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John Fogerty: «Trump è come una rockstar drogata di applausi»

Poche ore prima dell’assalto al Campidoglio, il rocker ha pubblicato ‘Weeping in the Promised Land’, un gospel sullo spirito del 2020 e sulle bugie del presidente che hanno avvelenato i pozzi della politica

John Fogerty non è un supporter di Donald Trump. Anzi, in autunno l’ex leader dei Creedence Clearwater Revival ha inviato una lettera di diffida (bellamente ignorata) dopo che il presidente aveva usato Fortunate Son ai suoi comizi. Ora Fogerty ha inviato a Trump una specie di avviso di sfratto. A suo modo, ovviamente, sotto forma di canzone: Weeping in the Promised Land è il primo pezzo del rocker 75enne da otto anni a questa parte.

Arrangiata per voce, pianoforte e coro gospel, la canzone si riallaccia ai pezzi politici dei Creedence come Who’ll Stop the Rain e la stessa Fortunate Son. «È una rock star la cui band si è sciolta», dice Fogerty di Trump e del suo rifiuto di passare il potere, facendo un paragone fra concerti e comizi. «So che cosa significa stare di fronte a 30 o 40 mila persone che ti acclamano. Quindi capisco le sensazione che prova lui. Questa canzone non è un attacco, è un modo per cercare di capire la situazione. Forse i comizi e la folla gli piacciono troppo».

Il testo di Weeping in the Promised Land evoca i fatti dell’ultimo anno, gli attacchi di Trump a Fauci (“balla sulle loro ossa, un faraone che zittisce lo sciamano”), il dramma di medici e infermieri (“le infermiere piangono con la paura negli occhi, ovunque sofferenza, ovunque morte”), l’omicidio di George Floyd (“giù per strada, un ginocchio sul collo, la gente piange, tu dici ‘non respiro’ e un giudice banco decide che non è un crimine”).

Dopo la cancellazione del tour causa Covid-19, la scorsa estate Fogerty si è ritrovato con tanto tempo libero a disposizione, ma la frase “weeping in the promised land”, piangere nella terra promessa, risale a un quarto di secolo fa, quando il musicista l’ha appuntata in uno dei suoi bloc-notes. Ha poi effettivamente scritto una canzone con quel titolo, ma non l’ha sodisfatto, era «un motivetto generico». Finalmente in estate, in piena pandemia, «la frase mi è sembrata rilevante» e ha perciò deciso di comporre un pezzo da zero partendo dal titolo.

L’uomo che ha messo giù Fortunate Son in una ventina di minuti ha faticato a scrivere Weeping in the Promised Land. Fra l’estate e l’autunno, Fogerty ha lavorato a testo e concetti. È salito in auto con una sedia pieghevole, bottiglie d’acqua e pacchetti d’arachidi e ha girato i parchi naturali della California meridionale in cerca d’ispirazione. «È stato come andare a zonzo per il deserto».

Alla fine dell’estate è finalmente venuto fuori il verso in cui si dice che “l’acqua dei pozzi è stata avvelenata dalle bugie”. A quel punto, altre immagini sono emerse. «È stata, tipo, la canzone più difficile che ho mai scritto. Continuavo a cercare le parole giuste». E non era finita. All’inizio Fogerty ha registrato il pezzo con il batterista Jim Keltner, Don Was al basso, il figlio Shane Fogerty alla chitarra. «Era una versione swamp rock». Secondo la moglie e manager Julie il risultato non era all’altezza delle aspettative. È stata lei a suggerire di rifarla al piano, non alla chitarra.

Fogerty aveva ripreso a suonare le tastiere in ottobre per un livestream in onore di Jerry Lee Lewis e dopo qualche esitazione, una sera dopo cena, è andato nello studio casalingo e ha suonato il pezzo al pianoforte. Funzionava. Una settimana dopo il Giorno del Ringraziamento ci ha provato di nuovo, suonando e cantando contemporaneamente. Nel giro di poche take ha fissato la versione definitiva. Pochi giorni dopo ha registrato il pezzo in uno studio di Los Angeles con un gruppo di coriste.

Le session sono stte fatte prendendo precauzioni per il Covid: tutti indossavano mascherine e lavoravano in parti diverse dello studio. «le cantanti erano dietro un plexiglass, separate. Erano abituate a cantare una attaccata all’altra. Questa volta ognuna doveva avere il suo spazio, quasi come in una gabbia». Nel giro di due giorni la canzone era mixata, il mastering fatto, il pezzo pronto a uscire.

Considerando che in meno di due settimane Trump sarà tecnicamente fuori dalla Casa Bianca, Fogerty non avrebbe voluto pubblicare il brano prima? «Quando l’ho chiusa, alla fine di novembre, mi sono detto: succederanno ancora delle cose. Sapevo che il lupo non avrebbe perso il vizio. Dio solo sa come potrebbe peggiorare la situazione [Fogerty ci ha visto giusto, l’intervista è stata fatta prima dei fatto di Capitol Hill, ndr] L’unica cosa che vuole è mantenere il potere, ma già lo sapevamo. Continuo a chiedermi se il 20 gennaio sarà seduto vicino a Joe Biden. Anche se dovesse capire di essere stato sconfitto, dubito si presenterà».

Weeping in the Promised Land è un brano particolare per un’altra ragione: è uno dei pochi singoli che Fogerty ha pubblicato fuori da un album. Spiega tuttavia che sta lavorando al nuovo disco, la prima raccolta di inediti da Revival del 2007. «Dopo aver chiuso la canzone abbiamo fatto un paio di session. Scriverla è stata una liberazione. Dovevo finirla». Come per la prima take del brano, Fogerty ha inciso la nuova musica con Was e Keltner.

Quando gli si domanda se spera che Weeping in the Promised Land possa portare a un cambiamento, Fogerty risponde onestamente. «Una canzone può farlo?», si chiede. «Forse è un’ipotesi azzardata. Ma dobbiamo smetterla di definirci sulla base del partito politico o del candidato che supportiamo. Siamo tutti esseri umani e abbiamo visto con i nostri occhi cose orribili. E ancora le vediamo. La mia speranza è che la gente abbia voglia di discutere, non di urlare agli altri che hanno sbagliato».

Questo articolo è stato tradotto da Rolling Stone US.

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