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Il vero e il falso nella storia del Nirvana

La riedizione della prima e più importante biografia del gruppo ha offerto a Michael Azerrad la possibilità di confrontarsi con miti e inesattezze. Sì, le polemiche sul mix di ‘In Utero’ sono «un mucchio di stronzate». No, Kurt non ha mai vissuto sotto un ponte. Sì, ‘Very Ape’ è ispirata a una band argentina

Foto: Gutchie Kojima/Shinko Music/Getty Images

Non c’è telefonata migliore che un giornalista musicale poteva ricevere negli anni ’90. Poco tempo dopo avere intervistato Kurt Cobain per la prima cover story di Rolling Stone sui Nirvana, Michael Azerrad è stato contattato da Courtney Love: voleva scrivere un libro sulla band? Dopo nove mesi di lavoro matto, Azerrad ha pubblicato Come As You Are. Era il 1993, giusto in tempo per l’uscita di In Utero.

Trent’anni dopo Azerrad, che è autore anche dell’amatissima epopea indie/punk Our Band Could Be Your Life, ha ripubblicato il libro come The Amplified Come As You Are. È lungo il doppio della versione originale e comprende nuovo materiale frutto di interviste, fact checking, rivelazioni.

È interessante l’esercizio letterario del disco, la conversazione che fai fra te e te.
Mi sono ispirato al libro sui Rolling Stones del grande Robert Greenfield, che scriveva per Rolling Stone nei primi anni ’70. Si initolava Ain’t It Time We Said Goodbye e conteneva tra le altre cose un breve dialogo tra lui da giovane e lui più avanti con l’età. Se l’aveva fatto Greenfield, potevo farlo anch’io.

Sono usciti molti libri sui Nirvana, ma il tuo è stato il primo, cosa che ha reso tutto più difficile: dovevi raccontare molte cose per la prima volta.
Ho avuto il vantaggio di parlare con tutti i membri della band, nessun altro l’ha più fatto. È stato un colpo di fortuna. Ma è vero che quando ho scritto Come As You Are non c’erano anni e anni di articoli  e interviste, e nemmeno altri libri, Internet o clip su YouTube. C’era però un problema, ovvero dovevo contare sul fatto che le persone con cui parlavo mi dicessero la verità, cosa che non succedeva sempre. E poi ho dovuto scrivere il libro in nove mesi, non ho avuto il tempo di verificare un sacco di cose, che è poi uno dei motivi che mi hanno spinto a fare questa nuova edizione.

Apparentemente Kurt, parlando con te, voleva sfatare i miti in circolazione sul suo conto, in realtà in molti casi li ha alimentati.
Diceva di non avere mai seguito il giornalismo musicale, ma dalle nostre chiacchierate e dal modo in cui parlava di rock si capiva che aveva letto parecchia stampa musicale. Sapeva che i grandi artisti costruivano miti sul proprio conto per rafforzare la loro immagine o, per usare il linguaggio di adesso, il loro brand. Kurt ne era consapevole e l’ha messo in pratica con me. Ho avuto la possibilità di sfatare alcuni di questi miti solo 30 anni dopo.

Per dirne una, non ha mai vissuto sotto un ponte.
Mi ha abbindolato con quella storia e la cosa mi ha spinto a lavorare alla riedizione. Senza sapere dove sarebbe stata pubblicata, ho scritto una cosa su come mi aveva fregato con la storia del ponte e sulla dinamica musicista-intervistatore. Volevo postarlo sul mio blog e poi twittare il link, per farlo leggere a qualcuno. Poi mi sono detto: aspetta, magari c’è qualcos’altro nel libro di cui posso parlare. Così l’ho aperto e già a pagina 1 ho trovato qualcosa da dire. Ho finito il lavoro due anni dopo.

