Karen O e Michelle Zauner: il potere del no | Rolling Stone Italia
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Karen O e Michelle Zauner: il potere del no

La cantante degli Yeah Yeah Yeahs incontra la musicista (e scrittrice) dei Japanese Breakfast: la loro «connessione cosmica» anche senza essersi mai viste, le comuni origini asioamericane, il bello di infrangere le regole e spiazzare le aspettative, il coraggio di pronunciare un rifiuto

Foto: Kanya Iwana per Rolling Stone US

Un annetto fa Karen O ha visto su Instagram una foto di Michelle Zauner, la frontwoman dei Japanese Breakfast, e si è preoccupata. Era stata scattata durante una pausa del tour infinito a cui Zauner si era sottoposta negli ultimi due anni, che l’ha portata a fare più di 100 fra concerti e ospitate promozionali per supportare il terzo album (nominato ai Grammy) Jubilee e l’autobiografia Crying in H Mart. «Aveva lo sguardo di una che aveva fatto un milione di chilometri», dice Karen O, 44 anni a novembre.

È la fine di agosto quando Karen O e Zauner si siedono in uno studio dell’Arts District di Los Angeles. È la prima volta che s’incontrano di persona. Si sono scambiate messaggi nel periodo dello sguardo-da-un-milione-di-chilometri. «Mi scriveva cose carinissime», dice Zauner, che di anni ne ha 33, «e decisamente alla Karen O. Tipo: se ti andasse di spaccare qualcosa con me…».

Karen scoppia a ridere. Lei, che è la frontwoman della band che ha fondato nel 2000, gli Yeah Yeah Yeahs, sa bene di cosa parla. «Andare in tour può essere sfiancante. E la cosa migliore da fare in situazioni del genere è spaccare qualcosa. Era diventato il nostro segno di riconoscimento: io lo facevo a calci. Aiuta a sciogliere lo stress».

Zauner è cresciuta considerando Karen O un idolo: come lei, è un’americana-coreana che è diventata famosa per la presenza magnetica sul palco (sputare birra sul pubblico non è un fatto raro, per lei) e la tipica spavalderia newyorchese. Gli Yeah Yeah Yeahs di recente hanno pubblicato Cool It Down, il loro primo disco da nove anni a questa parte, e Karen O è ben felice di dispensare qualche consiglio: «Michelle, se ti venisse mai voglia di lamentarti con me di qualcosa, sono la donna giusta».

Karen O: È strano, ma sento una forte vicinanza nei tuoi confronti. Vale anche per te?

Zauner: Uguale. Insomma, credo che abbiamo avuto delle vite simili.

Karen O: Ci sono tante similitudini, ma non spiegano tutto… è anche una questione di alchimia, un legame naturale che senti con qualcuno.

Zauner: Poi entrambe parliamo velocemente, saltando di palo in frasca e usando un sacco di parole superflue. Mi piace pensare: ecco, lo fa anche qualcun altro.

Karen O: Assolutamente. Ho subito capito che sei una persona autentica: anch’io lo sono, pure troppo. Quanto vorrei essere super concisa e affascinare tutti al primo colpo con poche parole. Ma non posso fare a meno di essere me stessa e mi pare di capire che anche tu sei così.

Come avete scoperto la musica l’una dell’altra? Tu, Michelle, in Crying in H Mart ha scritto di aver conosciuto gli Yeah Yeah Yeahs grazie un DVD, quand’eri adolescente.

Karen O: Quel DVD è pazzesco. È pieno di pezzi minori.

Zauner: Sì. Mi vedevo con un tizio e l’unica cosa buona che mi ha lasciato è stata…

Karen O: Quel DVD?

Zauner: Esatto, quel DVD. Era un vostro grande fan. Avevo già visto la copertina di Fever to Tell ed era figa e punk. Le persone mi scrivevano degli Yeah Yeah Yeahs sui loro blog erano immancabilmente più cool di me. E quindi prima ho sentito il nome del gruppo, poi ho visto il DVD. Inizia con Y Control e tu arrivi saltando. Non avevo mai visto una presenza scenica del genere. Non solo da una donna, e una donna di origini asiatiche (cosa che non sapevo di te, allora): non avevo mai visto nessuno controllare così i movimenti, pur comunicando una sensazione di spontaneità e caos. C’è spavalderia, ma anche tanta gioia. E questo è un aspetto delle tue performance che è affascinante ed esaltante. E poi scoprire che sei nata a Pusan…

Karen O: A Seul, in realtà.

