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Il musicista che ha portato la musica rave nei videogame con ‘Wipeout’

Ci siamo fatti raccontare da Tim Wright aka CoLD SToRAGE la storia dietro la sua colonna sonora di una delle serie di home gaming più rivoluzionarie di sempre, capace di coinvolgere Chemical Brothers, Prodigy, Orbital e Future Sound of London

Foto: press

A metà anni Novanta i videogiochi erano (ironicamente?) considerati un divertimento per nerd, destinato ad avere poco vita: uno sguardo sul futuro della tecnologia, certo, ma forse fondamentalmente un passatempo di cui ci si sarebbe presto liberati. L’uscita dell’iconica Sony PlayStation, in questo scenario ancora incerto, sparigliò in modo piuttosto pesante le carte: con il lancio della console in Giappone prima e poi in Europa e Nord America nel 1995, franchise videoludici come Gran Turismo, Metal Gear, Tomb Raider, Resident Evil e Tekken fecero schizzare le vendite del marchio catalizzando la curiosità del pubblico su una nuova esperienza, cambiando l’industria in maniera definitiva.

Tra questi titoli, probabilmente ancor più decisivo fu il successo della serie Wipeout, gioco di corse automobilistiche futuristico sviluppato e pubblicato da Psygnosis che, senza saperlo, stava per creare ponti sotterranei con il successo della musica club e rave che spopolava negli stessi anni in Regno Unito. Già da tempo nell’industria delle sonorizzazioni per videogiochi, da navigato produttore per Amiga (della famiglia Commodore), l’artigiano del suono dietro la sua soundtrack era il gallese Tim Wright — meglio conosciuto con l’alias CoLD SToRAGE —, reo di aver definito il concetto di musica per videogame in modo insolito (e soprattutto, fino ad un certo punto, davvero inconscio). Perché totalizzante.

«Io ero un nome conosciuto, sì, ma nell’industria dei videogame. Il suono di Wipeout portò invece l’interesse per la PlayStation anche a giocatori più sporadici, che venivano affascinati dal suono e dall’immaginario, di quel suono, attorno al gioco. A volte più che dalle stesse gare d’auto in versione arcade. Questo ha sicuramente consentito alla legacy della colonna sonora di vivere così a lungo», ci racconta, quando lo raggiungiamo per farci raccontare di wipE’out” – The Zero Gravity Soundtrack, raccolta definitiva uscita in triplo vinile per Lapsus, che omaggia finalmente una soundtrack che non sapeva di essere destinata a durare tre decadi. Sì, perché, come ci dice lo stesso Wright, «fotografava due momenti storici ben precisi: era apprezzata da chi cominciava a far conoscenza della console e diventò un cult per chi si faceva una partita e poi andava al club, caricandosi con la musica del gioco», afferma. Dopo quasi trent’anni in versione fisica, la soundtrack arriva accompagnata da un parterre di remix di tutto rispetto, tra cui Kode9, Mike Paradinas aka µ-Ziq e Datassette, tra gli altri, tracciando un link imprescindibile con il passato da cui la stessa musica ha origine: «Wipeout rimase uno spartiacque, lo capii quando cominciarono ad arrivare apprezzamenti diversi dal solito», afferma. «Era perché lo pseudonimo CoLD SToRAGE gli dava un tono diverso rispetto al mio vero nome? Non so dirtelo, fatto sta che grazie a quell’insperato successo iniziale si spinse molto affinché l’operazione si potesse arricchire con nomi di un certo calibro, come avvenne nella versione europea che arrivò a contare su musica di Chemical Brothers, Prodigy, Leftfield e Orbital», racconta.

Epoca della prima release del gioco, ovvero la metà degli anni Novanta, che significava infatti avere a che fare con un underground incalzante che promuoveva la musica rivolta al futuro, non solo dentro i club: «Fino ad allora la musica elettronica nei videogiochi era stata contemplata con dei tentativi di bizzarri remake di Jean-Michel Jarre e di altri artisti di musica cosmica tedesca, che venivano reinterpretati in 8-bit per giochi del Commodore 64. Parliamo di metà anni Ottanta», spiega. «Quello che cambiò le carte in gioco fu l’approccio di quel tipo di musica per l’esperienza videoludica. La ricezione fu così positiva che il marketing venne mirato ad unire il mondo rave a quello del videogioco», racconta. «Le etichette all’inizio erano molto scettiche nel licenziare musica di Chemical Brothers, Leftfield o Orbital per PlayStation. Pensavano “Dovremmo sbatterci per licenziare musica ad un videogame?”, ad esempio».

