Jane Birkin, un'icona fra amore e morte | Rolling Stone Italia
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Jane Birkin, un’icona fra amore e morte

La scomparsa della figlia ha ispirato alcune canzoni di 'Oh! Pardon tu dormais'. Ne parla in questa intervista in cui ricorda lo scandalo di 'Je t'aime moi non plus' e la prima notte folle con Gainsbourg

Jane Birkin, un’icona fra amore e morte

Jane Birkin

Foto: Nathaniel Goldberg

Il viso di Jane Birkin dovrebbe essere sulle sterline oppure sulle banconote da 500 euro, perché diciamoci la verità: è la vera regina di Inghilterra e Francia.

Attrice, cantante, modella, musa di Serge Gainsbourg, in un certo senso anche designer (è lei l’ideatrice della borsa più preziosa di tutti i tempi: la Birkin di Hèrmes), scrittrice e madre di alcune donne incredibili quanto lei, talenti nella musica, nel cinema, nella fotografia: Lou Doillon, Charlotte Gainsbourg e Kate Barry.

Proprio a Kate ha dedicato gran parte del suo ultimo disco, Oh! Pardon tu dormais…, uscito sul finire dello scorso anno. Kate, figlia di Jane e John Barry, ci ha lasciati nel 2013 e lo ha fatto tragicamente: una caduta accidentale o forse un salto intenzionale dalla finestra del suo appartamento parigino. Un argomento di cui era impossibile non parlare in un disco che esce dopo 12 anni dall’ultimo lavoro composto da canzoni originali.

Ho raggiunto Jane Birkin al telefono per farmi raccontare qualcosa in più del progetto musicale, ça va sans dire, ma anche qualche aneddoto della sua vita e carriera straordinaria. Spoiler: mi ha raccontato della prima notte con Serge.

Com’è nato Oh! Pardon tu dormais? So che è stato un lavoro di squadra con Etienne Daho e Jean-Louis Piérot.
È nato in realtà come testo teatrale, tradotto anche in italiano. Una ventina d’anni fa, l’avevo messo in scena al Théâtre de la Gaîté-Montparnasse di Parigi. Etienne Daho era venuto a vedermi e mi aveva aspettato alla fine dello spettacolo per dirmi che ne era rimasto molto colpito. Ogni due anni circa da quel momento mi ha proposto di riadattare il testo in una commedia musicale a due voci, ma non era mai il momento: mentre lavoravo ad Arabesque, lui era impegnato con i suoi progetti musicali e i tour, poi ho dato la precedenza ad altri due dischi, a cui ho lavorato con lui tra l’altro.

Dopo tre anni da Le symphonique gli ho chiesto se gli sembrava ancora il caso di mettere in piedi questo progetto, se lo trovava ancora attuale. Mi ha detto di sì e siamo partiti da due canzoni che avevo scritto, Cigarettes e Ces murs épais, perché parlavano della cosa più tragica che mi sia mai successa, la morte di mia figlia. Dovevo assolutamente iniziare da lì, da questi due titoli molto personali. Poi siamo tornati sui testi di Oh! Pardon tu dormais per rielaborarli. In due volte abbiamo scritto tutto il disco. Etienne e Jean Louis avevano già molte musiche pronte. Mi hanno proposto di inserire il testo di Cigarettes su una musica un po’ movimentata, un po’ alla Kurt Weill e ci ho messo tre giorni prima di avallare questa scelta, ma in effetti era il solo modo di farlo. Il loro contributo al disco è stato enorme. Alcuni testi li ho scritti con Etienne, alcuni da sola, ma le musiche sono tutte permeate dal suo entusiasmo. Sono contenta del risultato.

Con Etienne Daho. Foto: Romain Winkler

Nel testo di Cigarettes lei è molto diretta “Ma fille s’est foutue en l’air et par terre, on l’a retrouvée”. Il dolore di perdere Kate è inimmaginabile, ma c’è un aspetto catartico nel cantare questa canzone? Il dolore si allontana per qualche secondo?
Non era possibile fare un disco senza parlare di lei. Kate è morta 7 anni fa e non ne avevo ancora scritto. Charlotte, mia figlia, ha composto una canzone per lei nel suo disco Rest. La mancanza che sento è quotidiana ed è tale che una volta a Lione, durante il tour di Symphonique, ho visto in una vetrina un piccolo kit per la pedicure e ho iniziato a piangere e a singhiozzare perché mi sono tornati in mente i suoi piedi bellissimi di cui si prendeva tanta cura. Quel giorno stesso sono tornata in hotel e ho deciso di scrivere Cigarettes. Niente può attenuare il dolore di questa perdita e non è cantando una canzone che questo diventa più sopportabile.

