In trincea con Nirvana e Sonic Youth | Rolling Stone Italia
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In trincea con Nirvana e Sonic Youth

Dave Markey ha colto la rivoluzione del rock alternativo nel documentario cult ‘1991: The Year Punk Broke’. Qui racconta lo spirito di quel tour e l'incontro con Kurt Cobain poco prima del boom

In trincea con Nirvana e Sonic Youth

Kurt Cobain sul palco nel 1991

Foto: Gie Knaeps/Getty Images

Trent’anni fa, il 18 agosto 1991, i Nirvana si trovavano all’aeroporto di Los Angeles per salire sul volo United 934 diretto in Europa. Erano stati invitati da Thurston Moore a prendere parte ad un tour congiunto di un paio di settimane per aprire i concerti dei Sonic Youth nei principali festival europei tra i quali spiccava quello di Reading, in Inghilterra. Oltre a loro una carovana di altre band: Babes In Toyland, Dinosaur Jr, Gumball e Ramones.

I tre Nirvana, in attesa di imbarcarsi sull’aereo, conobbero il regista Dave Markey anche lui reclutato da Thurston Moore per documentare l’intero tour intitolato poi 1991: The Year Punk Broke. Un nome ironico nato proprio da una battuta goliardica del regista dopo aver visto i Mötley Crüe in onda su MTV mentre suonavano Anarchy in the U.K.

I Nirvana, il giorno prima della partenza, avevano ultimato le riprese di quello che sarebbe diventato il video di Smells Like Teen Spirit, il primo singolo estratto dall’album Nevermind che sarebbe stato pubblicato il 24 settembre. Motivo per cui Kurt Cobain era stanco e assonnato. Era anche molto scocciato dall’atteggiamento autoritario del regista Samuel Bayer sul set del video. Disappunto che non mancò di esprimere a Markey definendolo «un coglione». Dave Markey, insieme ai Nirvana, si svegliò la mattina seguente alle 7:30 all’aeroporto di Heathrow e da lì avrebbe raggiunto i Sonic Youth a Londra per fare il punto della situazione. Il 20 agosto, infatti, dovevano arrivare a Cork, in Irlanda, per il primo dei dieci concerti previsti per il Summer Euro Tour del ’91.

Dave Markey, con la sua Super-8, seguì l’intero tour viaggiando sul bus dei Nirvana e ascoltando in anteprima Nevermind insieme ad altre cassette o film che la band portava con sé per ingannare il tempo, perché talvolta l’attesa tra un concerto e l’altro poteva essere deleteria per l’umore. Ma all’epoca Kurt Cobain era sempre allegro a dispetto dell’immagine che i media avrebbero disegnato di lui negli anni del boom del grunge. Anche le altre band non dovevano farsi pregare in quanto a diversivi per evitare la noia. Il documentario mostra senza alcun imbarazzo momenti di puro cazzeggio e scherzi da studenti in gita scolastica senza alcun docente come supervisore. D’altronde erano tutti dei ragazzi, poco più che ventenni, in vacanza (o quasi) in Europa.

Anche i Nirvana si ritrovavano per la prima volta a vivere una situazione davvero niente male: un contratto discografico appena firmato con una major (la stessa dei loro padrini Sonic Youth), un crescente interesse del pubblico verso la loro musica (come dimostrano le esibizioni presenti nel documentario), un anticipo in denaro per registrare e un po’ di soldi extra per vivere decentemente, almeno per qualche tempo.

Il clima era rilassato e in quel circo itinerante l’unico imperativo era fare baldoria: scolare tutti i liquori dei promoter, iniziare quelle che divennero le «famose» battaglie con il cibo nel backstage e fare altri danni non appena c’era un estintore nei paraggi pronto ad essere azionato. In questo contesto appare perfettamente normale vedere Thurston Moore impersonare una specie di intrattenitore televisivo e poco dopo rappare con dei ragazzini in Germania o improvvisare un beat hip hop mentre Kurt Cobain e Kim Gordon se ne stanno vicino ai binari del treno danzando.

Al concerto di Reading, che forse rappresenta l’apice di questo documentario musicale, i Nirvana (davanti ad un pubblico di 70 mila persone) iniziano metaforicamente la scalata verso il successo. In quel frangente Markey è nel backstage dove incontra Courtney Love. La futura moglie del frontman dei Nirvana non esita a dichiarare alle telecamere: «Kurt Cobain mi fa battere forte il cuore, però è uno stronzo». Forse solo lei aveva già le idee chiare in merito al suo avvenire dichiarando poi apertamente: «Il mio nome è Courtney Love e diventerò famosa». Ma questa è un’altra storia.

