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Il soul mistico di Sipho

È cresciuto nella Chiesa Avventista del Settimo Giorno, adora Frank Ocean e Dolly Parton, ha scritto un EP, ‘She Might Bleed’, in cui parla di uomini fragili a cui è proibito soffrire. Ecco la sua (incredibile) storia

Foto: Benji Beacham

Sipho indossa una felpa apparentemente cheap con una foto di Dolly Parton, come quelle dei banchetti di merchandising abusivi fuori dai concerti. Una coincidenza pazzesca, perché il giorno in cui ci “incontriamo” via Zoom la regina del country è l’argomento del giorno: ha appena annunciato che rinuncia alla candidatura alla Rock and Roll Hall of Fame in quanto si sente molto meno rock’n’roll degli altri candidati. Sipho è chiuso in studio da ore (lo abbiamo interrotto mentre stava finendo di scrivere un nuovo brano) e ignorava totalmente il fatto. «Davvero ha detto questo?», esclama deliziato. «Beh, Dolly non si smentisce mai. La adoro, letteralmente. I miei genitori erano super fan e sono cresciuto con i suoi dischi: una delle mie canzoni preferite è If You Go, I’ll Follow You, fatta da lei e Porter Wagon».

Fa stranissimo immaginare che un venti-e-qualcosa-enne inglese di origine africana ascolti quel tipo di musica tradizionalmente bianca e antiquata, ma appare davvero preparatissimo su vita e carriera di Parton. «È una donna fuori dal tempo: basti pensare che non possiede un cellulare. Vorrei tanto essere anche io così inaccessibile e farmi i fatti miei tutto il giorno», prosegue entusiasta. In realtà lui ama i social, dove è molto presente e sembra divertirsi enormemente a ogni post. «Però condivido solo il 10% della mia vita, quello che può in qualche modo influenzare positivamente chi mi guarda. Se si vedesse l’altro 90%, probabilmente sembrerei una persona del tutto diversa, che ama starsene rintanata sul divano del suo studio».

Ha da poco pubblicato il bellissimo EP She Might Bleed – esce tramite Dirty Hit, la stessa etichetta che ha lanciato gente come Beabadoobee, Rina Sawayama, the 1975 e tanti altri – un concentrato sfaccettato e profondo di soul sperimentale, jazz psichedelico, hip hop lo-fi e contemporary R&B. A Sipho non piace riposare sugli allori, come accennavamo, e sta già lavorando a nuove canzoni, che presumibilmente lo traghetteranno ben presto nell’Olimpo della musica black internazionale. La sua storia poteva avere un finale completamente diverso, però: per anni è stato un devoto e fervente cristiano, e la sua unica priorità era quella di seguire gli insegnamenti del Signore. Lo si legge anche nella sua biografia di Spotify: «Cresciuto nella Chiesa Avventista del Settimo Giorno, nel progetto Sipho la devozione si interseca con lo scetticismo e l’apparato commerciale della religione».

«Il mio background spirituale è parte della mia storia e della mia evoluzione: non vedevo ragione di nasconderlo, è qualcosa che mi è successo», dice semplicemente. «In un certo senso mi ha spinto e stimolato a fare musica, a scrivere cose che avessero un significato, e poi più avanti a continuare a farlo, anche quando ho smesso di scrivere canzoni che riguardassero il senso della vita, l’esistenza di Dio eccetera». Già, perché il suo primissimo EP, And God Said…, parla proprio della sua fede, persa e ritrovata a più riprese, ma soprattutto della continua alternanza tra divino e profano che caratterizza un po’ tutte le religioni organizzate.

In tante cose gli Avventisti del Settimo Giorno si pongono quasi all’opposto dei cattolici, spiega Sipho. «Non starò qui ad addentrarmi nei risvolti politici di questo culto, che non sono proprio il mio pane», mette le mani avanti. «In generale, comunque, ci sono un sacco di piccole differenze tra gli avventisti e gli altri: ad esempio in chiesa si va il sabato, è richiesta una dieta vegetariana, si seguono i precetti dell’Antico Testamento. Per i fedeli ci sono tantissime regole».