Parlare di lei è comunque un modo per lottare contro questa mancanza…
Provo un piacere particolare nel parlare di Kate e lo faccio affinché lei non sia mai dimenticata. È stata una fotografa straordinaria e ha dato vita a dei centri di rehab per tossicodipendenti e alcolisti che hanno salvato centinaia di vite. Ne parlo come se lei fosse ancora qui.

Ho intervistato Lou qualche settimana fa e parlandole mi sono resa conto di come tutta la famiglia sia piena di talento. Soprattutto le donne della famiglia sanno fare tantissime cose e mi è sembrata una spiegazione plausibile pensare all’educazione ricevuta da bambine. È così?
Spero di aver inculcato loro soprattutto una grande fiducia nelle loro possibilità. Sapevano di poter fare tutto ciò che avevano voglia di fare. La grande fortuna di Lou è stata quella di scoprire il suo talento per la musica e per la composizione con il suo primo album. Lou mi dice spesso che si è trattata di una seconda nascita per lei. Quando la vedo sul palco con le sue canzoni mi sembra incredibile che non abbia fatto questo tutta la vita, è incredibilmente a suo agio.

E Charlotte?
Charlotte ha debuttato a 12 anni nel cinema con il film Paroles et musique con Catherine Deneuve e Christopher Lambert e da lì in poi il resto della sua carriera è stato incredibile. La recitazione è stata da subito il suo elemento naturale. Per quanto riguarda la musica nell’ultimo disco mi sono resa conto che lei ha una capacità di scrivere testi peculiare, così personale e meravigliosa… Sul palco è fragile, è delicata, il pubblico è attratto da lei. Ora sta scrivendo un nuovo album che sarà favoloso. Essersi trasferita a New York dove può vivere una vita in un certo senso normale l’ha resa libera, non deve per forza confrontarsi continuamente con il fatto di essere la figlia di Gainsbourg come in Francia. Anche in tour, sul palco, vive un vero e proprio momento di libertà.

Le manca andare in tour e stare sul palco? Soprattutto in questa epoca stramba di pandemia…
Certo, mi manca. Faccio una vita casalinga piuttosto solitaria. In tour mi fa piacere soprattutto incontrare altri artisti, essere circondata dai miei musicisti, stare in movimento. Sono comunque molto fortunata, il mio disco è uscito da un mese, c’è gente che ha aspettato un anno per presentare al pubblico il suo lavoro e ancora non si sa quando si potrà. Dovrei iniziare con i concerti a marzo, ma ovviamente vedremo come si metterà. È un’incertezza che rende tristi molti artisti, ma è ben più doloroso per i ristoratori o per i negozianti che si sono dovuti fermare del tutto da mesi. Per me il tour è solo una parte della mia vita, per altre categorie è la vita intera che si è fermata.

Foto: Nathaniel Goldberg

Continuando a parlare di musica, è addirittura intervenuta la censura per frenare la diffusione di Je t’aime moi non plus e sappiamo tutti quale scalpore si sia creato. Cosa crede che sia scandaloso al giorno d’oggi?
Non ho mai pensato che Je t’aime moi non plus fosse scandalosa, anche se ero cosciente di ciò che avrebbero pensato gli altri ascoltandola. Tutti sanno dove erano la prima volta che l’hanno sentita ed è stata una canzone di libertà in tutto il mondo. Ad esempio in Spagna è stata utilizzata come inno contro Franco. Sono felice che sia stata la mia versione a uscire al posto di quella di Brigitte Bardot, è stata una fortuna. Questa fortuna sarebbe potuta capitare a Brigitte Bardot, invece è capitata a me. Nonostante tutto quello che ho fatto, so che quando morirò sarà ricordata soprattutto per Je t’aime moi non plus.

I veri scandali sono altri: come ci comportiamo con gli immigrati, la povertà, la crudeltà verso le altre persone o gli animali. Siamo abituati a rapportarci con l’attualità con poca concentrazione: un attimo vediamo al tg un servizio di una barca che arriva dall’Africa verso l’Europa, il momento dopo siamo catapultati negli Stati Uniti con gli scandali politici. Il vero scandalo è sapere che potremmo fare qualcosa contro la povertà o in favore delle persone che hanno bisogno di accoglienza e non lo facciamo. Abbiamo memoria breve, passiamo subito al problema successivo senza risolvere quello precedente.