Zauner: Seul, giusto! La tua pagina Wikipedia diceva Pusan.

Karen O: Ed è ancora così?

Zauner: Sì.

Karen O: L’avevamo corretta un paio d’anni fa. Mi sa che l’hanno ricambiata.

Zauner: Pusan ti reclama (ride). Allora, quando neppure sapevo che un altro essere umano avesse fatto le mie stesse esperienze, mi è sembrata una connessione cosmica pazzesca.

Foto: Kanya Iwana per Rolling Stone US

Karen O: Leggendo un estratto del tuo libro sul New York Times ho sentito una grande affinità. L’ho poi letto per intero, il libro, ed è pazzesco, non avevo mai trovato un’autobiografia in cui mi identificassi tanto. Non avevo mai letto la biografia di una donna metà asiatica e metà americana che avesse fondato una band. C’erano così tante similitudini fra noi: è stato bellissimo. Anche l’esperienza di andare in Corea con tua mamma, io ho fatto la stessa cosa. È stato toccante leggere un’autobiografia così spudorata e intima, anche perché è scritta da una come me. Mi ha colpita parecchio. Tutti dovrebbero scrivere un’autobiografia da accompagnare ai dischi. Specialmente oggi, per via del modo in cui consumiamo tutto. Tutto ci scivola addosso, come gocce di umidità su una superficie liscia, ed è un peccato. In un disco metti tutto ciò che hai, sangue, sudore e lacrime; ti fai trasportare dove vuole la musica ed è un’esperienza quasi spirituale. Però poi, dato il modo in cui la gente consuma, tutto resta a un livello superficiale. Sono felice tu abbia pubblicato il libro.

Zauner: Cazzo se me la leggerei un’autobiografia di Karen O. C’è quel film (Meet Me in the Bathroom, un documentario in uscita basato sul libro di Lizzy Goodman sulla scena rock di New York nei primi anni 2000, nda). L’hai visto?

Karen O: Sì. Ho anche dato un contributo per fare in modo che rispecchiasse di più…

Zauner: Il tuo modo di essere.

Karen O: Sì, volevo descrivesse quel che avevo vissuto. Perché per la maggior parte della carriera sono stata da sola in mezzo a una marea di maschi.

Zauner: Era una cosa che notavi, allora? O era talmente normale che nemmeno avevi in mente un’eventuale alternativa?

Karen O: Dici il fatto di essere l’unica ragazza? Be’, c’erano anche dei lati positivi nell’esserlo. Per esempio…

Zauner: La fila per andare in bagno.

Karen O: (Ride) Sì. Non c’era mai coda e mi pareva una cosa esilarante. Mi sentivo molto maliziosa e provocatoria, mi piaceva infrangere le regole che dovevano seguire i ragazzi. Ero competitiva e nella mia testa era sempre come se fossi io contro quello che chiamo «una manciata di boy band». Ma sì, in effetti ero sola. Ci sono state molte situazioni in cui avrei voluto avere una mentore, qualcuna a cui domandare: «Ehi, cosa si fa quando ci si sente così?». Un’altra donna che ci fosse già passata. Ma erano pochissime e non c’erano tutte le possibilità di entrare in contatto che ci sono ora. Non si poteva mandare un messaggio privato sui social a qualcuno.

Zauner: Credo che, quando ho iniziato io, la scena fosse meno esclusivamente maschile, ma la cosa si percepiva ancora molto. Le cose sono cambiate davvero solo quando i Japanese Breakfast hanno iniziato a essere conosciuti.

Karen O: Trovo difficile confrontarmi con altre donne nel mio ambito, creare una sorta di cameratismo, perché sono sempre stata troppo isolata. Ma mi riempie di gioia sapere che tu ce l’hai fatta e che band come le Linda Lindas stiano sollevando un bel polverone, senza sentirsi outsider.

Zauner: Siamo cresciute vedendo te, hai aperto la strada a un sacco di gente.

Karen O: Questa cosa mi fa pensare che ne sia valsa la pena.

