Jeff Mills, il musicista che si esibiva al Louvre | Rolling Stone Italia
Interviste Musica

Jeff Mills, il musicista che si esibiva al Louvre

La nostra intervista al pioniere della techno, capace di far coesistere macchine e orchestre in totale armonia. A giugno tornerà dalle nostre parti

«Se non fosse per le fotocamere dei cellulari, probabilmente il mondo intero vedrebbe ancora il sistema giudiziario americano come uno dei migliori al mondo» Foto: Facebook

«Se non fosse per le fotocamere dei cellulari, probabilmente il mondo intero vedrebbe ancora il sistema giudiziario americano come uno dei migliori al mondo» Foto: Facebook

Ci saranno mille leggende che gravitano attorno a Jeff Mills, tutte vere. Da quella dell’uomo-macchina che suona insieme a un orchestra sinfonica, a quella del virtuoso dei set, capace di far fischiare all’unisono tre o più giradischi. Un artista dalle mille arti, insomma, che deve tutto a una sola di queste, la techno. No, non la parola abusata dai mestieranti dell’informazione ogni volta che qualcuno ci lascia le penne, di ritorno dalla discoteca o da un rave (anche questa, parola fin troppo travisata). No, noi si parla di Techno. L’equilibrio precario di irruenza e precisione chirurgica cantato dalle macchine e da chi ne parla la lingua.

Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Jeff, con la scusa delle sue future esibizioni al Louvre e dalle nostre parti: il 27 giugno al Social Music City di Milano e al Dancity di Foligno il 4 luglio.

Com’è nata la residency al Museo del Louvre di Parigi? Non è propriamente il luogo dove ti aspetteresti di trovare un DJ…
Mi è stato proposto grazie a Jacqueline Caux, una regista francese che ha fatto il mio nome alla Direttrice dell’auditorium del Museo, Pascale Raynaud. Jacqueline ha pensato che potessi essere un’ottima aggiunta al programma Carte Blanche, dato il mio background di lavoro su film, arte, danza contemporanea, performance d’arte e ovviamente musica. Quindi diciamo che è più un coinvolgimento in quanto artista in generale, diverso dalla mia normale attività di DJ.

Sarà un’unica data?
Il progetto consiste in quattro eventi, performance mensili incentrate su film e cinema. Per accomunare ognuno di questi eventi ho scelto il tema del tempo. Ma ciascuno degli eventi si approccerà al tema in maniera totalmente diversa.

I tuoi fan (compreso il sottoscritto) hanno aspettato undici anni per poter mettere le mani su Exhibitionist 2, che uscirà a settembre. Perché tanto tempo fra il primo e il secondo capitolo?
Uscirà quest’anno perché il è genere di release che non ha a che fare con il consumo popolare. Conserva più che altro un aspetto didattico nei confronti delle varie generazioni. Ho pensato ai troppi aspetti che la gente non ha ancora visto, imparato e realizzato sull’arte del DJing. Quella vera. O più in generale sulla musica dance. Tutti conoscono i DJ, ma in pochi si rendono davvero conto di cosa voglia dire esserlo.

Dobbiamo aspettarci qualche colpo di scena? Un’ulteriore evoluzione della tecnica?
Il mio obbiettivo in Exhibitionist è sempre stato quello di mostrare i passaggi del processo compositivo. Insomma, le fasi della costruzione di un brano, per poi consegnare all’ascoltatore un’idea completa, portata a termine.
A volte, per la buona riuscita di questo, viene richiesto uno sforzo notevole al DJ/producer, che deve stravolgere la propria visione e trovare altri modi per concretizzare il risultato finale. E, contemporaneamente, rendere l’esibizione d’impatto agli occhi/orecchie degli ascoltatori. Certo, in molte sequenze del filmato sto mixando e producendo nuova musica, ma lo faccio soltanto con lo scopo di trasferire allo spettatore le nozioni che altrimenti non carpirebbe a pieno. È didattico, non il DVD di una festa.

Un fotogramma da "Exhibitionist 2" il DVD in uscita a settembre

Un fotogramma da “Exhibitionist 2” il DVD in uscita a settembre

Non sono un mistero le tue incursioni nella musica classica: hai in programma nuove esibizioni con un’orchestra?
Sì, al momento mi sto preparando per il debutto di una pièce che ho scritto. Si chiama Planets e ne vado molto fiero. È un viaggio musicale verso ognuno dei pianeti del nostro Sistema Solare. Ispirandomi a The Planets di Gustav Holt (1918), ho voluto qualcosa che abbracciasse tutto il sapere delle scoperte scientifiche sullo spazio interplanetario. La pièce debutterà a luglio, alla Casa da Musica di Oporto, Portogallo. Da lì poi a Lille, in Francia, per 5 spettacoli, concludendo a fine anno in Belgio.

Qualcuno l’ha definita una Nuova Età dell’Oro della techno, e più in generale dell’elettronica. Concordi?
Beh, dal mio punto di vista la techno è un genere in continua crescita ed espansione. Negli ultimi 2-3 anni ho assistito a un influsso di nuovi produttori. Questo rende tutto più stimolante. Non sono sicuro però che “Età dell’Oro” sia un termine appropriato, ma è certamente un’ottimo periodo per fare e suonare techno.

La techno ha perso il suo messaggio politico? Sto pensando a come gli Underground Resistance abbiano affrontato le rivolte di Los Angeles dei primi Novanta e a come, invece, sia stato l’hip hop a farsi carico dei recenti disordini di Baltimore.
Oltre che a essere uno strumento per oltrepassare i confini musicali e sociali, non credo che la techno abbia mai avuto un messaggio politico da cui sia scaturita. Certo, come tutte le forme di musica si presta bene a veicolare idee e prospettive sulla società e su ciò che ci circonda. La techno rimane una perfetta valvola di sfogo per la creatività, ma ogni volta mi stupisco di quanto possa rivelarsi utile quando il mondo sembra impazzire.
I disordini di Los Angeles nei primi Novanta e i recenti di Baltimore — entrambi sfociati in tragedia — sono solo delle istantanee di ciò che negli Stati Uniti succede da sempre, fra poliziotti bianchi e le persone che teoricamente dovrebbero proteggere e servire. Per quanto ricordi, gli incidenti causati da razzismo, pregiudizi, emarginazione, frammentazione di popoli e idee, sono cuciti saldamente sul tessuto della società americana. Così noi siamo al sicuro qui e loro stanno là, mi spiego?
Se non fosse per le fotocamere dei cellulari, il mondo intero vedrebbe ancora il sistema giudiziario americano come uno dei migliori al mondo. E la triste verità è che la Nazione non può risolvere le proprie questioni razziali (che hanno portato anche alle discussioni sul Welfare) per colpa di un Presidente afroamericano. È un paradosso di cui molti americani non sono a conoscenza. Oppure sono stati istruiti ad accettarlo in qualche modo. O semplicemente non vogliono, come i poliziotti bianchi americani che non vivono nemmeno nelle zone in cui esercitano la propria professione. Questo crea molti problemi. A volte sono incidenti…altre volte sono vere esecuzioni a sangue freddo.

Altre notizie su:  Jeff Mills