Il suicidio della popstar, la reincarnazione di Kom_I | Rolling Stone Italia
unica

Il suicidio della popstar, la reincarnazione di Kom_I

In Giappone dopo essere stata scoperta a una festa è diventata una popstar. Ma ha preferito mollar tutto per scoprire tradizioni musicali e se stessa. Si è ritrovata nella performance. Storia di un'artista da cui potremmo imparare qualcosa

Il suicidio della popstar, la reincarnazione di Kom_I

Kom_I

Foto: press

Non deve essere facile passare da essere una popstar nazionale a diventare un’artista di nicchia. Da macina singoli (e album) a artista dedita alla pura e sola performance, dove ogni atto è fine all’esecuzione live senza una traduzione sotto forma di musica ascoltabile in futuro. Eppure, a volte qualche artista preferisce questo, mollare il successo e il grande pubblico per andare alla ricerca di qualcosa di più personale, a suo modo più significativo.

Quando ho conosciuto il duo giapponese Suiyoubi no Campanella (diventati poi Wednesday Campanella), Kom_I era una giovane ventenne. Scoperta per caso dal manager del progetto, era stata catapultata dall’attivismo al mondo della musica grazie a una frase. «A una festa in casa mi si avvicinò il manager di quelli che poi sarebbero diventati i Wednesday Campanella. Gli parlai di attivismo, di un tema a me molto caro in quel periodo, quello dello spreco di carne di cervo qui in Giappone (vengono cacciati per mantenere un controllo numerico, ma la carne non viene consumata da noi giapponesi). Lui mi disse: in pochi ti ascoltano se fai l’attivista, ma sai quanta gente ascolterebbe le tue lotte se fossi un’artista famosa?». Da qui la scintilla, e la scelta di accettare un’offerta da un mondo di cui non sapeva quasi nulla. «Il progetto per i Wednesday Campanella prevedeva tre ragazze: una brava a cantare, una brava a ballare e poi me, di cui era più importante l’attitudine che il canto. Ecco, non so bene come, ma rimasi solo io e ne divenni il volto e la voce. I Wednesday eravamo io e il producer, Kemochi Hidefumi, dietro le quinte».

A vedere Kom_I oggi, immaginarla popstar (quasi idol) è piuttosto difficile. Il suo volto è magnetico, il suo stile unico, la sua personalità accesa, certo, ma piuttosto che citare Dua Lipa o Lady Gaga è un’artista che preferisce parlarmi del compositore italiano contemporaneo Roberto Musci, antropologo musicale e studioso di musica indiana, araba e orientale, considerato da lei «la mia stella». Quando me lo cita, rimango stupito, e le confido che è un nome piuttosto oscuro qui in Italia. «Davvero?», replica prima che la conversazione si sposti sul capolavoro di Musci, Tower of Silence, «sogno di riuscire a cantare come nella sua Lullabies… Mother Sings… Father Play, qualcosa che va oltre la musica, che arriva dentro». Solo in seguito citerà Björk («magnifica») e FKA Twigs (è un’atleta, un’artigiana, veramente dedita a se stessa e alla sua arte. È l’opposto di me!»).

水曜日のカンパネラ『アラジン』

«Com’è che mi conosci?», mi chiede stupita a conversazione iniziata. E in effetti la risposta mi è utile a spiegare perché siamo qui. La parte più affascinante di questo lavoro, quello del giornalista musicale, è di essere pagati per far qualcosa che nella vita un amante della musica fa spesso: ricercare, scoprire, indagare scene. In un deep dive sul pop giapponese di qualche anno fa scoprii così i Wednesday Campanella, venendo rapito dal magnetismo artistico di Kom_i. Il progetto aveva qualche bel pezzo pop alternativo (in un paese dove il pop, qui chiamato j-pop, è molto più che un genere musicale), e un’estetica che arrivava come una boccata d’aria fresca in un momento in cui il mainstream occidentale era piuttosto in crisi (ne è poi uscito? Ho i miei dubbi). Prendete ad esempio lavori del duo come Alladin, Ikkyu-san, Unico e sentirete – e vedrete nei videoclip – il twist di cui parlo. Se ve ne intendete di musica giapponese, però, saprete quanto è difficile recuperare notizie di prima mano in un paese che, al contrario della vicina Corea del Sud, non è così disposto all’apertura verso l’esterno.

