Julian Lennon, confessioni del primo nepo baby | Rolling Stone Italia
Hey Jules

Julian Lennon, confessioni del primo nepo baby

Le vecchie canzoni recuperate, l’ingenuità degli esordi, il rapporto con Sean e Yoko, l’autobiografia. E la strana condizione d’essere il figlio di un Beatle escluso dalla gestione di tutto ciò che riguarda il padre. L’intervista

Julian Lennon, confessioni del primo nepo baby

Julian Lennon

Foto: Gareth Cattermole/Getty Images for MTV

Julian Lennon sa bene cosa la gente pensa di lui e lo sa anche se sono passati più di 40 anni dal suo primo album Valotte. Lo sa, ma in collegamento dalla sua casa a Monaco non trova la parola giusta per dirlo. «Qualcuno ha detto che sarei il pioniere dei…». Dei nepo baby? «Quello», dice, più divertito che amareggiato. «All’epoca non ce n’erano tanti altri. Di sicuro sono stato uno dei primi ad affrontare questa cosa nella musica. Ma sono qui, sono sopravvissuto, sto bene. Mi piacciono la vita che faccio e il lavoro che ho. Mi alzo ogni giorno e penso al meglio, spero nel meglio, prego per il meglio in questi tempi difficili».

È vero che per tanta parte di pubblico Julian è solo il figlio che John Lennon ha avuto dal matrimonio con Cynthia Powell, al limite il debuttante col mullet che negli anni ’80 ha centrato due hit, Valotte e Too Late for Goodbyes. Lo dice lui stesso che da allora ha avuto fortune altalenanti nella musica. Negli ultimi anni si è perciò dedicato alla fotografia, ha scritto libri per bambini, ha prodotto documentari come Ai Weiwei’s Turandot,  appena uscito sull’artista cinese e sul suo debutto alla regia all’Opera di Roma. «La gente mi conosceva come il figlio di John e basta. Volevo dimostrare a me stesso che potevo fare ciò che volevo, qualcosa di solido».

Dopo una lunga pausa, a 62 anni Lennon è tornato alla musica con un EP di quattro brani intitolato Because e col video di I Won’t Give Up, che è sostanzialmente una dichiarazione d’intenti. «Può significare qualunque cosa tu voglia ed è questo il bello, no?», dice a proposito del titolo. «È la bellezza delle canzoni: ci vedi quel che ti va».

Con lui abbiamo parlato delle canzoni nuove, dei biopic sui Beatles diretti da Sam Mendes, dell’autobiografia che ci accinge a scrivere.

Ha detto che ti ha deluso l’accoglienza tiepida al tuo album del 2022 Jude. Perché allora hai voluto fare questo EP?
Le etichette discografiche mi hanno deluso. Io ci metto cuore e anima, soprattutto negli ultimi album, e non riesco ad accettare che tanto lavoro venga messo da parte, che non venga valorizzato. È per questo che sono stato un artista indipendente per un bel po’. Poi mi hanno riagganciato per Jude promettendomi il mondo e invece non c’è stato alcun sostegno da parte loro. In ogni caso, ho deciso da tempo di fare solo singoli ed EP, c’è meno pressione. E poi lavorando a tutte le altre cose, dalla White Feather Foundation ai documentari e poi i libri per bambini e la fotografia, mi son detto che posso fare musica in modo più rilassato. Fare una canzone ogni tanto mi fa sentire più libero.

Come sono nati questi quattro pezzi?
Conosco Justin Clayton da quando avevo 11 anni. Ai tempi di Jude abbiamo trovato delle scatole piene di demo e cassette nel seminterrato dell’ufficio del mio ex manager. Non avevo idea che fossero lì, credevo di averle perse durante un trasloco o qualcosa del genere. Contenevano tutto il materiale che avevo scritto, buono o cattivo che fosse, nel corso degli anni. Poi un annetto fa Justin mi ha chiesto se volevo darci un’occhiata. Lo volevo fare da un pezzo, là dentro c’erano tante cose che non si adattavano agli album che avevo fatto.