Zauner: Io sono convinta che non farei musica se non avessi visto quel DVD e avessi pensato: «Bene, lei lo fa. Fa tutto quello che farebbe inorridire mia madre se mi vedesse ed è esattamente quel che voglio fare».

Karen O: Oh, mio Dio (ride).

Zauner: Sono un po’ nervosa al pensiero di aprire un concerto per voi quest’autunno, perché mi dico: «Che mosse rock ho rubato a Karen?».

Karen O: Oh, non te ne devi preoccupare. Leggevo da qualche parte che siamo tutti un mosaico fatto di persone che amiamo o che ci hanno influenzato nel corso degli anni. Siamo mosaici assemblati con tutto ciò che ci ha emozionato, ispirato o che abbiamo amato. Io stessa ho rubato tante mosse ad altri, per poi farle mie. Sono impaziente di vedere cosa farai.

Zauner: Volevo dirti una cosa del tutto scollegata, ma credo sia interessante. È stato molto carino da parte tua cercarmi dopo che avevamo ricevuto una nomination ai Grammy.

Karen O: Ah sì. Siete stati Grammignati.

Zauner: (Ride) Sì, quando siamo stati Grammignati. E io mi dicevo: wow, Karen mi ha scritto belle parole d’incoraggiamento per prepararmi alla bizzarria dei Grammy. Ben Gibbard, un altro dei miei eroi, mi ha detto che era stato fighissimo quando i Death Cab for Cutie erano stati nominati, anche se poi aveva vinto My Humps dei Black Eyed Peas. Tu che ricordi hai dei Grammy?

Karen O: Ci siamo andati solo una volta, nel 2004. La mia migliore amica mi aveva fatto il vestito con la sua macchina da cucire: era super do it yourself, una cosa fantastica. Comunque eravamo seduti lontanissimo. C’era una specie di spettacolo di trapezisti tipo Cirque du Soleil e mi pare lo facesse Usher (non era lui, abbiamo controllato, ma ci sarebbe piaciuto se ci fosse stato, nda). Abbiamo resistito una decina di minuti, poi siamo andati fuori sulle scale e ci siamo detti: «Oh merda, che maleducati siamo. Ma questo non è il nostro ambiente».

Zauner: Ricordi chi ha vinto al posto vostro?

Karen O: Zero.

Zauner: Quindi non è una cosa che ti resta in testa per anni?

Karen O: No, zero.

Foto: Kanya Iwana per Rolling Stone US

Zauner: Gli Oscar come sono stati? (Karen O è co-autrice di The Moon Song con Spike Jonze per Her; la canzone ha avuto una nomination nel 2014, nda)

Karen O: Quella è stata tutta un’altra cosa. Noi eravamo parte dello spettacolo, ci esibivamo. Era un’atmosfera molto VIP, divertente. Appena prima di salire sul palco mi si è seccata la bocca, non avevo più una sola molecola bagnata. Oh cazzo… Dopo che avevamo suonato il pezzo, Leo DiCaprio si è alzato applaudendo. Era esaltatissimo per la nostra performance.

Zauner: Stai ricominciando un nuovo ciclo dopo la lunga pausa: come ti senti?

Karen O: Sono passati nove anni dall’uscita del disco precedente. Ora ho un bambino di 7 anni e c’è stata una pandemia di quasi tre anni. Fare un po’ di show in estate ci ha aiutati a ritrovare il contatto col pubblico. È emozionante tornare davanti a fan che ti seguono da quasi 20 anni: loro ne hanno bisogno e noi anche. C’è molta gioia. Sono proprio emozionata all’idea dei concerti che faremo con voi e le Linda Lindas. Sarà come urlare fortissimo: «Siamo tornati. Guardate quanto è cambiato il mondo dall’ultima volta che siamo stati qui e ora abbiamo queste donne incredibili asiatiche-americane a farci da supporto». Questa roba non esisteva per me, o almeno non è esistita per la maggior parte della mia carriera.

Karen, hai detto che non ti chiedevano quasi mai di questa cosa, nelle interviste.

