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Il pianeta virtuale dei Niagara

"Hyperocean" è il mondo immaginario che dà anche il nome all'ultimo album del duo torinese. Sono passati a fare due chiacchiere nella sede milanese di RS
Davide Tomat e Gabriele Ottino, alias Niagara. Foto: Stampa

Davide Tomat e Gabriele Ottino, alias Niagara. Foto: Stampa

Gli Escher Surfers, mi spiegano Davide e Gabriele aka Niagara nella sala riunioni di Rolling Stone, sono gli unici esseri ad abitare Hyperocean, il pianeta virtuale che dà anche il nome al loro nuovo disco. Ma essendo Hyperocean interamente ricoperto d’acqua (l’hanno addirittura ricreato in 3D per il video della title track più sotto), i suoi abitanti sono costretti a muoversi surfando sul pelo dell’acqua a testa in giù. Non galleggiando in superficie ma sottosopra, sott’acqua.

È una delle tante trovate del duo torinese, che sicuramente aggiungono un valore extra-musicale a un disco già completo di suo. Esce domani per Monotreme Records e vale davvero la pena farci un pensierino.

Stamattina ho fatto una ricerca: esistono almeno altre 5 band che si chiamano Niagara.
Gabriele: Eh, lo sappiamo..

Ma in quale vi rispecchiate di più: il trio portoghese che fa disco/world music, la band hard rock spagnola molto attiva negli anni Ottanta, il duo synthpop francese “sovente paragonato agli Eurythmics”, una pittrice e cantante di Detroit OPPURE la band per matrimoni che viene dall’Ontario?
Gabriele: Beh, sicuramente la wedding band dell’Ontario, senza dubbi. Però devo dirti che quello per cui veniamo scambiati più spesso è il duo synthpop francese.

Davide: Ci hanno anche mandato insulti in francese, tipo “avete rovinato la musica degli anni Ottanta!” Comunque potremmo fare un tour tutti insieme e chiamarlo “Niagara Tutti”, anche con la band per matrimoni e la tipa che dipinge mentre suoniamo.

E prima di chiamarvi come altre 5 band potentissime cosa facevate?
D: Sulla stessa etichetta avevamo un progetto discografico, sempre io e lui, che si chiamava N.A.M.B. Poi ce n’era anche un altro (e c’è tuttora perché non è ancora chiuso) di improvvisazione. Fai conto che prima di rilasciare dischi a nome Niagara abbiamo suonato per due anni tutte le settimane. Siamo anche arrivati a fare dalle 6 alle 24 ore di improvvisazione.

G: Sì, magari ora ne facciamo 25!

D: Poi avevamo anche un progettino con Victor degli LN Ripley che si chiamava KWAGE, credo sia ancora aperto a sviluppi pure quello. Che altro? Ho fatto qualche disco solista e poi Gabriele aveva un’altra band.

G: Da piccolo suonavo anche in una band dark, ero il bassista. Però il cantante era terrificante a livelli assurdi.

D:Sì ecco, siamo cantanti e produttori che non sopportano gli altri cantanti e produttori. Noi ci sopportiamo l’un l’altro ed è stranissimo. C’era anche un altro cantante che sopportavamo ed era Diego Perrone, fondatore dei Niagara ma ora fa la voce spalla di Caparezza.

Ah, siete nati come trio?
D: Eh, sì. Diego però all’epoca si trovava incastrato fra mille date con Caparezza e un disco solista da pubblicare. Quindi, al momento di chiudere il disco ufficiale—non era il primo, ma il primo non era uscito perché conteneva troppi campioni dal film Niagara—, ha poi mollato. Non riusciva a stare dietro a tutto. Ma per due anni non abbiamo fatto altro che ritrovarci ogni lunedì al Superbudda e provare.

Sento parecchio nominare questo Superbudda, cos’è?
G: È il nostro studio, che col tempo è diventato molto di più. Nel senso che ora ospitiamo anche eventi. Nasce come uno studio di produzione audio e video ai Docks Dora, zona Torino Nord.

Forse, possedere uno studio tutto vostro spiega la prolificità in termini di LP ed EP.
D: Per un motivo o per l’altro, sono anni che ci rinchiudiamo in studio a registrare brani e improvvisazioni. Abbiamo tonnellate di materiale registrato sugli Hard Disk. Ma ti parlo proprio di un bisogno fisico di registrare: dopo un po’ abbiamo bisogno di andare in studio a fare pezzi nuovi.