E da profano dell’esperienza club, Tim Wright viene in pochissimo tempo risucchiato da un successo che non sapeva potesse appartenergli, con Wipeout come porta d’ingresso: «La cosa andò avanti spedita ed aprì uno scenario che fino a quel punto non era prevedibile. Ho avuto il piacere di incontrare ciascuno dei grandi artisti coinvolti nelle successive soundtrack, durante quegli anni, andare a trovarli in studio o durante i live. E continuavo a pensare che quei due mondi fossero troppo diversi. Invece qualcosa era cambiato». Cosa aveva a che fare il gioco, esattamente, con quel tracciante che a questo punto legava a strettissimo filo l’esperienza gaming con quella della notte — che proprio la sua musica contribuì ad unire imprescindibilmente? «Potevi trovare stazioni PlayStation con il gioco in diversi club. In qualche modo, attraverso la musica, potevi anticipare l’esperienza dei dj che si sarebbero esibiti dopo. Oppure, come capitava all’audience-tipo di quegli anni, si sarebbe andati a giocare una volta a casa, al rientro da una lunga serata fatta di BPM serrati e ritmiche spinte», spiega.

«Questo spostò anche la percezione nei confronti del mio lavoro: a quel punto furono le etichette ad interessarsi per licenziare musica elettronica nei giochi successivi, ed era la stessa Psygnosis a chiedere che io avessi comunque un paio di pezzi negli score dei successivi giochi della serie. Sentii la pressione di competere con artisti che facevano quello di mestiere, e pensavo: se adesso devo avere solo pochi pezzi dentro lo score, devono davvero rompere il culo». Ma prima di entrare davvero nel sogno rave e di sonorizzare quadranti riempiti da macchine che sfrecciano senza gravità tra beat trance, drum & bass e uptempo che avrebbero restituito ancora di più l’adrenalina della velocità, Wright non sapeva affatto cosa aspettarsi: «La mia conoscenza di musica elettronica era molto vaga, non avevo molti riferimenti, se non band come Autechre o Prodigy che si facevano spazio tra techno e rave in quegli anni», afferma. «Credo sia stato, paradossalmente, il segreto per scriverla in modo funzionale e senza troppi patemi. Anche perché quel poco che mi appassionava dell’elettronica, in generale, era la storia dei synth anni Ottanta. Specie quella che stava facendo strada nel pop, come Human League, Howard Jones e Orchestral Manoeuvres in the Dark».

«Tutto l’immaginario da cui partivo, con un po’ di rigetto e davvero senza saperne molto, doveva centrifugare sonorità acid-house, riferimenti sonici al rave — che nel frattempo si spostarono legalmente, nei club — ed alle sostanze che giravano agli stessi. Non per spingere il solito pregiudizio — e io sono uno che rimane ancora abbastanza lontano dal saperne molto, su quella cultura —, però dai, era evidente fosse il cuore pulsante del modo di vivere il club in quello spaccato temporale», afferma. «Le mie poche, sporadiche esperienze risalivano a fine anni Ottanta. Già all’epoca l’aspettativa che avevo era abbastanza distorta: mi aspettavo un posto fatto di gente che beveva birra fino a tarda notte, mentre trovai invece pochissimo alcool e quasi solo persone che bevevano acqua, mentre ballavano ritmiche incessanti. “Ma che succede? E che diavolo sto ascoltando?”, pensavo». Esperienza che a quel punto aveva da farsi, per quanto CoLD SToRAGE non se l’aspettasse così di successo: «Ci riprovai, ed in qualche modo credo capii il vero senso di quanto succedeva tra quelle mura. Ritornando a casa mi sembrava di ritornare a certe immagini, certi suoni di un particolare pezzo ascoltato chissà quando, verso metà serata, che mi riconciliava con quel momento e quella condivisione. Mi ci è voluta quasi un’educazione specifica per capire quel tipo di cultura».