Julian Lennon I Won't Give Up (Official Video)

E quindi a quando risalgono le canzoni?
Le prime tre alla fine degli anni ’80 e ai primi ’90. Sono divertenti ed è proprio quello che volevo ottenere: ricordarsi com’era divertirsi con la musica. Le voci sono quelle originali, così come la chitarra e il basso, ma Justin ha detto che far suonare un vero batterista avrebbe cambiato completamente l’atmosfera ed è vero. Sono tracce piuttosto semplici e mi piacciono per questo, non erano affatto sovraprodotte. Le avrò scritte fra i 20 e i 30 anni, l’età in cui si vuole solo correre dietro alle ragazze, o ai ragazzi. Sono canzoni di formazione, che parlano di perdita, in cui mi chiedo dove è andato tutto storto. Niente di nuovo, solo scritto in modo più semplice e diretto di quanto farei oggi. Il quarto pezzo è I Won’t Give Up ed è nato a Los Angeles dieci anni fa quando ho incontrato Andrew Watt, che era agli inizi e mi ha detto: «Jules, hai qualcosa su cui vuoi lavorare?». Avevo i testi e le strofe di quella canzone, scritti 20 o 30 anni prima. Abbiamo cambiato qualcosa, Justin ha scritto un bridge e un assolo. È la classica ballatona da palasport che chiude un disco.

Quei vecchi brani ti hanno fatto ripensare all’inizio della tua carriera?
I primi due album appartengono a un’altra vita, a un altro tempo, a un’altra età, a un’altra esperienza. C’era molta ingenuità nel primo, non conoscevo certe negatività, da ragazzino pieno di entusiasmo mi presentavo, «ciao, sono Julian!», ma non avevo la minima cazzo di idea di ciò in cui mi stavo cacciando. Sto anche iniziando a scrivere la mia autobiografia, che però non voglio realizzare in modo tradizionale. Niente «sono nato qui, questi sono i miei genitori, è successo questo e quest’altro, bla bla bla». Ho trovato un altro modo per farlo, che purtroppo non posso dirti, rovinerei la sorpresa. Ma è un progetto a cui devo dedicare del tempo. Un assistente ha intervistato vecchi amici miei per raccogliere ricordi, luoghi, tempi, come ci siamo conosciuti.

Ci sarà una sezione sugli anni del mullet?
Gli anni del mullet? (Fa un’espressione sconsolata, nda) Be’, senti, il mullet è tornato, no? E anche alla grande. Ok, è piuttosto inquietante. Gli anni del mullet… non saprei. Senza dubbio ci sarà qualche foto di quel periodo.

Julian Lennon - Valotte

Hai intervistato Sean e Yoko per il libro?
Ho parlato con Sean. Yoko no, perché non la vedo da tempo, l’ultima volta è stata alla commemorazione di George Martin, quindi un sacco di anni fa (nel 2016, nda). Le auguro il meglio. Sean mi racconta ciò che può, quando può, quel che si sente di raccontarmi. Non lo presso. Gli voglio bene e voglio avere con lui un rapporto felice, fraterno, di sostegno reciproco.

Cosa vorresti che la gente capisse della tua vita?
Tanta gente ancora non sa come ho vissuto, quando papà se n’è andato davvero, come mia madre è stata trattata, come ci siamo arrangiati per anni. E anche come, per quanto voglia bene a Sean e vada d’accordo con Yoko, sono sempre stato tenuto a distanza dalla mia stessa famiglia e dalla vita e dal lavoro di mio padre. Sono sempre stato un outsider, fin dall’età di 5 anni. Io e mamma siamo andati per la nostra strada per la maggior parte della mia vita. Papà ci ha aiutato con cibo, vestiti e scuola, certo. Ma molta gente fraintende, crede che io sia sempre stato parte del giro, che abbia nuotato in montagne di denaro. Non è vero. Quindi ci sono alcune cose qua e là che sento il bisogno di correggere. Ma soprattutto, ho vissuto esperienze di vita belle strane, il più delle volte in quanto figlio di John.

Cosa intendi con esperienze strane?
Ero un ragazzino timido e ho dovuto cambiare scuola, andare in un nuovo istituto nel nord dell’Inghilterra quando avevo 12 o 13 anni. Ricordo di essere andato alla preghiera del mattino, dove si cantavano un paio di inni e gli insegnanti dicono qualche parola. Era il primo giorno di scuola ed ero terrorizzato, mi sentivo a disagio in un posto dove non conoscevo nessuno. E alla fine dell’assemblea il preside si alza e dice: «Vorremmo presentare alcuni dei nuovi membri dello staff. E abbiamo anche Julian Lennon, il figlio di John Lennon dei Beatles». E io, dentro di me: «Ma brutto figlio di una troia…». Scusa il francesismo, ma davvero ho cambiato scuola e mi tocca affrontare questa roba? Per fortuna la maggior parte dei ragazzini non ci ha fatto caso.