La conferma di essermi imbattuto in un talento mi arriva però guardando su YouTube (ora invece disponibile solo su Apple TV) un estratto del live dei Wednesday Campanella al Budogan di Tokyo del 2017: «Ma davvero? C’è un momento di quello show che non dimenticherò mai. Sai, tante cose le ho dimenticate in fretta, ma ci sono 15 minuti di quel live che mi rimarranno per sempre». Quando scopriamo che stiamo parlando dello stesso momento del concerto, Kom_I si accende di entusiasmo: «Era un live canonico in questa grande venue. Però avevo 15 minuti dove poter dar sfogo a questa mia idea: 66 persone su questo palco circolare, quasi nude, a rappresentare le due fazioni opposte dello Yin e dello Yang. Sono felice tu abbia visto quei 15 minuti: sono la cosa di cui sono più soddisfatta dei Wednesday Campanella». Un momento che cambierà per sempre il pensiero di Kom_I come artista: «Facevo fatica a vivere il mondo del pop e a essere pop, non riuscivo a far quello che volevo. Non volevo più star lì a cantare le hit, e far quel genere di canzoni. Sai perché quei 15 minuti sono stati importanti per me? Perché sono quelle cose che al pubblico del pop non interessano più di tanto ma che dietro hanno un duro lavoro. Molti si saranno chiesti: “Ma cos’è sta cosa? Io sono qui perché voglio sentire delle canzoni pop”. E credo che avessero ragione, nel senso son sicura che fosse un pensiero onesto da parte loro, avere certe aspettative».

Foto: press

Anche io ricordo una reazione sbigottita, ma in senso positivo, di fronte a quella visione scenica. Certo, il cantare ritmico di Kom_I aveva una sua personalità e i Wednesday Campanella una loro visione del j-pop ironica e kawaii, ma quello è stato il momento in cui ho intravisto qualcosa di più. Prosegue Kom_I: «Io volevo far cose più sperimentali, ma come gruppo avevo dei parametri da seguire. Poi però mi sono potuta esprimere come volevo un paio di anni nell’EP Yakushima Treasure, un lavoro firmato solo da me e da un altro artista, Oorutaichi. Sono field recording fatti in una cava, su cui abbiamo lavorato sopra. L’ispirazione infatti era proprio Roberto Musci». E come ha reagito il pubblico pop a questa virata? «Diciamo con un generale “What the fuck?”. Non è un EP che è stato molto capito, giustamente». Così la scelta di lasciare il progetto, che oggi continua con lo stesso nome e un nuovo volto, quello di Utaha, al posto di Kom_I.

Da attivista a popstar a performer alternativa (e di nuovo fortemente attivista) non è stato un passaggio semplice: «Quando ho iniziato ho fatto tantissima gavetta, parliamo di 2-3 concerti a settimana, per anni. Ma non capivo perché lo stavo facendo. Quella confusione però mi ha aiutato a esprimermi, era quasi una rabbia», mi racconta candidamente. Una rabbia, quella di trovarsi in un luogo non proprio, con lo stigma di poter esser scambiata e trattata come una idol piuttosto che come un’artista vera e proprio: «Non mi piace molto il pubblico delle idol perché è fatto principalmente da uomini, è strano. E un movimento non legato alla musica ma ai personaggi che ci sono. Non mi sono mai sentita una idol». Ma come per tutti i giovani, è soltanto continuando, sbagliando, imparando, che Kom_I trova la sua via: «Dopo 3 anni in giro ho capito che il potere della musica è pazzesco. E ho realizzato anche l’importanza dell’esibizione, di entrare davvero dentro quel momento: è qualcosa di primitivo, spirituale, qualcosa che mi aiuta a capire di più di me stessa. È come se ci fosse qualcosa da dentro che mi muove, in modo quasi inconsapevole. Lì ho capito che la performance per me è tutto». E così ha iniziato a prendere lezione di musica classica indiana, e di altri modi di fare musica più legata alle tradizioni locali, allontanandosi definitivamente dal mondo del pop.

