La ragazza dark: James Franco intervista Lana del Rey per Rolling Stone | Rolling Stone Italia
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La ragazza dark: James Franco intervista Lana del Rey per Rolling Stone

Lei è la ragazza più enigmatica del millennio. Non ama i giornalisti ma ama parlare di sé con un un caro amico, James Franco. Leggi l'intervista

Lana del Rey, foto via Facebook

Lana del Rey, foto via Facebook

L’anno scorso, mentre recitavo a Broadway in Uomini e Topi, mi è capitato di vedere Ride, il video di Lana Del Rey. Sono stato subito catturato dalla sua magia. Quel video porta il paesaggio americano e i suoi suoni verso l’estremo della solitudine: dentro camere di motel abbandonate nel deserto, un’anima perduta celebra la gentilezza degli sconosciuti che ha incontrato lungo la strada. Più avanti ho scoperto che quella canzone è una testimonianza di tutto ciò che è Lana: il contrasto tra innocenza ed esperienza, tra luce e oscurità, tra la vita e la morte. Quasi ogni sua canzone contiene un angelo infelice, che è entrato in contatto con il diavolo e ha assaggiato la più potente delle passioni; ma questa relazione sarà al tempo stesso la sua rovina.

Ha voluto che fossi io a intervistarla perché
i giornalisti le fanno sempre
le solite domande

Quindi ho chiesto a un amico il numero di Lana. Per puro caso era anche il suo compleanno, quindi le ho mandato un messaggio di auguri mentre si trovava in tour in Europa. Quando due settimane più tardi è tornata negli Stati Uniti, è venuta a vedere una replica di Uomini e topi e siamo presto diventati amici, grazie al nostro comune amore per la musica e i film. Uno dei nostri argomenti di conversazione è la persona che si nasconde dietro al personaggio. Da attore vedo l’arte – e la vita – come una performance. Lana, come cantautrice, vede il proprio lavoro come espressione della realtà. Io cerco di ribattere sostenendo che, anche se le sue canzoni sono introspettive, contribuiscono ugualmente a creare qualcosa che è sempre opera di Lana – la sua “realtà” è qualcosa che lei stessa crea. Questo punto di vista la mette in difficoltà, perché lei considera se stessa come una reporter delle proprie esperienze, più che come un’artefice del proprio personaggio. Ha voluto che fossi io a intervistarla, perché i giornalisti le fanno sempre le solite domande sulla sua vita sentimentale e sui suoi presunti desideri di morte. Leggono i suoi testi in maniera troppo letterale, e più in generale cercano di sminuirla per motivi che non riesco ad afferrare, anche se sospetto riguardino il suo essere una donna di successo, che al posto di rassicuranti inni di positività ha deciso di scrivere canzoni sul lato oscuro della vita. Lana è sopravvissuta al cliché “vivi veloce, muori giovane”, anche soltanto perché oggi è più vecchia di quanto James Dean non sia mai stato.

Lana è il contrasto
tra innocenza ed esperienza
tra luce e oscurità

Le eroine delle sue canzoni possono vivere vite tragiche e morire per amore prima del tempo, ma la vera Lana ha resistito. I suoi testi possono contenere figure spezzate che vivono in splendidi regni di ombre, ma la sua carriera è l’opposto: un trionfo del femminile, che contro ogni probabilità emerge dal frastuono dei critici che volutamente la interpretano in modo sbagliato. Lana è un enigma che dopo un anno non sono ancora in grado di decifrare. Lei sembra desiderare che le sue canzoni siano lette come confessioni, ma del resto gran parte del suo lavoro è una creazione consapevole. Ho cercato di arrivare in fondo al mistero che è Lana Del Rey.

Ho visto un titolo da qualche parte che diceva che tu e io segretamente stiamo insieme.
C’è qualcosa che vuoi mettere nero su bianco?

Mi domando perché la gente la pensi così.
Credo che sia naturale, perché abbiamo interessi comuni e abbiamo passato del tempo insieme. Siamo della stessa pasta. Non sarebbe così assurdo, no?

Ricordo come siamo diventati amici. Tu sei venuta al mio spettacolo, e ho pensato che saremmo subito andati d’accordo.
Idem per me.

rege

Parliamo dei tuoi video. Quando reciti, sembra che tu stia interpretando un personaggio.
Questo mi ha sorpreso, ma guardandomi indietro credo di capire perché. Penso sia molto difficile distinguere quali aspetti di una persona finiscono dentro a ciò che vedi sullo schermo. Tendo a non esprimermi troppo su questo argomento, perché quando sei in una certa posizione cerchi di tenere per te una parte della storia, anche se artisticamente hai l’impulso di condividerla. Penso che sia stato d’ostacolo, per me, comprendere che stavo parlando di fatti autobiografici, e lo stavo confermando anche da un punto di vista visivo. C’erano cose che volevo esprimere, ma non sentivo il bisogno di commentarle ulteriormente, al di fuori del mezzo in cui le avevo presentate.

