J Balvin: il reggaeton è di tutti | Rolling Stone Italia
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J Balvin
Il reggaeton è di tutti

Il pioniere del reggaeton italiano Fred De Palma intervista il re del reggaeton mondiale: la musica latina nel mondo, l’appropriazione culturale, i danni che sta facendo Trump, la casa che sta comprando in Toscana, l’album che vorrebbe registrare in Italia

Foto: Gianluca Fontana per Rolling Stone Italia. Tank: THUG CLUB

La prima canzone che ho sentito di J Balvin è Tranquila. Sarà stato il 2013 ed era già una hit mondiale, forse una delle prime a uscire dal circuito latin. Da lì ho cominciato a seguire con più attenzione le mosse discografiche di questo colombiano che ha da poco compiuto 40 anni – nell’intervista che segue mi ha anticipato che avrebbe festeggiato il compleanno con gli amici nella sua nuova villa in Toscana, non poteva sapere che i suddetti amici gli avrebbero regalato il primo prototipo, funzionante e fedele in ogni dettaglio, della moto di Akira, l’anime cult del 1988.

Energia, il suo disco del 2016, ha segnato la mia visione della musica. Da quel momento il mio legame con la musica latina non ha fatto che consolidarsi anno dopo anno. Mi ha convinto che quella era la strada da percorrere, nonostante nessuno in Italia sapesse davvero cos’era il reggaeton. Per la maggior parte della persone, compresi molti colleghi, la parola racchiudeva un minestrone contenente Danza Kuduro, Mueve la colita, i balli di gruppo dei villaggi turistici e la Gasolina di Daddy Yankee.

Un decennio dopo l’opinione popolare è leggermente (anche se non del tutto) cambiata anche grazie ad altri artisti chiave come José (come chiamerò J Balvin per tutta l’intervista), Bad Bunny e Maluma, gente che ha reso globale il genere raccontandolo ognuno con la propria voce, dalla propria terra. In Italia è associato in modo stereotipato ai tormentoni da spiaggia, ma per fortuna lo è meno di dieci anni fa, anche perché ormai è dentro i dischi di tutti.

Ci penserà comunque Balvin a far cambiare idea agli italiani. Ha intenzione non solo di passare molto tempo nella sua nuova villa dalle parti di Montalcino, ma di imparare «entro un anno o due» l’italiano, lingua che peraltro parla già benissimo. Insomma, sta per arrivare in grande stile nell’industria musicale italiana uno dei più grandi player mondiali. Io non aspetto altro. Nell’attesa, ci godiamo la sua data del 25 giugno al Kozel Carroponte di Sesto San Giovanni, con Tony Effe in apertura.

Hai sempre avuto chiaro chi volevi essere artisticamente o ci sono stati momenti in cui ti sei perso prima di ritrovarti?
Certo che mi sono perso per strada, mi è successo molte volte. Quando è successo mi sono preso un momento per rifiatare e pensare alla ragione per cui ho deciso di essere un artista. È così che sono sempre tornato in carreggiata. Penso sia capitato a tutti almeno una volta. Non sono l’eccezione di nessuna regola della vita. Perché per cercare le canzoni dobbiamo perderci. Come si dice? Perdersi per ritrovarsi.

Foto: Gianluca Fontana per Rolling Stone Italia. Shirt: SCD CROWD

Il reggaeton ha conquistato il mondo. Quale credi sia il prossimo passo evolutivo del genere?
Credo che tutti i movimenti siano ciclici. Dopo un inizio dal basso arrivano le contaminazioni, ad esempio con l’elettronica, la house, l’Afro. Ma alla fine, ed è questa la parte interessante, tornano alle radici. Per questo credo che il reggaeton tornerà al suo suono originale. Quando ascolto musica latina, sento molto la sua vibe, la sua essenza che non è elettronica, né rock. E non devi essere latino o sudamericano per fare quella musica. In Italia esistono tante persone di talento che la fanno. Ovviamente, se sei sudamericano, porterai la tua verità, il tuo gusto.

Quindi non credi al concetto di appropriazione culturale?
Appropriazione culturale? No, non credo a queste cose. Per me quello che fanno gli esseri umani è di tutti gli esseri umani. Non c’è eccezione alcuna né di razza, né di cultura. Per me il concetto di appropriazione culturale vale zero. Sennò gli italiani non potrebbero giocare a calcio, che è stato inventato in Inghilterra. Messi non potrebbe essere il campione del mondo perché è argentino? E Cristiano Ronaldo? No, non credo a queste cose.