Che culo vi siete fatti a fare il video di Hyperocean?
G: Un culo grande come una casa. Sono impazzito a esportarlo perché alla fine i video a 360 gradi hanno prima di tutto una risoluzione maggiore di quella effettiva, così da permettere di muoversi al suo interno senza perdita di risoluzione. Ed essendo una tecnologia piuttosto nuova, anche i formati e la compressione tendono a ridurre di molto la qualità. Va detto che la maggior parte della fatica se l’è fatta un nostro amico, Cy Tone, che ha creato questo mondo immaginario in 3D. Hyperocean, appunto.

Ma Cy Tone quello dei fotomontaggi?
G: Ma non ci posso credere, lo conosci per i fotomontaggi! [scoppia a ridere]

Certo, ho messo like sulla pagina di FOTOMONTACYTONE!
G:Proprio lui, che in realtà nella vita vera fa il grafico. Ultimamente si è infognato di questo programma che si chiama Terragen, con cui puoi creare interi paesaggi e territori 3D. Su nostra istruzione, Cy Tone è riuscito a plasmare questo pianeta interamente ricoperto d’acqua, su cui poi ha impostato tutti gli spostamenti di camera per il video. Come se si fosse recato a fare riprese in un mondo virtuale, non immenso ma già di discrete dimensioni. Ci sta passando per la testa anche l’idea di fare un videogioco.

Come mai questa mezza ossessione per l’acqueo e il subacqueo?
D: Tutti i brani del disco sono stati immaginati su questo pianeta. Se vogliamo, l’idea stessa del disco è una gigantesca massa d’acqua. Se noti, è un elemento che c’è fin dai nostri primi video.

G: E poi, già dal nostro nome puoi intuire una certa passione per l’acqua. Abbiamo anche usato dei microfoni per registrare sott’acqua in questa spiaggetta calabrese, fra una data e l’altra del tour. La gente pensava che stessimo facendo dei rilevamenti. Venivano le vecchie a chiederci: «Ma le acque sono pulite?»

Che significa il verso di Escher Surfers che fa: “The key is on the plan 11”?
D: È colpa mia, ho una fissa per i numeri e in particolare per l’11. Ma me lo fanno notare anche gli altri! Nel mio disco solista, un tizio in una recensione si era messo a fare un ragionamento sulla numerologia e aveva ragione. Anche in Hyperocean: ci sono 11 pezzi, l’11esimo, che si chiama Alfa11, dura 11:33 minuti. Il piano 11 per me è un piano che funziona. Non è scaramanzia, ormai è un gioco.

G: Eh, allora dovresti giocarteli ‘sti numeri! Comunque c’è una parola chiave all’interno di tutti i video, un codice.

D: Dentro Hyperocean ci sono quattro codici che se li prendi e vai sul nostro sito, puoi scaricarti della roba. Non credo l’abbia fatto ancora nessuno. Un’altra fissa che abbiamo è invece quella dei gemelli. Escher è l’artista dei gemelli e il suo nome era emerso parlando in furgone. Un Escher Surfer è un abitante di Hyperocean, una figura in grado di surfare in più dimensioni dello spazio.

Non ho sentito le chitarrine nel disco, le avete fatte sparire?
G: Sì, ma non per nostra scelta. È un paletto che ci ha messo il nostro produttore, Maurizio Borgna, che è anche l’uomo che ci mixa, masterizza e fornisce lo studio a Berlino, dove abbiamo registrato anche questo disco. Non è stato un produttore a tutti gli effetti, perché ci auto-produciamo da sempre, però ci ha dispensato delle tips giornaliere che poi si sono rivelate produzioni aggiuntive. Ci ha detto: «C’è l’acqua, quindi gli unici elementi fisici saranno le voci e le percussioni: il resto dev’essere elettronico, non dovete aggiungere un cazzo.»

D: Infatti ci aveva raggiunto a Berlino il nostro amico Plano perché volevamo registrare dei violoncelli. Maurizio ha visto il violoncello in studio e ci ha detto: «Cos’è quello? Fatelo sparire»

Avete aperto i loro ultimi live in Italia, come sono i Battles?
G: Loro sono carinissimi e soprattutto non se la menano. Ti ascoltano mentre suoni, ci mettono trasporto, ti fanno i complimenti. Esperienza bellissima.

D: Il loro primo disco l’ho consumato. E poi dal vivo sono davvero energici, me li sono goduti un po’ meno a Milano perché erano distanti.