Un’altra cosa che si viene a sapere dalla nuova edizione è che c’erano due autori inglesi che stavano lavorando a un libro sulla band e che stavano causando un sacco di problemi ai Nirvana. Nella prima versione del libro, Kurt ammetteva di averli chiamati e minacciati di morte. Ora scopriamo che Come As You Are è nato come un tentativo di Kurt e Courtney di uscire prima di quel volume.
Quando Courtney mi ha chiamato, le ho detto: «Fantastico, ma posso parlarne con Kurt?». Lei me l’ha passato. Avevo già fatto la cover story di Rolling sui Nirvana, concentrandomi su Kurt. Ci conoscevamo. «Ehi, come va? Cos’è questa storia del libro?». E lui: «Vogliamo che tu scriva una biografia dei Nirvana». «Non può essere una bio autorizzata, però». Sapeva esattamente cosa significava “autorizzata” e cioè che il protagonista ha l’ultima parola sul contenuto. Mi ha detto: «Non se ne parla. Sarebbe troppo alla Guns N’ Roses. Di’ semplicemente la verità e sarà meglio di qualsiasi altra cosa abbiano scritto sul nostro conto». L’ho presa come una direttiva precisa e ho iniziato a scrivere.

Nella nuova versione del libro scrivi anche di In Utero. Non tutti si rendono conto che molte delle canzoni migliori di quel disco erano stati scritte molto tempo prima.
Alcuni già nel 1990, credo. E alcune delle più nuove erano state accroccate in qualche modo, magari partendo dalla batteria di Dave. «Possiamo fare un magheggio e trasformarlo in un pezzo», diceva Kurt. Era alle prese con la dipendenza dall’eroina ed era appena diventato papà. Aveva cambiato casa un paio di volte, la band era in tour ed era scoppiato un gran casino per via dell’articolo di Vanity Fair (in cui si diceva che Courtney Love aveva fatto uso di eroina mentre era incinta, nda). C’erano molte cose in ballo che gli impedevano di mettersi lì a scrivere canzoni bello concentrato. Non c’entrano solo le droghe, anche se ovviamente avevano il loro peso.

Il caso di Scentless Apprentice è interessante. Il riff è di Dave Grohl. Nel libro spieghi che Kurt sentiva il bisogno di palare male di quel riff, il che fa pensare che provasse una certa insicurezza solo per avere usato un’idea di Dave.
Ha detto: «Pensavo che fosse una cosa un po’ da ottusi, ma ci abbiamo lavorato sopra ed è venuto fuori un gran bel pezzo». Francamente mi è parso presuntuoso.

Hai detto che Kurt considerava Dave, parole sue, «il ragazzo più equilibrato che conosca». Mi sembra che in questa frase ci sia un mix di sufficienza e invidia.
Credo che Kurt lo prendesse in giro perché era, come dire, normale. Era un ragazzo benvoluto e per bene. Penso che in parte lo sfottesse perché non era un fenomeno da baraccone come lui. E immagino che fosse un po’ geloso di lui, perché Dave era uno a posto.

Mettere Serve the Servants in apertura di In Utero è un esempio della genialità e dell’intelligenza di Kurt, che sapeva quanto sarebbe stata azzeccata, e ottima da citare, la frase “la rabbia adolescenziale ha dato buoni frutti, ora sono annoiato e vecchio” piazzata all’inizio di un disco tanto particolare.
Sono cose su cui ragionava, eccome. Indossava jeans strappati e non si lavava spesso i capelli, ma era un artista di quelli meticolosi. E quello che citi è un ottimo esempio. All’inizio di In Utero, Dave dà il quattro con le bacchette. È una cosa che nelle registrazioni professionali viene solitamente eliminata. Loro l’hanno lasciata per far capire alle persone che avrebbero ascoltato qualcosa di grezzo e reale. E poi c’è quell’accordo di chitarra forte, dissonante, splendido e tremendo che apre la canzone. È una dichiarazione d’intenti. E tutto questo nello spazio di suppergiù cinque secondi, ma ti bastano per capire come sarà il disco.

Nel libro risolvi anche il mistero del significato del ritornello.
Si riferisce al fatto di sentirsi obbligati a fare tutto ciò che l’industria musicale chiede o impone di fare alla band.

Dumb, che è una bella canzone orecchiabile, risale all’estate del 1990.
Ho l’impressione che in Nevermind non abbiano voluto includere pezzi come quello perché soprattutto Kurt era molto consapevole di essere percepito come un venduto, per via del passaggio a una major. Al posto di Dumb hanno messo, ad esempio, Territorial Pissings per comunicare quanto erano tosti e la loro resistenza di fronte all’orco delle major.

