«Il palco riesce a tirarmi fuori più cazzimma». Intervista a Joan Thiele | Rolling Stone Italia
GIOCO DI MASCHERE

«Il palco riesce a tirarmi fuori più cazzimma». Intervista a Joan Thiele

Tra gli ospiti della terza puntata di "Basement Café by Lavazza – Germi Session", oltre a Brunori Sas, anche la cantautrice italo-colombiana: ci hanno raccontato come nasce una canzone, il loro rapporto con i social e il ritorno alla musica dopo la pandemia. Il tutto all’interno di Germi, il locale dove Manuel Agnelli ha avviato la ‘contaminazione’

«Il palco riesce a tirarmi fuori più cazzimma». Intervista a Joan Thiele

La musica come esigenza, elaborazione dei momenti di sconforto e canale di comunicazione e una gran voglia di tornare al contatto umano, dei live ma non solo, dopo la pandemia. Di questo, e molto altro, si è discusso durante la terza puntata di Basement Café by Lavazza – Germi Session, il format prodotto da Rolling Stone Italia e Lavazza con protagonisti i cantautori Brunori Sas e Joan Thiele. A fare gli onori di casa, come sempre, Manuel Agnelli, per un confronto ricco di spunti di riflessione tra artisti diversi, ma uniti dalla voglia di mettersi in discussione per trovare nuove vie di ispirazione all’interno di Germi, il locale fondato dal frontman degli Afterhours, insieme a Rodrigo D’Erasmo, Francesca Risi e Gianluca Segale nella zona dei Navigli a Milano. Conclusa l’ultima “session”, la cantante italo-colombiana ci ha spiegato perché questa ‘contaminazione’ le è stata molto utile.

Durante Basement Café avete discusso di come nasce una canzone, che in fondo rimane un aspetto molto soggettivo. Per te cosa rappresenta quel momento?
Per me la musica è una esigenza espressiva. Mi fa bene e nello stesso tempo mi fa stare male. È una esperienza molto densa perché mi identifico in quello che scrivo.

Hai detto che mentre stai male riesci a scrivere, a differenza di Manuel Agnelli.
Il punto è il livello di frequenza in cui ti trovi. I vari stati emotivi hanno diverse frequenze. Quando sto male sento una certa vibrazione e quindi cerco di canalizzare. Quindi, anche quando sto male, la musica mi permette di trasformarlo in qualcosa. Non vuol dire che il dolore passa, però mi dà una mano a elaborarlo.

Vi siete confrontati anche sul “gioco di maschere” che un artista utilizza sotto e sopra al palco. In che modo cerchi di equilibrare, se riesci, questa dicotomia?
Non c’è un cambiamento vero, se non una estremizzazione quando sono sul palco. Poi è vero che gioco molto sull’immagine e sull’immaginario, visto che nella vita reale sono molto più easy. Il palco, però, riesce a tirarmi fuori più cazzimma.

Forse la versione migliore di te stessa?
Diciamo che non ho paura, a parte qualche momento in cui mi sono sentita a disagio, quindi tendenzialmente mi libero completamente. Riesco a urlare tutto quello che sento.

Il rapporto tra parole e musica, per un cantautore, è uno dei momenti più magici del vostro mestiere. Come nasce questa fusione nel tuo caso?
Non ho una regola. A volte parto da una sensazione o da un concetto, così come da una parola che evoca dei suoni. L’altro giorno ero in studio e un collega mi ha detto: «Le parole sono perfette con la musica». Sembra una banalità, ma concettualmente significa molto. Alcune parole richiamano suoni e alcuni suoni le parole. In quel modo entro in un flusso dove tutto si fonde.

Le parole oggi vengono usate moltissimo, anche a sproposito, sui social. Come ti regoli con il loro utilizzo?
A volte mi trattengo sui social. Ho un atteggiamento strano. Spesso vorrei lasciarmi andare, altre volte avverto una sorta di linea da non oltrepassare e mi impongo di non raccontare ogni cosa che faccio. Io sono molto diretta, quindi posso passare da 40 storie su Instagram a non postare niente per un mese.