Con i cantautori succede così: il loro lavoro viene sempre considerato come qualcosa che è successo realmente.
Quando scrivi i testi di un album in completa autonomia, e quindi concepisci video come i miei, le persone non hanno altra possibilità che valutare quello che vedono. Penso che le critiche provengano direttamente dal contenuto dei video e delle canzoni. Ma io ho un passato movimentato, sono sempre stata piuttosto sincera, a riguardo.

Quindi cosa mi dici di una canzone come Florida Kilos?
È divertente, perché è l’unica canzone di Ultraviolence che non ho scritto da sola. Il coautore è Harmony Korine. Voleva che io scrivessi una canzone per il suo nuovo film, in cui ci sei anche tu mi pare (The Trap, ndr). Parla di cowboy cocainomani. L’abbiamo fatto per ridere: lui buttava giù versi assurdi e io li mettevo in musica. Quella canzone in particolare non è autobiografica.

Ma bisogna aspettarsi che la gente la legga in questo modo.
Sì, quello è il rischio!

Forse non avevi considerato questo aspetto nel tuo primo album, in cui avevi una sorta di ingenua libertà… Ma poi sei diventata una star. Questo ha cambiato il modo in cui scrivi?
Un po’. Non mi sono controllata troppo con Ultraviolence, perché sentivo più che mai il bisogno di essere sincera dopo una traiettoria così tumultuosa. Se vuoi fare un concept album – e per me lo sono tutti, almeno idealmente – devi selezionare le cose giuste dall’intero corpus delle tue canzoni. Con Ultraviolence, per esempio, ho davvero sentito il bisogno di tornare alle mie radici, a qualcosa che fosse più primitivo, più selvaggio. È il motivo per cui ho chiesto aiuto a Dan (Auerbach dei Black Keys, ndr): quello è il tipo di mondo in cui si muove lui. Ho avuto la libertà di registrare qualche canzone dopo una sola prova. Anche se non sono perfette e si sente la mia voce che si incrina, per me sono ugualmente speciali, perché rappresentano il momento in cui sono stata catturata. L’idea dell’album era di suonare nel modo più crudo possibile.



Anche se eri già stata criticata per questo?
Il lusso è che in questo modo puoi continuare a raccontare la tua storia. Il premio è nel documentare la tua vita, se questo è qualcosa di importante per te. Io non sono davvero una regista, ma mi piace scrivere, e per qualcuno che scrive non c’è storia migliore della propria. In un certo senso fare un disco è facile, la cosa difficile è parlarne in seguito. Con Honeymoon mi sono sentita un po’ più giocosa. Non avevo il bisogno di immergermi così tanto in questioni personali, ma ho preferito concedermi un’atmosfera più jazz per l’inizio e la fine del disco, e essere un po’ più ruvida nel mezzo, con canzoni dal ritmo più sostenuto.

Charles Barkley diceva: “Sono un atleta. Gioco a basket molto bene. Non sono un modello da seguire”. Trovo assurdo che la gente ti critichi perché non mandi un messaggio positivo.
Quando scrivi un disco in solitudine non pensi davvero agli effetti che avrà sugli altri. Non sono il tipo di persona che giustifica un comportamento che può ferire gli altri, ma al tempo stesso non ho intenzione di limitare la mia vena lirica a cose che non mi riguardano, o a cantare versi soltanto perché fanno rima. Sono influenzata da ciò che leggo, ma non credo che questo mi abbia mai portato a fare cose che non avrei fatto comunque. Parlo spesso di quanto Urlo di Allen Ginsberg fosse importante per me quando avevo 14 anni, mentre al resto dei miei coetanei non importava nulla. All’epoca della poesia beat, la gente prendeva amfetamine, stavano svegli tutta la notte a scrivere un romanzo dopo l’altro, ma io non mi sono certo messa a imitarli! Quelle letture mi hanno fatto venire voglia di giocare con le parole. Il nostro lusso, in quanto nuova generazione, è che possiamo capire dove vogliamo andare, ed è il motivo per cui mi è capitato di dire cose tipo: “Io non mi concentro sul femminismo, ma sul futuro”. Che non è come dire che non c’è più niente da fare, da quel punto di vista. Io stessa sono stata testimone dell’evoluzione storica di un sacco di movimenti, e oggi sono in prima linea con i nuovi progressi tecnologici. Non sto certo indebolendo altri problemi. Ma credo che tutto questo sia abbastanza scontato, non dovrei nemmeno tornare sull’argomento.