Penso tu abbia ragione.
Forse perché sono cresciuto in Colombia e lì non percepisci la differenza tra bianchi, neri, asiatici. Nella musica così come nello sport, non c’è più o meno verità in base al colore della pelle. È un linguaggio unico. Per esempio c’è una ragazza da voi in Italia che mi piace molto, si chiama Mydrama. Mi ha scritto giusto ieri e abbiamo parlato di un po’ di cose. Se hai cose da dire, se hai tante tracce interessanti che ti stanno a cuore, se le vuoi esprimere col reggaeton, da me avrai solo stima. Le ho detto che ha talento. Da artista latino non la vedo come appropriazione culturale, è invece un prezioso apporto alla causa mia e di tanti artisti che difendono un movimento. Se un giorno anche Sfera vorrà fare un reggaeton, reggaeton sia. O Dani Faiv o Geolier.

In Italia è un po’ una lotta, da noi è un genere relativamente nuovo. Molte persone non capiscono quel che faccio, mi accusano di appropriazione culturale. Ma è quello che voglio fare e tu, dicendomi così, mi stai motivando molto.
Sono un grande amico di Daddy Yankee e siamo entrambi felici sapendo che in altri Paesi con altre culture si pensa a fare una propria versione del reggaeton. In India c’è un artista che si chiama Badshah con il quale ho lavorato e laggiù è considerato il re del reggaeton. Anche in Olanda hanno un loro movimento reggaeton, è una versione più funk ma comunque latina. Come il rap, anche il reggaeton è un fenomeno worldwide. Io credo che la domanda che si potrebbe porre a chi ti critica in Italia è: ok, perché puoi fare rap, un genere che è nato negli Stati Uniti, e non puoi fare reggaeton, che viene dall’America Latina? Oltretutto, c’è una connessione più forte tra i latini e gli italiani che tra gli americani e gli italiani, no? Di sangue e di lingua siete più vicini a noi che agli americani. Se poi mi chiedi il mio posto preferito al mondo, ti rispondo la Toscana.

Davvero?
Sì, ci vorrei tanto registrare un album. E lo farò. Vicino a Firenze o a Montalcino, da quelle parti. Registrare un disco allegro, bevendo vino, tranquillo. Mi dà molte vibrazioni quel posto, tutte le vibrazioni del mondo. Mi piace molto il vino di Montalcino. Tra l’altro sarò a Montalcino a festeggiare il mio compleanno tra tre settimane con tutti i miei amici. Ti dirò di più: penso di ritirarmi a 60 anni a vivere lì. L’Italia è il mio Paese preferito, giuro.

Incredibile, non lo sapevo.
Sì, sto pure comprando casa in Toscana.

Foto: Gianluca Fontana per Rolling Stone Italia. Suit: SCD CROWD

Pensa che se mi avessero chiesto qual è mio posto preferito, avrei risposto Medellín. Sono stato lì a fare musica ed è stato incredibile. Ha una vibrazione pazzesca.
Sì, ha senso. Mi appassiona molto la cultura italiana per la musica, l’estetica, il design. E la gastronomia. Ci sono delle affinità con i latini in generale.

Il tuo italiano tra l’altro è ottimo. Quando farai una canzone nella nostra lingua?
Credo tra un anno. Fra un anno o due quando lo parlerò perfettamente e mi sentirò più a mio agio. Tutto quello che faccio deve venire dal cuore, senza forzature. Mi piacerebbe moltissimo farlo. Tu sei amico di Anitta, no?

Mia sorella, lei. Abbiamo due canzoni insieme in italiano. È bravissima in tutte le lingue.
Dio mio sì, incredibile. Lei parla tutte le lingue. Pazzesca. È molto brava in quello che fa.

Credi che trasferirti da piccolo negli Stati Uniti sia stato cruciale per la tua carriera?
Al 100%. Se non lo avessi fatto, non avrei avuto una visione così ampia: globalizzarmi, conoscere nuove cose, imparare l’inglese, raggiungere altre culture, imparare di più sull’estetica, sulla moda, sull’arte, sulla produzione. Trasferirmi a New York mi ha aperto molte porte. Sai, ascoltare i Wu-Tang, i Mobb Deep. Vivermi quello che stava succedendo nei primi 2000 e anche roba che era già old school all’epoca. Poi ho ascoltato tanto anche i Nirvana, i Metallica. Tutto il grunge, l’heavy metal. Kurt Cobain è una delle mie icone.