Karen O: La domanda tipica era sempre: «Come ci si sente a essere donna?». Perché era quello il tratto esotico, allora. Ma la faccenda di essere per metà asiatica secondo me è più interessante. E sono curiosa di sapere qual è il tuo punto di vista. L’essere in parte coreani, così come la cultura coreana in generale, era completamente trascurato negli Stati Uniti quand’ero ragazzina. Sto ancora cercando di riavvicinarmi a questo aspetto che è stato invisibile per tanto tempo. Magari è noioso sentirselo chiedere, perché tu sei più giovane e più addentro di me alla cosa, ma è diventato culturalmente molto rilevante.

Zauner: Credo sia così solo a partire degli ultimi cinque anni, con l’esplosione di popolarità del K-pop e dei BTS. E Internet ha un ruolo grandissimo in tutto ciò. Se vai su TikTok puoi vedere, chessò, una famiglia nigeriana che mangia piatti tipici della propria cucina. È pazzesco come possiamo entrare in contatto con realtà tanto diverse, non ci sono più ostacoli. Adesso mi sembra molto cool essere di etnia mista, mentre lo è molto meno essere bianco (ride). Non mi sono mai vergognata di essere coreana, ma non mi piaceva quando capivo che le persone proiettavano su di me degli stereotipi su cui non avevo il minimo controllo. Non ho mai voluto essere considerata docile, gentile o iper-femminile. In un certo modo, la mia personalità si è modellata in maniera da essere l’esatto opposto di tutto ciò. Al punto che non so più se alcuni aspetti davvero facevano parte della mia indole o sono il risultato della ribellione a ciò che mi veniva appicciato addosso. Anche a proposito di Crying in H Mart la domanda è: perché deve per forza essere definita una storia asiatica-americana? È la storia di una madre e una figlia. Una storia di formazione. Sarebbe da pazzi definire Il giovane Holden un romanzo di formazione caucasico. Accentuare solo quel lato non è giusto, anche se si tratta effettivamente di un aspetto importante.

Karen O: Pare proprio che tu sia molto legata alle tue radici coreane, forse molto più di me. È stato molto bello conoscere il tuo punto di vista.

Zauner: Quale è stata la tua prima canzone? Come l’hai scritta?

Karen O: Una cosa doo-wop che suonavo al piano quando avevo più o meno 9 anni. Era tremenda, con un testo zuccheroso: “He don’t love me baby, no no no”. Una delle mie migliori amiche era la mia fan numero uno e ho suonato quel pezzo per lei. Era seduta vicino a me e mi ha detto: «Karen, nella storia ci sono Mozart, Beethoven. Poi ci sarà Orzolek». Era autentica megalomania, ma avevo un gran bisogno di una cheerleader così, ha fatto la differenza.

Zauner: Quando hai scritto Maps ti sei detta: cazzo, ma l’ho fatta veramente io?

Karen O: Oh, sì.

Zauner: Era un singolo di lancio?

Karen O: No, era il terzo singolo tratto dal disco, per cui quando è uscito l’etichetta aveva già smesso di supportarci. Poi Maps è esploso. La maggior parte di quello che avevamo scritto per gli Yeah Yeah Yeahs fino ad allora era materiale duro, ribelle e sexy, mentre questo brano era molto vulnerabile e semplicissimo. Ma anche molto nel nostro stile.

Zauner: Com’è stato il processo di scrittura del disco nuovo? Penso che quando arrivi a quel punto della tua vita in cui sei diventata mamma e ti sei sistemata… insomma, all’inizio si scrive molto facendo riferimento al caos e ai propri drammi personali. Per questo album a cosa ti sei ispirata e che temi hai trattato?

Karen O: Gli Yeah Yeah Yeahs sono nati in un’epoca di turbolenza e caos nel mondo. Io vivevo a downtown New York quando c’è stato l’11 settembre. Sembrava che il mondo stesse per finire. È una cosa che ti ispira.

Zauner: Come oggi quindi?

Karen O: Sì, scrivere musica in quest’epoca quasi apocalittica ci ispira, ma in modo divertente. Quando Nick e io ci siamo ritrovati eravamo entusiasti. Abbiamo una lunga storia insieme: siamo stati in una band insieme per 20 anni. Eppure eravamo nuovamente come ragazzini che si divertono. Non abbiamo avuto alcun timore ad affrontare temi che ci spaventano a morte, come la crisi climatica e la mortalità.

Zauner: Perché avete deciso di prendervi una pausa così lunga?