I cantautori devono rispondere a un certo tipo di pressione.
Dobbiamo essere giudicati per quello che facciamo. I cantanti folk erano in prima linea nel movimento per i diritti civili proprio in virtù di quello che cantavano.

Nei vecchi film, i gangster dovevano sempre pagare per quello che facevano.
Essere un autore è più simile a essere un regista che a un attore, perché stai dirigendo una sceneggiatura. Nessuno ti sta dicendo cosa fare, e sei tu a scegliere dove sta andando la tua poetica. Ma come si è visto dalla mia esperienza, non puoi controllare tutto quello che succede dopo. La storia sta nella registrazione. Poi sta a te decidere se una certa persona è di tuo gradimento, oppure no. Voglio dire, non è possibile piacere a tutti.

Le tue canzoni sono evocative perché catturano così bene le circostanze umane. Riesci a esprimere le cose in un modo molto chiaro.
Grazie. Penso che qui tu abbia centrato il punto, perché la cosa fondamentale è la chiarezza. Un sacco di gente ha buone idee, ma tutto ruota intorno alla comunicazione. Per un sacco di mie canzoni non serve guardare troppo in là. Io sono lì. È tutto lì. Potremmo anche parlare d’altro, perché nelle canzoni metto tutto quello che c’è da mettere. Ogni volta che hai una domanda, basta andare a prendere una canzone. La storia si svolge lì.

Honeymoon è un po’ meno dark, ma è comunque dark.
È la vita che è così!

E l’arte è il posto giusto per parlare di queste cose. Penso ad alcune cose che ho fatto, come Spring Breakers. Il personaggio che interpreto in quel film non è un modello positivo. È un assassino, uno spacciatore di droga, un pazzo, una specie di buffone. Ma su un altro livello, è una figura liberata, quasi un guru. Se si guarda al film come a un’opera d’arte, che usa circostanze estreme per parlare della condizione umana, allora ne vado davvero orgoglioso. Abbiamo raccontato qualcosa di unico, e credo che questo valga anche per le tue canzoni.
Bisogna ricordarsi che, storicamente, il cinema è un luogo d’evasione e di intrattenimento. È la forma di intrattenimento più pura che l’America conosca, e la più amata. E la musica, storicamente, è il luogo in cui la gente è andata a cercare la verità, se si pensa ai cantanti roots, folk, jazz e alle origini del rock’n’roll. Detto questo, la musica oggi vive una situazione molto diversa e star di ogni tipo vanno a finire nella stessa categoria. Non lo dico in senso negativo. Penso che la mia musica sia arrivata a un punto in cui l’aspetto visivo non ha minore importanza.

Una volta mi hai detto che non hai mai desiderato cantare dal vivo, almeno non in grandi spazi per concerti, ma il tuo Endless Summer Tour della passata estate sembra essere stata una bella esperienza.
È stato fantastico, abbiamo fatto concerti da 40mila persone. In America è una cosa incredibile.

Quindi ti stai abituando?
Mi sa di sì. (Ride)

Parlami del modo in cui registri i tuoi dischi.
Penso che il mio processo artistico sia rimasto lo stesso negli ultimi sei anni. Ho passato due anni a Londra e in Svezia e in altri posti in Europa per registrare Born to Die. Quel periodo di tempo è dipeso dal fatto che una mia canzone era in radio, ed era arrivato il momento di avere un disco intero. The Paradise Edition è uscito un anno più tardi. Un anno e qualche mese dopo è uscito Ultraviolence, e dopo lo stesso lasso di tempo è uscito Honeymoon. Questa estate sono stata in tour per un po’ di mesi, e prima avevo lavorato all’album per circa otto mesi. L’avevo mixato e masterizzato per altri tre. Oggi sono nella grandiosa situazione in cui posso concepire qualcos’altro, se mi gira.

Stai sempre pensando al prossimo progetto?
Sempre.

Una canzone dell’ultimo disco è d’ispirazione gospel, o quasi.
Si chiama God Knows I Tried. Ci sono canzoni molto orecchiabili, come Honeymoon e Terrence Loves You. Sono belle melodie, con sfumature un po’ noir. La parte centrale del disco è più solare e veloce, più sexy.