A un certo punto, alla ricerca di una sua verità, da adolescente perde la fede nella sua chiesa e la ritrova da un’altra parte, là dove nessuno penserebbe di scovarne traccia: su YouTube. Si appassiona infatti ai sermoni di alcuni giovanissimi video-predicatori evangelici, che però riescono ad essere perfino più rigidi degli avventisti. «Sono diventato ancora più ossessionato dalla religione: ero come spaventato all’idea di tutti i miei potenziali peccati, dell’ira di Dio e dell’inferno. Poi ho capito che non aveva senso fare le cose per paura, o perché un libro ti dice di farle: era molto più produttivo fare ciò in cui credevo e che mi sembrava giusto». Ad esempio la musica, una passione che aveva fin da ragazzino. «A 14 anni rappavo e ascoltavo un sacco di hip hop, roba tipo Lil Wayne e 2Chainz. Poi ho iniziato a cantare, all’inizio per conto mio. Le prime canzoni che ho scritto erano davvero orrende: non riuscivo a scrivere neanche un verso decente», dice ridendo. «Non erano neanche pezzi veri e propri, più che altro facevo delle cover aggiungendo qua e là qualche mia strofa di spoken word».

Nel tentativo di diventare un autore migliore, finito il liceo Sipho decide di iscriversi a una scuola di songwriting a Birmingham, la sua città natale. «Non è che ti insegnino a scrivere canzoni da zero: è ovviamente pensata per chi già scrive. L’idea di base è quella di aiutarti a sviluppare tutti gli aspetti connessi: dare una forma più raffinata ai tuoi pezzi, arrangiarli in studio, lavorare in collaborazione con altri musicisti, saperli eseguire live. Tutte cose che ti permettono di lavorare senza limitazioni». Per pagarsi gli studi, per mesi fa due lavori contemporaneamente, di cui uno molto particolare: il protesista in uno studio di odontotecnici. «Una cosa surreale, fabbricavo i denti della gente per tutto il giorno», ricorda sbellicandosi dalle risate. «Per fortuna, essendo il più giovane, mi mettevano spesso a stare dietro alle scartoffie. Penso che quel periodo abbia aiutato molto a forgiare il mio carattere».

Ne vale decisamente la pena, perché la sua musica comincia a prendere una forma sempre più definita e il suo sound è sempre più ricco. Impara anche ad ascoltare gli altri artisti in maniera diversa, più analitica. «Tyler, the Creator, Frank Ocean, Solange, James Blake, Florence + The Machine, Moses Sumney», dice, elencando i suoi capisaldi. «Ma le mie influenze cambiano continuamente, è come se ogni anno diventassi una nuova versione di me stesso. Al momento, ad esempio, sono sotto per il funk: James Brown, i Parliament/Funkadelic, Bootsy Collins».

Il titolo dell’EP She Might Bleed (letteralmente, “Lei può sanguinare”) viene da una riflessione sui maschi della sua età, racconta Sipho. «Ai miei coetanei, ma anche agli uomini più grandi di me, sembra quasi proibito soffrire. Il che ha un effetto catastrofico su di noi, ma ho notato che si riflette negativamente anche sulle donne della nostra vita: madri, sorelle, compagne, figlie. Forse è una questione di aspettative: a noi viene richiesto di essere sempre stoici, di andare avanti in qualunque caso. Le canzoni presentano tutte un personaggio coraggioso, quasi invulnerabile, ma c’è questo sottotesto in cui la protagonista femminile soffre molto il suo atteggiamento, in maniera e in momenti diversi». Anche a lui è capitato di sentirsi così, e oggi si ritiene molto fortunato a essere in una posizione tale da poter esprimere liberamente i suoi sentimenti. «Le persone che mi circondano mi hanno permesso di farlo: non è solo quello che si augurano per me, ma è quello che richiedono da me», puntualizza. «Sanno che se non lo facessi non saremmo in grado di vivere in armonia, di condividere una vera comunicazione».

Ora che finalmente scrivere e cantare è il suo mestiere ed è legato a un’etichetta importante, si sente benedetto dal destino, citiamo testuali parole. «Ogni giorno ho l’occasione di imparare qualcosa e di conoscere gente fantastica», dice sorridendo. «Ho capito che è questo che fa la differenza tra vincere e perdere: è impossibile prosperare, se sei una persona di merda. Devi cogliere tutte le opportunità possibili per crescere e migliorarti».

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