Eh, ma i Magazza sono fatti così. Qual è il posto più figo dove avete suonato?
G: Blackpool, tanto che volevamo chiamare così l’album. Tanto è una località sul mare, quindi non avremmo infranto anche l’idea di fondo dell’acqua. Alla fine però è diventata una piscina nera, quella che appare nel video.

Non avete mai pensato di cantare in italiano?
D: Io ho sempre ascoltato solo musica in inglese, così come mio padre che quando ero gagno [bambino in piemontese] ascoltava solo Pink Floyd e simili.

G: Anche mia madre mi aveva passato i Pink Floyd, pure i Cure. Anche Zucchero, ma vabbè. Battisti mi deprimeva per via dei suoi testi su storie d’amore tristi. Almeno dei Pink Floyd non capivo un niente e mi facevo i miei viaggi.

Si ascolta bene sotto cannabinoidi questo disco?
D: Un nostro amico, che noi chiamiamo il Nano, ci ha assicurato che con il vaporizzatore questo disco è una bomba. Ci fidiamo.

G: Io non posso più fumare perché mi vengono le paranoie pratiche della vita. È assurdo, quando ero piccolo fumavo per svagarmi. Se lo faccio ora, comincio a pensare che devo pagare le bollette. Oppure morte e malattie., cose bruttissime! Preferisco altro.

D: Eh, hai avuto il tuo periodo pazzo! Ti ricordi a Berlino? In pratica, dovevamo a tornare a Torino il giorno dopo e io, essendo l’unico a guidare e tenuto conto che sono 14 ore di viaggio, sono andato a dormire presto. La mattina mi sveglio e non lo trovo che dorme sullo zerbino fuori di casa?

G: E cosa dovevo fare, scusa? Ero ubriaco marcio e non riuscivo a entrare!

D: Beh dai era anche un periodo in cui lavoravamo tutto il giorno, ci sbattiamo un casino per fare funzionare i brani o non farli funzionare quando funzionano troppo.

G: È anche un modo per renderli più imprevedibili e divertenti. Un po’ meno divertito è il nostro batterista Paolo che deve restituire dal vivo tutti gli incastri ritmici che facciamo in studio.

D: Lui viene dall’hardcore e gli avevamo promesso che “il prossimo disco sarà quello dell’hardcore, il disco del batterista”. Poi invece no, l’abbiamo fregato.

Quanto influisce il nascere a Torino se fai elettronica?
D: Non molto in realtà. Più che la città, la vera impronta ce l’hanno data i videogiochi 8 bit come Barbarian, California Games o Last Ninja. Torino non è sempre stata così. Avendo sempre fatto robe un po’ elettroniche, ti confesso che la gente una volta ti rompeva il cazzo se ti presentavi con un computer o un synth. Per non parlare degli effetti sulla voce, una volta ho rubato un microfono a un service perché mi avevano detto che non si potevano usare effetti sulla voce. Non rubo mai nulla, ma quella volta mi hanno cagato così tanto il cazzo che l’ho fatto.

G: Ma non è vero che non rubi mai niente!

D: Vabbè, ma la mozzarella in autogrill è una questione di principio. Costa troppo, il vero furto lo fanno loro tutti i giorni.

G: Tornando a noi, verso gli anni Duemila c’era una pressione rock assurda. O facevi indie o ti cagavano il cazzo. Erano gli stessi che oggi invece te la menano con l’elettronica e ti schifano l’indie.

D: È grazie a eventi come Club To Club che la gente a Torino ha cominciato a digerire la techno. Solo ora c’è una simil-scena di artisti che ci piacciono. Parlo di Bienoise, Gang Of Ducks, The Merchants, Vaghe Stelle. Poi è chiaro che la ricerca, in qualsiasi ambito che sia scientifico o artistico, è sempre qualcosa che arranca in Italia.

Segui i Niagara anche nel loro tour. Ecco le prime date, a cui poi se ne aggiungeranno altre:

7 MAGGIO @ GLUE Alternative Concept Space, Firenze
13 MAGGIO @ Rock’n’Roll Milano (Linoleum), Milano
28 MAGGIO @ Cap10100 (release party w/ guests), Torino
06 GIUGNO @ Indiepride, Bologna
12 GIUGNO @ Palazzo dei Congressi (Spring Attitude Festival Waves), Roma
17 LUGLIO @ SEI – Sud Est Indipendente Festival, Lecce
06 AGOSTO @ Ypsigrock Festival, Castelbuono (PA)
27 AGOSTO @ AMA Music Festival, Asolo (TV)

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