Bob Dylan mi ha influenzato molto. Lui probabilmente odierebbe sentirlo

Quali sono le tue influenze costanti?
Il primo è stato Bob Dylan. È la persona che ho sempre preso a modello. Lui probabilmente odierebbe sentirlo, ma è vero. Quello che amo di lui è il modo in cui la sua musa gli ha sempre parlato naturalmente e quando questo non è successo lui ha continuato lo stesso a scrivere, con diversi stili, dall’elettronica al folk. Amo il film Don’t Look Back di D.A. Pennebaker. Quella è stata una forte influenza per me, vedere tutte le persone che sono andate in viaggio con lui, come Joan Baez e la sua band. Amo i Nirvana, questo è abbastanza noto. Amo Courtney Love. Essere in tour con lei è stato un sogno. Mi piace tutto quello che fa, il suo approccio alla vita è un’ispirazione. I Beach Boys, Pet Sounds. I lavori solisti di Dennis Wilson.

È divertente, ti associo così tanto alla West Coast, ma tu sei una ragazza perfettamente East Coast. Perché la West Coast ti attira tanto?
È successo. Non mi rendevo nemmeno conto di incorporare tutto quell’immaginario, già nei miei primi video, quando avevo 16 anni. All’epoca era soltanto qualcosa di ideale. Poi sono arrivata qui e tutto poteva essere vero. E lo è diventato. (Ride). Quando succede così, è bellissimo.

Perché hai chiamato l’ultimo album Honeymoon?
Credo che la luna di miele sia il mio sogno definitivo. Voglio dire, la vita intera è un’honeymoon, no? La vita, l’amore, il paradiso, la libertà. Con qualcuno, o solo con te stesso. Mi suonava bene, così come Ultraviolence suonava bene prima di questo, quando ero più incazzata (Ride). Mi piace pensare che la vita sia un sogno, e sta a te coltivare il tuo spazio per far sì che diventi un paradiso. Dipende tutto dal tuo stato mentale, ed è il motivo per qui non faccio tante interviste – mi mette di cattivo umore, cazzo. Io cerco di far sì che il mio mondo sia bello, ma è difficile. Siamo in un momento in cui la vita può davvero diventare ciò che vuoi che sia. Sei d’accordo? O tu pensi soltanto al lavoro?

La mia vita è esattamente come vorrei che fosse.
So che questa intervista sarebbe su di me, ma sono curiosa di sapere se è necessario, per te, che la tua vita sia un’espressione della tua arte.

Cerco di fare in modo che la mia vita privata sia il più stabile possibile, in modo da fare ciò che voglio nella mia vita creativa. E una delle cose più intime che conosco è fare qualcosa con qualcuno. Ho un’altra domanda. Una volta hai detto che tu hai più successo in Europa. La vedi ancora così?
La prospettiva della gente cambia di continuo. Le persone cambiano idea. Ma so che se vado a Parigi per una serie di concerti all’Olympia, l’esperienza sarà bellissima e non correrò il rischio di essere male interpretata. Non mi è mai successo in Francia, o a Milano. Pur con tutti i problemi che ho avuto con la stampa inglese, so che quella è casa mia, musicalmente. Quindi forse sarà così sempre. Ma adesso in America mi sento più a mio agio.

Qui sei l’artista più trasmessa, in termini di streaming. La tua musica è decisamente popolare. (Ride)
Credo che ci sia una discrepanza tra chi ascolta la musica e un settore molto rumoroso di persone che hanno un sacco di cose negative da dire. I due gruppi quasi si cancellano a vicenda. Le statistiche sono così impalpabili, è difficile capire davvero qualcosa. Sentirti dire qualcosa, o leggere qualcosa su di te, non ti fa capire davvero se piaci alle persone o meno. Ma questo non significa che non ti ascolteranno.

Non sei certo una specie di…
Un’artista rock provocatoria?

Esatto! E se tu potessi fare album senza dare interviste, credo che lo faresti. Non pretendi molta attenzione, ma ugualmente colpisci alcune corde nelle persone. Come mai?

Penso che quando valuti un artista per quello che fa, e sei costretto a giudicarlo da un punto di vista poetico, puoi trovare cose molto difficili da digerire. Le persone reagiscono male ad alcuni scenari negativi in cui mi addentro, musicalmente. E se non è questo, sarà qualcos’altro, qualcosa che probabilmente non sapremo mai, giusto? Ma il mio lavoro è la mia vita, e sono fortunata a poter viaggiare con un diario, entrare in contatto con la natura e riflettere le mie interpretazioni in forma di canzone. È un lusso, e me ne rendo conto. Per quanto spiacevoli possano essere le interviste, quando non le sto facendo ho tutto il tempo di inseguire ciò che desidero. E poter passare la propria vita a fare ciò che si ama? È il traguardo definitivo.

Questo articolo è pubblicato su Rolling Stone di gennaio.
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