Senti una responsabilità verso chi ti segue?
Credo che i social abbiano un valore, essendo dei canali di comunicazione. Però se le persone mi seguono è giusto che, oltre alla mia musica, sentano cosa ho da dire. Per le azioni positive sono mezzi molto utili, ma di solito non sono una “social addicted”, ecco.

Brunori ha spiegato di aver iniziato tardi la carriera di artista, mentre tu hai iniziato prestissimo. Se potessi tornare indietro aspetteresti un po’ di più, oppure è andata bene così?
Ognuno ha la sua strada. C’è chi inizia presto, chi tardi, chi non inizia mai. Con i “se” e con i “ma” si diventa paranoici. A 20 anni non hai la maturità di quando ne hai venti, per fortuna. Oggi mi riconosco di più in quello che faccio, ma solo perché ho avuto più tempo di maturare, e se tra dieci anni cambierò ancora idea non c’è problema. Credo che in ogni momento della tua vita capiti quello era giusto per te. Se dovessi pentirmi per quello che ho fatto credo che non crescerei mai. Ci vuole tempo per conoscersi e la musica è anche questo: rispecchia ciò che sei in un dato momento.

La musica è un settore che segue i cambiamenti della società e, soprattutto negli ultimi anni, è molto influenzato dalla tecnologia. I supporti su cui ascoltare musica sono passati dal disco fisico alle piattaforme streaming. Come vi relazionate con questo passaggio?
Mi piacciono molto i dischi, ma quando lo dico mi sento nostalgica. Perché la musica è liquida ed è giusto che corrisponda al tempo in cui viviamo. La fortuna è poter usufruire sia del vinile che della musica sulle piattaforme. Ci sono i pro e contro, ma in passato sognavano un momento così.

Oggi si dice spesso che negli artisti manchi l’impegno civile, ma si esprime soltanto se uno scende in piazza o si può fare politica anche attraverso il proprio lavoro?
Sono d’accordo con Brunori, conta anche l’esempio di come viviamo. Poi è giusto esporti se hai quel tipo di attitudine. Ognuno deve essere libero di fare quello che vuole senza essere per forza giudicato. La bellezza oggi è nella libertà.

La pandemia ha rappresentato, oltre che una tragedia, anche uno stop per l’attività in molti settori. Per te è stato un momento per riflettere o l’hai sofferto?
Mi sono resa conto di averlo sofferto soltanto dopo, a pandemia finita. E tutti, in qualche modo, abbiamo accusato i risvolti dell’isolamento sociale. Non mi mancava niente in casa durante la pandemia, ma a ripensarci sono passati tre anni dal mio primo Ep e quindi ricordo che mi truccavo per fare le interviste in video: se ci ripenso è terrificante, mi vengono i brividi. È stato un periodo davvero strano per tutti.

Con la fine della pandemia c’è stato anche un grande ritorno ai live. Come l’hai vissuto?
Sono cambiate tante cose. Ho portato fuori un disco di cui non avevo una percezione reale nella vita vera. Ai primi live ero preoccupata, non avevo idea di quante persone sarebbero venute ad ascoltarmi. Prima cantavo in inglese, quindi con un pubblico un po’ diverso. E non ero abituata a sentire così tante persone cantare con me. È stato bellissimo.

Cosa hai imparato da due artisti come Brunori Sas e Manuel Agnelli?
Stimo entrambi: quando avevo 18-19 anni ascoltavo Brunori in concerto, con i dischi di Manuel ho iniziato ancora prima. Tutti e due, in maniera diversa, hanno segnato momenti della mia vita. È stato figo, mi sono emozionata. Sono musicisti eccezionali ed è stato un bel confronto. Ho ancora tanto da imparare e starei ancora ore ad ascoltarli.

Potete godervi la seconda puntata sul canale YouTube del Basement, cliccando qui. Buona visione!