Qual è la prima cosa che ricordi di quell’esperienza dopo tutto questo tempo?
Io che corro come una gallina senza testa per questi enormi festival musicali, con la mia cinepresa Super 8 e una valigia di pellicole. Nessuno che mi aiutava, nessuna squadra, nessun assistente. Il fatto che non ho perso nulla e che fossi capace di gestire il tutto. Sono contento di aver tenuto un diario scritto. Avrei dovuto utilizzare un po’ di quello anche nel film, insieme alle foto.

Se ripensi a te stesso in quegli anni che ricordi hai?
Avevo 27 anni al momento delle riprese, eppure ero ancora un ragazzino. C’era ancora molta strada per crescere, ero una persona diversa e il mondo era un posto completamente diverso, quindi rivisitare le decisioni creative prese in quel momento è inutile. Ho fatto quello che potevo. Ma resta il fatto che questo tour è stato probabilmente il più divertente che abbia mai fatto.

Hai girato diversi videoclip musicali per Sonic Youth, Meat Puppets, Black Flag, Muffs e molti altri ancora della scena alternativa. Qual era la difficoltà maggiore a quei tempi nell’affrontare le riprese video?
Ho girato diversi video con budget limitati, poi, dopo il 1991, dopo i Nirvana, ho iniziato a disporre di più soldi per produrre le clip. I budget più elevati mi hanno fatto decisamente migliorare. Allo stesso tempo ero molto selettivo nel decidere con chi lavorare. Se non conoscevo e apprezzavo un gruppo rifiutavo il lavoro. Non ho mai fatto niente che non avessi voluto, senza pensare alla carriera o ai soldi. Nel bene o nel male non mi è mai importato di far piacere a nessuno se non a me stesso. Non l’avrei mai chiamata scena alternativa, questo era il nome dato dai media. È stato un buon periodo per il lavoro e l’economia andava alla grande. Ma sì, gli anni ’90 sono stati un po’ strani.

A proposito del documentario: c’è una foto che ti ritrae con una valigia piena di Kodak Super 8 film, quante te ne sei portate?
Non ricordo il numero effettivo delle bobine, ma la valigia ne era piena. C’erano molte pellicole di diverso tipo, a colori e in bianco e nero, contenute in piccole cartucce da 50, e poi avevo le fantastiche bobine Kodachrome 40 da 200 che consentivano tempi di ripresa più lunghi. La cartuccia da 50 funzionava per circa 3 minuti e poi doveva essere cambiata. Avevo portato con me una fotocamera Beaulieu 7008 Super 8 con un obiettivo staccabile Angenieux 12-120. Dopo poche date del tour la telecamera si è distrutta e ne ho trovato un’altra, la Beaulieu, a Londra che sono riuscito a far funzionare con il mio sistema di ricarica e le scorte di pellicola che avevo (non tutte le fotocamere Super 8 erano equipaggiate per gestire bobine di pellicola da 200). La pellicola era, all’epoca, relativamente poco costosa ed era possibile girare nove ore e poi sviluppare tutto per poche centinaia di dollari.

Avevi qualche idea di quello che avresti voluto girare per il documentario?
Non c’era proprio modo di programmare niente. Seguivo solo quello che sentivo al momento. Ho dovuto fare parecchie scelte mentre giravo perché avevo una quantità di pellicola limitata, i festival erano pieni di gruppi e c’erano sempre più cose allo stesso momento in posti diversi.

Nirvana - School (Live) | 1991: The Year Punk Broke

Quando hai ricevuto la telefonata da parte di Thurston Moore che ti chiedeva di partire con loro, ti parlò anche delle altre band?
I Nirvana erano stati in tour l’anno precedente con i Sonic Youth. Avevano aperto alcuni spettacoli a Los Angeles, nel 1990 e altrove. Al tempo nei Nirvana c’era Dale Crover alla batteria, poco prima che reclutassero Dave Grohl. Thurston mi aveva fatto sentire Bleach (il primo disco dei Nirvana, nda) probabilmente l’anno prima, e mi era piaciuto.