A quanto pare Very Ape si deve, in parte, a una band argentina.
C’è un gruppo, i Los Brujos, che ha aperto per i Nirvana uno show in uno stadio argentino nel 1993. Avevano una grossa hit intitolata Kanishka. Se ascolti Kanishka e poi Very Ape, puoi notare una certa somiglianza. Ma, ancora una volta, credo che Kurt abbia preso un’idea di base e l’abbia rielaborata, trasformandola in qualcosa di radicalmente diverso, anche se è una delle canzoni minori di In Utero. Però contiene dei versi interessanti. Si definisce “il re dell’analfabetismo”. Kurt era estremamente consapevole di non essere istruito e colto. Ha provato per la prima volta a fare un salto in avanti quando si è trasferito a Olympia, Washington, e ha iniziato a frequentare tutti quei ragazzi benestanti e istruiti dell’Evergreen State College. Lì ha capito di essere molto curioso e di volersi lasciare alle spalle il provincialismo di Aberdeen per diventare una persona più colta e artistica. Quei ragazzi gli hanno insegnato molto. Anche Courtney, che è un’altra persona estremamente colta, gli ha dato tanto. Idem i Sonic Youth.

Tourette, e va benissimo così visto il titolo, non ha un testo vero e proprio.
Kurt era ossessionato dai disturbi psicologici e neurologici. Sosteneva di soffrire di narcolessia e mania depressiva. Non credo che pensasse di avere la sindrome di Tourette, forse era una sorta di fantasia in cui immaginava di perdere la testa e diventare un tizio che se ne sta all’angolo di una strada con addosso degli abiti arruffati e trasandati. Stava evocando l’idea che l’avrebbero spinto fino al punto in cui non avrebbe fatto altro che imprecare, fuori controllo.

Per quanto sia stato onesto con te, in queste interviste, ha evitato la tua domanda sull’ispirazione di All Apologies.
Scrivendo il libro ho imparato la differenza tra onesto e spontaneo. Onesto significa che stai dicendo la verità, spontaneo significa che stai dicendo cose piuttosto pesanti, ma che non sono necessariamente vere. Credo che a volte Kurt fosse più spontaneo che onesto.

Scrivi che nella versione del 1990 era un brano su una rottura sentimentale, ma lo ha poi cambiato perché gli stavano succedendo molte altre cose.
In The Amplified Come As You Are mi spingo a fare delle ipotesi sulla canzone, cosa che non ho fatto nell’edizione originale. Quando canta “vergogna color schiuma marina” forse si riferisce al fatto che si trovava in un ospedale, con quelle pareti color acqua/schiuma, e provava vergogna perché era lì a causa della dipendenza dalla droga. Forse mi sto spingendo troppo oltre nell’interpretazione, ma per me ha senso.

All’epoca si diceva che l’etichetta e il management dei Nirvana li avessero costretti a rifare i mix originali di Steve Albini per In Utero. Tu però hai potuto verificare di persona l’insoddisfazione di Krist Novoselic per il mixaggio, cosa che ha contribuito a far sì che la band chiamasse il produttore dei R.E.M., Scott Litt, per remixare alcuni pezzi.
Krist un giorno mi ha accompagnato a casa di Kurt, per dargli una biografia di Leadbelly. Nel viaggio di ritorno ha messo nell’autoradio la cassetta di In Utero appena mixata e l’ha ascoltata per la prima volta in auto invece che in studio. Ricordo distintamente che, mentre girava All Apologies, ha detto che il basso poteva suonare più musicale. Nel mixaggio originale, il basso suonava come una grancassa accordata, era più percussivo. E di un altro paio di canzoni ha detto: «Penso che la voce dovrebbe essere più alta». Erano proprio i pezzi su cui poi l’hanno alzata. E questo succedeva prima che chiunque altro ascoltasse l’album. Perciò credo che la polemica che ne è seguita fosse solo un mucchio di stronzate, per quanto ne so.

È diventata una storia grossa per via del peso che l’idea di essere venduto aveva negli anni ’90. Adesso se dai del venduto a qualcuno, la gente non capisce di cosa diavolo stai parlando. Ma, nel 1993, per qualcuno che aveva sostenuto l’indipendenza e i valori dell’underground, era una cosa inusitata arrivare a cedere alle lusinghe delle major. È stata una cosa davvero grossa. La gente pensava: «Oh, stiamo smascherando l’ipocrisia della band numero uno al mondo».

