I messaggeri della dopa da Red Ronnie con il cappellino dei Karma, per sostenerci.

KARMA - Nascondimi (Official Audio)

Ti sei mai chiesto che cosa sarebbero diventati i Karma se non fossero spariti?
Ho detto prima che come progetto abbiamo fallito, tuttavia abbiamo evitato di spegnerci in una lunga agonia. Voglio credere che saremmo stati in grado di evolverci mutando con i tempi un po’ come hanno fatto i Radiohead o i Deftones, interpretando a modo nostro la contemporaneità. Karma, è insito nel nome, è una band che cerca le cose e avremmo continuato a farlo.

In Samsara dite: la vita prende sempre quello che dà. A te che cosa ha preso e che cosa ha dato?
La vita prende il tempo e te ne rendi conto invecchiando, perché quando sei giovane l’orizzonte sembra infinito. Però ti aiuta a contestualizzare il tuo percorso in una prospettiva più ampia. Questo nostro ritorno è la chiusura di un cerchio, un’esenzione dalla morte.

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