Come mai Thurston Moore scelse proprio te?
Avevo già fatto dei corti e dei video musicali con i Sonic Youth prima di questo progetto che erano venuti bene. A loro poi piacevano i miei primi lavori (Desperate Teenage Lovedolls, Lovedolls Superstar, Stoner Park ecc) e penso che volessero vedere come lavorassi. Mi hanno assunto per il lavoro, che all’epoca era solo documentare un tour di due settimane per auto-distribuirlo in VHS. Nel 1986 sono stato in tour con i Black Flag per sei mesi. Ero il batterista e cantante dei Painted Willie. Ho girato un sacco di film in Super 8 in quel tour che in seguito sono diventati il film Reality 86’d che ho messo insieme all’inizio del 1991. Thurston Moore ha visto quel film, e questo era probabilmente il motivo per cui voleva che partecipassi durante il Summer Euro Tour del ’91 con loro e i Nirvana.

Era la tua prima volta in Europa?
Sì, è stata la mia prima visita in Europa e mi è piaciuta tantissimo. Tutto sembrava molto più vecchio e colmo di storia paragonato all’ambiente in continuo cambiamento dove sono cresciuto io, nella California del sud, dove i punti di riferimento vengono demoliti come niente e c’è zero rispetto per la storia e la cultura.

Hai incontrato per la prima volta Kurt Cobain, Novoselic e Grohl il 18 agosto 1991 all’aeroporto di Los Angeles.
La band aveva lavorato fondamentalmente senza sosta nelle ultime 24 ore a quelle riprese ed era esausta. Immagino che il piano fosse dormire sull’aereo. Non ricordo molto di cosa mi dissero delle riprese del video di Smells Like Teen Spirit a parte Kurt che pensava che il regista fosse un coglione. Erano ancora di buon umore tutto sommato. Poi ci siamo messi tutti nella stessa fila, e anche nel tour bus se non sbaglio eravamo spesso insieme. C’era molta eccitazione per quel momento.

Hai mai parlato ai Nirvana della possibilità di girare uno dei loro videoclip?
Mi sembra di ricordare che Thurston l’avesse suggerito a loro. Hanno comunque utilizzato un mio filmato nel video Lithium. Ma a parte quello, le cose andarono così velocemente per la band in quel periodo…

I Nirvana, durante il tour, ti regalarono anche una “advance cassette tape” di Nevermind da ascoltare.
Penso di aver ricevuto la cassetta a Londra. Quel giorno stavo uscendo con i Nirvana mentre loro erano impegnati con alcune interviste. Era una giornata off durante il tour e così l’ho ascoltato e il giorno seguente continuai a farlo ancora durante un viaggio in treno. E successivamente di nuovo e ininterrottamente sul tour bus dei Sonic Youth. Non ricordo, però, di avere mai parlato con Kurt dell’album. Non so quali fossero le sue aspettative, ma potevo sentire l’atmosfera di eccitazione. Questo era molto evidente.

A Rotterdam, il 1° settembre 1991, hai chiesto a Kurt Cobain di suonare In Bloom perché non eri riuscito ancora a fare una ripresa di quella canzone per il documentario. Nel diario scrivi:«Alla fine del set Kurt entra in modalità “distruzione” e non si ferma finché i buttafuori non lo avvicinano. Poco dopo Alex, il road manager, mette fine a tutto questo casino».
Quell’ultimo spettacolo è stato folle. Penso che la band fosse fuori controllo. I Nirvana hanno avuto la loro modalità “distruttiva” sul palco che accadeva in diversi modi durante la maggior parte degli spettacoli di quel tour, ma l’ultimo concerto è stato probabilmente il più drammatico dato che la sicurezza del festival ha inseguito Kurt.

Con il trascorrere del tempo il pubblico ha associato a Kurt Cobain a figura di un ragazzo depresso, triste, dedito solo alle droghe. Tu che ricordo hai di lui?
Non era un tossico durante quel tour. Era felice di esserci, c’era molta eccitazione nell’aria. Pensavo fosse un bravo ragazzo, magari un po’ riservato e pensoso ma era anche divertente. Non credo che la gente conosca il suo senso dell’umorismo. Era un bel contrasto vederlo sul palco essere il contrario di come era. Un piccoletto con una fantastica voce, profonda e intensa. Era un grande autore. Mi piace quello che ha fatto, solo avrei sperato che rimanesse in giro per un po’ più di tempo. È orribile sapere cosa gli è successo alla fine.