Una delle tue collaborazioni più incredibili è stata con i Metallica nel remake del Wherever I May Roam. Come è nata?
Mi ha chiamato il loro team. Sapevano che sono un grande fan e mi hanno chiesto di partecipare al remake del Black Album per i 30 anni dall’uscita, nel 2021. Ho accettato immediatamente. È stato un onore lavorare con loro e fare parte della loro storia, perlomeno per quello che posso apportare come latino. Sono una band tra le mie preferite nella storia. Super felice.

Foto: Gianluca Fontana per Rolling Stone Italia. Shirt: SCD CROWD

Abbiamo assistito a molti dissing tra i giganti del rap mondiale. Succede anche nella scena latina?
Dipende dal livello di popolarità. I beef ci sono, ma a livello più basso o nell’underground, solo in pochi casi gli artisti sono conosciuti. Ti dirò, la scena colombiana è molto unita. Dopo quelli di Porto Rico, che hanno inventato il genere, siamo arrivati noi. Ora ci sono anche gli argentini, ci sono i cileni che fanno reggaeton, gli ecuadoriani. È un genere che si è decentralizzato. Sappiamo che viene da Porto Rico, ma ormai appartiene al mondo. Come dicevamo prima, no? Che è di tutti.

Hai fatto freestyle nella tua vita? Intendo proprio le battle.
Sì, molte. Dopo aver vinto un paio di battaglie di freestyle il mio nome ha cominciato a girare per Medellín. È questione di pratica e di allenamento. Devi avere disciplina e farlo tutti i giorni. Ora sono più focalizzato sull’andare in studio e fare musica, ma non c’è dubbio che l’improvvisazione mi abbia molto aiutato per i flow delle strofe. Sono stato in studio con molti artisti latini e ho visto che molti scrivono il pezzo di getto, in freestyle. Una delle mie canzoni più conosciute, Tranquila, è nata così.

Tu pensa che è stata il primo reggaeton che ho ascoltato.
Ma va? Eh, il freestyle mi ha aiutato a essere più veloce nelle strofe, ma poi quando c’è da fare i ritornelli cambia tutto. Non è così semplice, vero? Bisogna trovare una buona melodia per un ritornello.

Ti appoggi spesso a songwriter per questo motivo?
Dipende. Ci sono volte in cui scrivo tutto io in studio, altre volte sono coi miei amici, con Luis O’Neill, che è come la mia mano destra. A volte invece mi mandano tracce che mi sembrano fortissime così come sono e le registro. Ci sono molti modi di farlo.

Foto: Gianluca Fontana per Rolling Stone Italia. Tank: THUG CLUB

Ora vivi negli Stati Uniti e nel 2015 sei stato uno dei primi a denunciare le cose che Trump diceva sugli immigrati. Immaginavi che le cose potessero peggiorare così tanto?
È sempre stato brutto, ma la situazione è peggiorata. Voglio dire, ora è come se l’immigrato fosse un nemico pubblico. Sono in tour in questo momento qui negli Stati Uniti e faccio un discorso incentrato sull’amore da dare a chi soffre, a chi è povero. Continuo a farlo, è questo il mio messaggio.

Non è una bella situazione.
È assurda e triste, ma è importante continuare a inviare messaggi di amore e pace ai concerti dove proviamo una connessione potente con i fan. Oltre a far musica, mandi un messaggio ed è quello che faccio io. Dico di prendersi cura della propria gente, di amarsi a vicenda, di abbracciare la propria cultura. Faccio del mio meglio per diffondere amore e rendere le persone consapevoli della situazione degli immigrati. Il problema è che le persone non accettano le differenze tra culture e questo è fondamentalmente il motivo per cui molti politici vanno al potere facendo leva sulle paure della gente.

La tua musica unisce le persone.
Lo spero. È il motivo che mi fa alzare la mattina.

A proposito, ora è mattina a New York. Hai già fatto colazione?
Niente colazione oggi. Sto facendo solo un sacco di palestra, palestra e ancora palestra.

Intervista raccolta da Claudio Biazzetti.

Foto: Gianluca Fontana per Rolling Stone Italia. Shirt: SCD CROWD

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Photographer: Gianluca Fontana
Art director: Leftloft
Producer: Maria Rosaria Cautilli
Fashion editor: Francesca Piovano
Talent PR manager: Ximena Acosta
Talent manager: Chris Knight per ROC Nation
Talent artistic direction: Mattias Gollin
Talent personal stylist: Romain Reigner
Make up artist: Vanessa Forlini per Making Beauty
Grooming specialist: Massimo Ginesi per Making Beauty
1st photographer assistant – lights: Fernando Avila
2nd photographer assistant – digital: Arnaldo Abba
Location: FotoStudio Castello

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