Power of Performance: KOM_I [NOWNESS ASIA April 17, 2021]

Oggi la vita di Kom_I è molto differente da quella coi Wednesday Campanella. È una donna sposata, con un figlio (nato in un villaggio indigeno in Amazzonia per sua scelta, «l’ospedale più vicino era lontano ore, ho avuto paura, ma sapevo che sarebbe andato tutto per il verso giusto») che alla routine serrata album/tour preferisce studi laterali, ricerche personali, proiettando la sua creatività in performance che durano giusto il tempo dell’esibizione. Ma il suo volto, nonostante tutto, lo potete ancora trovare sui cartelloni pubblicitari a Shibuya. «Sono felice che certa gente ancora mi segua, ma non è una cosa a cui do molto pensiero. Non ho più interesse a spendere 1-2 anni dietro una sola idea, un solo album e poi fare un tour solo su quello. Forse non sono più capace ad andare in tour così». Altro mondo, quello performativo: «Le performance sono uniche, invece, hanno qualcosa di differente. Uno show, con un significato, una storia; così è molto più significativo per me». E aggiunge: «A una certa età cerchi di essere più onesto con te stesso. Quando avevo 20 anni non sapevo nemmeno cosa mi piacesse davvero, stavo ancora conoscendomi. Ora sicuramente amo la musica più di quanto l’ho amata da ragazza, i miei sensi si sono espansi».

«Cosa pensi della mia carriera? Cosa dovrei fare adesso?», mi chiede improvvisamente dopo una lunga conversazione che si è svolta libera tra scambi di titoli di dischi, complimenti reciproci a Gigi Masin e opinioni sul music business e il modo di intendere l’arte. Oltre a sottolineare l’enorme curiosità dei giapponesi nel pensiero della persona che hanno di fronte, e il piano paritario che viene posto sempre tra musicisti (sì – coming out – faccio musica), l’idea di saper come la sua storia possa essere vista e interpretata la intriga. Le spiego quanto sia difficile trovare materiale sugli artisti nipponici e di come un uso differente dei social, oltre a una ancora scarsa capacità dell’IA di tradurre dal giapponese, non aiuti a comprenderlo. Il fatto che lei – da popstar riconosciuta – sia scomparsa da quel mondo smettendo di pubblicare musica non ha poi di certo aiutato a comprendere il suo viaggio che comunque, anche da lontano, e in modo frammentario, resta veramente intrigante. «Gli album sono lì per sempre, forse per quello non riesco a pubblicare qualcosa che contenga quell’idea. Ma dovrei, lo so. Lasciare una traccia di questa mia evoluzione».

Qualche settimana dopo la nostra conversazione, ricevo una mail da Kom_I. Oltre a parlare di alcuni album italiani stupendi (Il bestiario di Maria Monti, La coda della tigre di Prima Materia e I prati bagnati del monte analogo di Francesco Messina), mi annuncia che ha pubblicato un EP a quattro mani con un producer di nome Foodman. È la sua prima release ufficiale post-Wednesday Campanella in carriera. L’EP si chiama Fani Mani (come funny money) e unisce produzioni uptempo a sample vocali ottenuti dalla voce di Kom_I. Per l’occasione ha inaugurato un profilo Bandcamp e Spotify. Poco dopo ha realizzato il secondo appuntamento di un suo format, chiamato Funny Money, definito: un esperimento sociale, una performance di teatro, un marketplace, un gioco da tavolo, una festa, una forma di attivismo, un evento d’arte e una comunità. All’evento ogni invitato poteva acquistare della valuta, chiamata pe-ra, e dare alle banconote (prive di numeri) il valore preferito in uno scambio economico tra Residenti (gli artisti) e Travellers (i visitatori). «In Funny Money deridiamo reinterpretando il sistema capitalista in cui viviamo», mi spiega. Altro progetto ambizioso e di difficile comprensione da così lontani.

Alla fine però, Kom_I ha trovato, almeno per questa volta, una quadra tra l’effimero della performatività e la permanenza di una release. Ma ho come la sensazione che sarà sola una fase e che la sua carriera sarà incredibilmente interessante, nonché incredibilmente frustrante per noi occidentali che potremmo vivercela solo a piccoli tratti. Un diamante meriterebbe più tempo d’osservazione. Ma forse la bellezza di tutto questo è anche data da questa nostra impossibilità di comprendere e possedere tutto in un mondo musicale dove quel tutto ci è sempre sbattuto di fronte agli occhi. Nell’ombra, invece, si muovono gli animali più rari.

Altre notizie su:  Kom_I Wednesday Campanella