Sai qualcosa dei quattro biopic sui Beatles in lavorazione e in particolare di quello su tuo padre?
Vengo tenuto all’oscuro di tutto ciò che riguarda la Apple e i Beatles. Io e Sean abbiamo un bel rapporto, ma lui non può nemmeno parlarmi di certe cose, proprio per un fatto legale, e questa cosa è spiacevole, vorrebbe ma non può. Mi ha chiamato e mi ha detto: «Senti, Sam Mendes vorrebbe mettersi in contatto con te». Non avevo manco sentito parlare dei quattro film sui Beatles. La prima cosa che ho pensato è stata: mi stai prendendo in giro? Un altro dannato film sui Beatles?  (Ride) Non ne abbiamo già avuti abbastanza?

E poi?
Poi Sam ed io ci siamo incontrati a pranzo all’inizio di quest’anno. È un perfetto gentiluomo. Mi ha chiesto se avevo qualche ricordo curioso o particolare che mi andava di condividere. Gli ho risposto che ho dei ricordi, ma sono vaghi, avevo 3 o 4 anni. Mi ha detto: «La cosa più importante per me, Jules, è assicurarmi che la tua storia e quella di tua madre vengano raccontate con assoluta chiarezza e verità». L’ho molto apprezzato. All’inizio mi sembrava un’idea assurda, ma poi me ne sono innamorato e ora sono curioso di vedere come la realizzerà. È bello pensare che mamma sarà finalmente messa sotto una luce positiva.

Qualcuno interpreterà te?

A quanto pare sì. Sarà interessante anche quello. In effetti, sono appena tornato da Londra dopo un evento benefico che ho fatto per amfAR, Sean stava arrivando in città e mi ha detto: «Jules, vuoi venire a dare un’occhiata al set per vedere come sta andando?». Mi sarebbe piaciuto moltissimo, ma stavo prendendo l’aereo per tornare negli Stati Uniti, quindi forse più avanti nell’anno, vedremo. Sean mi coinvolge in tutto ciò che può e gliene sono grato.

Avrai modo di leggere la sceneggiatura?

Sean mi ha chiesto di leggerla con lui per vedere se c’è qualcosa di strano, perché vuole che sia raccontata la verità nel miglior modo possibile. Sono curioso di leggerla, lo farò quando ne avrò l’occasione. Sarebbe bello se lo spirito fosse positivo.

I Beatles continuano ad affascinare, vero?
Sempre e per sempre. Magari questa cosa può toccare anche le nuove generazioni, chi lo sa. Credo che questi film susciteranno grande curiosità in persone di ogni età.

Julian Lennon - Saltwater (1991, Official Music Video)

Per quanto sia difficile crederlo, a dicembre saranno 45 anni da quando abbiamo perso tuo padre.

È strano, è passato tanto tempo. Appena arrivato a Londra, sono tornato in hotel e c’erano un paio di documentari su papà, uno dopo l’altro, e li ho guardati. È stata una relazione difficile, per via della distanza e di tutto il resto, mi ero dimenticato di quante cose ha fatto, della sua originalità, dell’autenticità come persona. Più invecchio, più mi ispira. È una cosa bella ma anche triste, perché alla fine avevamo ricominciato a parlarci. C’era l’idea di vederci più spesso. Purtroppo non è andata così. Ma gli parlo ogni tanto, come faccio con mia madre. Vado ad abbracciare un albero e auguro amore a tutta la mia famiglia e agli amici che non ci sono più.

Vivo vicino al Dakota e ogni giorno ci sono turisti che si fermano davanti all’ingresso per fare foto.
Quest’aspetto è bello strano. In un certo senso, sono contento di non vivere a New York.

Tornando all’EP, che aspettative hai a questo punto?
Non ne ho e credo sia meglio così. Faccio il mio lavoro, punto. Sono fan di Rick Rubin, che ha detto una cosa tipo: lavora e basta e quando l’hai fatto, pubblicalo e da quel momento quella cosa non ti appartiene più, spetta al mondo dargli il significato che vuole. Ecco, credo che non ci sia nulla che io possa fare per rendere le cose migliori o peggiori.

Da Rolling Stone US.