L’entità del tormento psicologico che Kurt e gli altri hanno dovuto affrontare per via di quella situazione non va sottovalutata.
In quel momento era importantissima. Kurt voleva essere accettato dal popolo indie. Anche all’apice della fama e del successo, soffriva il fatto di essere stato rifiutato da loro. Alcuni suoi amici di Olympia avevano fondato l’etichetta Kill Rock Stars, e lui era effettivamente una rockstar. Sapeva bene come la pensavano loro. Si era scritto “Fugazi” sulla punta delle scarpe da ginnastica. Aveva scritto il nome del capo della Matador Records, Gerard Cosloy, sul muro della camera da letto. Era consapevole di queste persone e del loro status di giudici della scena: voleva assicurarsi che lo accettassero e non lo ripudiassero perché era diventato famoso e aveva venduto un mucchio di dischi. Il fatto che vendesse tanto andava contro i principi della comunità in cui era cresciuto e che ancora adorava. È stata una cosa difficile da affrontare, per lui.

A questo proposito, nel libro scrivi che solo due persone avevano avuto una cassetta di In Utero prima dell’uscita: tu e Thurston Moore dei Sonic Youth. Sembra quasi che Kurt abbia inciso In Utero, in parte, per poterlo presentare con orgoglio a Thurston Moore e dirgli: «Senti che album rumoroso abbiamo fatto!».
Sì, Thurston Moore e i Sonic Youth erano ancora più influenti dei giudici a cui ho accennato. Credo che quel disco sia stato fatto per la comunità a cui apparteneva. Con l’idea che, forse, avrebbe potuto convertire milioni di persone a un nuovo modo di pensare.

Sembra che Kurt abbia detto a Michael Stipe di voler fare un album più simile ad Automatic for the People, magari lavorando proprio con lui. In che direzione pensi che sarebbe andata la sua musica, se fosse vissuto più a lungo?
Fare congetture è un gioco. Ma quel che ci dice la storia è che i casi sono due: o sei come i Ramones, che hanno sempre seguito un modello specifico e l’hanno fatto abbastanza bene, oppure sei come i R.E.M., che hanno iniziato con chitarra, basso e batteria e alla fine sono diventati sofisticati, persino barocchi. È interessante quel che ha detto Michael Stipe: scommetto che lui e Kurt avrebbero potuto inventare qualcosa di molto più raffinato di tutto ciò che i Nirvana avevano fatto in precedenza. Ma è difficile dirlo con certezza.

Per progredire davvero, Kurt avrebbe dovuto superare la sua avversione per la tecnica.
Lavorava d’istinto. Spesso usava accordi che, tecnicamente, non rientravano nella tonalità della canzone. Non ho la presunzione di dire se fosse conscio di infrangere le regole o meno, ma di certo gli venivano in mente mosse geniali. Forse avrebbe trovato un arrangiatore, una sorta di collaboratore che lo aiutasse a imboccare una nuova strada musicale, non so.

Quando hai scritto il libro, all’epoca, avevi la sensazione che all’interno nella band Dave cominciasse ad avere più peso creativo? Che fosse un ragazzo con un talento che non poteva limitarsi ai Nirvana?
Dave si sentiva frustrato perché era stato incasellato nel semplice ruolo di batterista, l’ha detto lui. Come sappiamo, aveva già scritto, registrato e cantato un album tutto suo. Di sicuro aveva tutto ciò che serviva per essere un leader, anche solo dal punto di vista del temperamento. Ma ha detto anche di ammirare le canzoni di Kurt, per cui riteneva che fosse meglio tenere per sé i propri pezzi. Per un maschio alfa, carismatico e di talento come Dave, la cosa stava diventando frustrante. È naturale. È comprensibilissimo e lo conferma abbondantemente ciò che è poi accaduto.

C’è quella famosa citazione di Dave, che diceva che fare il batterista nei Nirvana è come essere il ragazzino beccato a masturbarsi nel bagno della scuola: da quel momento, tutti ti conoscono per quell’unica cosa. Credo che disseminasse indizi a destra e a manca, più o meno consapevolmente. Ma penso che un talento, un’ambizione e un carisma del genere non sarebbero durati a lungo inchiodati allo sgabello da batterista. Essere solo il batterista non gli bastava. La storia gli ha dato ragione.

Da Rolling Stone US.

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