Dice che è stato un colpo di fortuna aver cantato Je t’aime moi non plus al posto di Brigitte Bardot e mi è capitato, leggendo altre interviste, di notare spesso come lei sia rimasta umile e non si sia per niente montata la testa nonostante la carriera incredibile tra musica, cinema e teatro che ha avuto. Come fa a restare con i piedi per terra?
Sono molto lucida e so anche che ho fatto delle cose che non mi sono piaciute. Come ho raccontato in Boxes, essendo una persona complicata, non ho sempre agito come avrei voluto. Sono molto cosciente dei miei errori e per questo non giudico mai nessuno, sapendo che potrei commettere gli stessi sbagli.

Quindi il trucco è restare neutrali, anche nei confronti di sé stessi, non giudicarsi?
È complicato giudicare le persone, dipende molto dalla loro storia. Dovremmo sempre cercare di comprendere il punto di vista degli altri, essere solidali, non lasciarci andare all’indifferenza. E dedicarci più tempo. Quante volte magari avremmo potuto telefonare e invece abbiamo inviato un messaggio. Mia mamma diceva sempre “una telefonata vale quanto una visita”, una telefonata fa piacere, un sms invece è solo un modo per sbarazzarsi degli altri in tre secondi. E se lo dico è perché io stessa lo faccio.

Foto: Photo 12 / Alamy / IPA

Lei ha incontrato Serge Gainsbourg sul set di Slogan e inizialmente non c’era tanto feeling. Poi è nato l’amore che conosciamo. Mi racconta com’è andata?
La prima volta che l’ho visto mi sembrava arrogante. Ero arrivata dall’Inghilterra da poco e non parlavo una parola di francese, lui non poteva sopportarlo. Non faceva niente per nasconderlo, però incredibilmente non aveva detto di no alla mia presenza, e siccome era la star del film avrebbe potuto farlo. Le prime scene da girare prevedevano che io fossi nuda, seduta sulla vasca e lui all’interno della vasca con un accappatoio. Pierre Grimblat fissò una cena a tre per farci conoscere meglio e rompere il ghiaccio. Con una scusa ci lasciò soli e ci mettemmo a ballare un lento. Serge mi ha pestato i piedi e mi ha fatto tenerezza perché mi è sembrato all’improvviso maldestro, timido e ho capito che la sua era solo una posa. Era molto sicuro di sé dal punto di vista politico e sulla scrittura, ma nella vita personale era molto simpatico, affascinante e timido.

Quella stessa sera mi ha portato in un locale, Rasputin, dove ha chiesto a dei musicisti russi di suonare il Valse triste di Sibelius per me. La stessa sera mi ha portato al Calvados dove c’erano dei musicisti messicani, con cui ha suonato la chitarra. C’era un vecchio jazzista al piano, John Turner, e hanno fatto un pezzo insieme. Siamo andati poi in un altro locale dove suo padre era stato pianista e le drag queen hanno iniziato a correre verso di lui e a chiamarlo con soprannomi e a baciarlo. Si vedeva che adorava la situazione. Verso le 3 di mattina, eravamo a Les Halles, arrivavano dei fattorini a consegnare frutta e carne e Serge offre loro dello champagne – almeno così mi sembra, ormai in alcuni punti ricordi e fantasia si mescolano un po’.

Poi?
Verso le 4 ha chiamato un taxi e mi ha chiesto se volevo essere accompagnata dove alloggiavo con mia figlia Kate e ho detto di no. Pensavo mi avrebbe accompagnato a casa sua e invece siamo andati all’Hotel Hilton. Il receptionist che ci ha accolto ha chiesto «solita stanza signor Gainsbourg?» e io mi sono rimproverata di esserci cascata.

Nell’ascensore mi guardavo nello specchio valutando la situazione. Appena siamo entrati nella stanza mi sono chiusa in bagno per pensare a cosa fare, ma quando sono uscita lui già dormiva. Erano le 6 di mattina, dopo poco sono andata in un negozio di musica e ho comprato il disco sulle note del quale avevo ballato all’inizio della sera, gliel’ho messo ai piedi del letto e sono tornata da mia figlia.

Avevo passato una nottata davvero divertente e ho scoperto quest’uomo affascinante, che non si è approfittato di me. Un vero gentleman. Voilà.

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