Karen O: Nel 2013 si è finalmente chiuso il nostro contratto discografico con Interscope e Universal. È stato strano, come se ci avessero tolto un grosso peso psicologico. Non direi che era come stare in una ruota per criceti, ma almeno mi sentivo libera da scadenze da rispettare. Pensavo: wow, è molto diverso, la prossima volta che faremo un disco degli Yeah Yeah Yeahs sarà perché voglio davvero, davvero, davvero, ma davvero farlo.

Zauner: Però non sapevi che ci sarebbe voluto tanto tempo.

Karen O: Già. Ma sapevo che volevo mettere su famiglia. Ricordo una conversazione con Shirley Manson dei Garbage a una festa. Mi ha detto: «Vuoi avere figli? Devi fare spazio nella tua vita. Se non lo fai, rischi di fallire».

Zauner: Non ti ha intristito fermarti? Io sento di essere arrivata a quel punto della vita. Ho 33 anni e mi sento pronta, ma sono anche spaventata perché temo di perdere quello che è il mio vero amore, se mi fermo.

Karen O: Nemmeno un po’. Mi sono detta: «Non preoccuparti di avere un piatto vuoto davanti: si riempirà di nuovo ancor prima che tu sia pronta a mangiare». Ed è vero. Non bisogna aver paura di prendersi una pausa. E io sono davvero la regina dei no. Ne dico tanti.

Zauner: Sei famosa per questo.

Karen O: Davvero sono famosa per questo? Oh, mio Dio.

Foto: Kanya Iwana per Rolling Stone US

Zauner: Ho parlato con una persona che lavora con te e mi ha detto: «Proponiamo un sacco di cose a Karen e di solito dice di no, ma è figo poter dire che lavoriamo con lei». Tu comunque hai un curriculum impeccabile: è impressionante.

Karen O: È questa la chiave. Non avere paura di dire di no, perché così ti vorranno ancora di più, in un certo senso. Specialmente se ciò che fai ha un significato, contiene un messaggio profondo o ha un valore. Per cui ti dico che senza dubbio non bisogna avere paura di sparire o allontanarsi.

Zauner: Come hai affrontato la cosa coi compagni della band? È stato difficile?

Karen O: Be’, visto che sono la regina dei no…

Zauner: Ci sono abituati.

Karen O: Esatto. Ci sono dei precedenti, ecco. È stato un percorso difficile quello per arrivare a curarmi di me e del mio benessere, perché come donna, specialmente in un ambiente maschile, è considerato un segno di debolezza dire cose come: «Amico, non mi va di fare questa cosa. Mi fa male una costola». Ti dicono: «Forza, dai. Non fare la fighetta». Ho dovuto imparare che stabilire certe linee da non superare ti rende fortissima.

Zauner: È esattamente quello che avevo bisogno di sentirmi dire. Perché io sono sempre on the road, ma davvero.

Karen O: Secondo me sei la donna che lavora più duramente in tutto lo show business.

Zauner: Non dico nulla nemmeno quando mi scappa da pisciare. Forse godo a sfinirmi di lavoro. Ma ora, dopo sei anni che lo faccio, capisco che non è più sostenibile. In parte è dovuto a come sono stata educata: tutto è colpa mia e devo combattere fino alla morte in ogni situazione. Credo che i miei genitori fossero così. Ma quest’anno sto imparando a dire di no. E fa molta paura.

Karen O: Credo di non essermi mai pentita di aver detto un no. Mentre mi sono pentita dei sì. Sono molto soddisfatta, in generale, della nicchia che mi sono ricavata.

Zauner: Credo che la tua carriera sia mirabile, duratura e senza tempo.

Karen O: Grazie. E io sono colpitissima da ciò che hai fatto uscire e delle porte che hai spalancato per altre come noi. Penso che un no sarebbe una bellissima ciliegina per decorare tutto questo.

Zauner: La ciliegina del no.

Karen O: Esatto, la ciliegina del no.

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Styling: Natasha Newman-Thomas
Fashion assistant: Peyton Regan

Karen O
Hair styling: Gregg Lennon Jr.
Make up: Amber D. per A-Frame

Michelle Zauner
Hair styling: Sami Knight per A-Frame
Make up: Hinako Nishiguchi per A-Frame

Tradotto da Rolling Stone US.

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