Ti sorprese il successo mondiale che ottennero i Nirvana?
Nessuno poteva sapere cosa sarebbe successo ai Nirvana. La grandiosità del loro successo, intendo. Dovevi essere fuori di testa per pensare che sarebbero diventati numero 1 in tutti il mondo vendendo milioni di dischi, riempiendo stadi e spodestando Michael Jackson dalle classifiche. Detto ciò, mi piacevano davvero tanto, ed ero esaltato nel vedere qualcosa che mi piaceva così tanto arrivare a così tante persone.

Credi che il pubblico, oggi, associ il tuo documentario soprattutto alla presenza di Cobain?
Se è così, ben venga! È davvero qualcosa di cui andare fieri… E poi so che anche il film ha i suoi fan. Al tempo i Nirvana erano il gruppo spalla dei Sonic Youth ed erano stracontenti di esserci. Puoi vedere Cobain sorridere e divertirsi per tutto il tempo. È stato davvero un bel periodo. A posteriori è stata la quiete prima della tempesta. Sono poco interessato all’effetto nostalgia, mi interessa di più che i ragazzini di oggi possano vederlo. Questo mi gasa da morire. Nonostante questo film sia stato distribuito in modo molto più diffuso di ogni altra cosa che io abbia mai fatto, prima o dopo, continuo a considerarlo un film underground. Inoltre questo non è un film per tutti, specialmente per quelli senza senso dell’umorismo o ironia.

Se ti chiedessi i ricordi più folli di quelle due settimane che diresti?
Non saprei, ma c’era molto in ballo di sicuro. Alla fine del secondo concerto dei Sonic Youth a Dublino la mia cinepresa ha smesso di funzionare. Ero riuscito a recuperare una Beaulieu più scadente (la 5000) che comperai il giorno dopo in Inghilterra. Sono riuscito a usare la pellicola 200 e le batterie che avevo. Ma per una notte e un giorno sembrava che non avrei potuto più continuare a girare. E il terzo show era il Reading Festival. Tutto è poi filato liscio.

Continuavamo a sentire riferimenti al punk ovunque in Europa in quel periodo. La più strana fu sentire i Mötley Crüe fare la cover di Anarchy in the U.K. e un inserto di moda di Elle intitolato “Modern Punk”. Thurston era sulla copertina di Guitar Player. Era tutto a sostegno del titolo e della tesi del film, che stava venendo fuori con le buone o con le cattive man mano che il tour andava avanti. Come il graffito che ho visto in un paesino della Germania Est che diceva “Punk Rules OK!” e che ho fotografato e usato durante la performance di Smells Like Teen Spirits dei Nirvana.

Ci furono anche concerti di Iggy Pop e dei Ramones. Tutto questo finì con il definire il contesto del film. Bevevamo tantissimo durante i concerti. Fumavamo anche hashish. Ho preso un acido a Norimberga dove c’era questo grosso carnevale con dei raccapriccianti macchinari audio animatronic di scimmie che parlavano tedesco. Tutto questo poi è finito nel film, ovviamente, anche se non so se le allucinazioni sono poi passate anche nel film o no, ma penso che l’energia del tour sia stata ben documentata.

Dopo quel tour sei rimasto in contatto con le band?
Sì, con i Sonic Youth, di cui sono buon amico ancora oggi. Ho lavorato con loro diverse volte in seguito, il clou sono stati i video di Superstar (1995) e I Love You Golden Blue (2004). Ho anche scritto con loro la canzone Screaming Skulls nell’album Experimental Jet Set, Trash and No Star del 1994.

Sono stato con i Nirvana durante tour successivi, ho visto tutti i loro concerti a Los Angeles e ho anche filmato la loro apparizione unplugged a New York. Sono stato da Krist per un po’ nel 1994 dopo la morte di Kurt. Mi sono visto per un po’ con Lori Barbero delle Babes In Toyland nel 2000 quando ho proiettato il film a Minneapolis. Ho passato del tempo anche con Dave Grohl nel corso degli anni, è riuscito a portare la sua band a livelli impressionanti.

C’è qualcuno o qualcosa che senti di ringraziare per quell’esperienza?
Thurston Moore, prima di tutto. È tutta opera sua. I dieci anni che ho passato nelle trincee del punk hardcore americano prima di questo tour è la seconda. E la terza è mio padre, per aver avuto una 8mm nella casa dove sono cresciuto.