Per “il suo” Wipeout, del resto, Wright non ha mai smesso, in fondo, di lavorare di perseveranza. Neanche dopo tutto questo tempo: «Avevo provato a far circolare diversi remastering da solo, per mettere i pezzi sui servizi di streaming, aggiungendo qualche edit per perfezionare qualcosa qui e lì. Sono sempre rimasto “dentro” il mondo di Wipeout, in qualche modo». E infatti nel 2020 arriva una chiamata particolare, quasi a fare ordine tra le cartelle negli hard disk del compositore. È da parte di Lapsus, etichetta e piattaforma artistica multidisciplinare catalana che nonostante una vita ancora piuttosto giovane (è stata fondata a Barcellona nel 2004) ha già coinvolto nel proprio roster nomi del calibro della pioniera del Buchla Suzanne Ciani e Mike Paradinas (conosciuto con l’alias µ-Ziq, qui proprio nel gruppo dei remixer scelti per la reissue): «”Abbiamo visto che hai tantissimo materiale di quelle soundtrack sparso su Bandcamp e altre piattaforme, ma che ne dici di produrre un vinile?”, mi dissero». Il resto, è storia recente.

Ma quant’è cambiato, per Wright, la percezione che si aveva del suo lavoro durante tutti questi anni? «È un percorso che continua da quando ho scritto quello score nel 1995. Perché sì, nel frattempo io sono rimasto a Psygnosis a produrre altre colonne sonore o librerie di effetti per altri videogame, che è quello che succede lavorando in una casa che produce software: sei in ballo in decine di progetti diversi, collabori col team video, col marketing e così via», risponde. «E poi, in fondo ci sono voluti solo trent’anni, pensa. Sì, a parte gli scherzi, è un raggiungimento pazzesco, sia per il fatto che la colonna sonora rivive attraverso remix da parte di artisti di musica elettronica contemporanea che per il grande lavoro fatto con Sony, per gestire i diritti del logo, degli artwork originali di The Designer Republic e tutto ciò che servisse a far succedere questa cosa», afferma. «A quel punto, con luce verde per quanto riguardava tutti questi aspetti, l’idea è stata quella di inserire più materiale possibile, così da arrivare ad una solida collezione di tre vinili — che è appunto, la versione appena uscita».

Due mondi che insomma comunicano a distanza siderale, nel tempo, ma che tutto sommato sembrano legati in maniera intatta, tramite il fascino per videogame e musica futuristica: «Per quanto la cosa più evidente è che ciò di cui stiamo parlando è ormai archeologia digitale, tutto in qualche modo torna ciclicamente. Chi aveva iniziato a scoprire PlayStation giocando a Wipeout adesso avrà tranquillamente sui cinquant’anni, forse anche qualcosa di più. E si ricorderà le giornate di Natale passate davanti allo schermo, di quella musica, e forse delle serate passate nei club a ballare quegli artisti, più avanti nel tempo», dice. «Un’altra parte di pubblico, tendenzialmente il fratellino di chi all’epoca giocava con queste macchine che sfrecciavano senza gravità durante le notti di Natale, si potrà interessare a quella musica ora, che aveva comunque un’estetica piuttosto futuristica e un impatto abbastanza avanti al loro stesso tempo», prosegue.

Wright ha lasciato Psygnosis nel 1997 per dedicarsi a vari progetti di sviluppo di software per creazione musicale per console, principalmente PlayStation e Game Boy. L’esperienza con eJay, che faceva la stessa cosa anche per PC, ed il boom per console vero e proprio con Music e MTV Music Generator: «Ricordo che Future Music Magazine (rivista britannica specializzata in software ed attrezzatura musicale, ndr) mi volle in copertina con una headline piuttosto spinta, del tipo “Ho convertito quasi mezzo milione di nerd da console in producer”. Faceva piuttosto ridere, anche se la verità era che ho sempre avuto il sogno di restituire alla gente qualcosa che fosse facile da usare, che gli permettesse anche di realizzare delle demo di buona qualità, da mandare ad un’etichetta».

Per poi tornare al presente, che per il gallese non è troppo diverso da quanto realizzato finora, le idee rimangono chiare: «Da qualche anno ho creato una nuova piattaforma che cerca di innovare questo settore con un team interno che sviluppa nuove idee e continua un certo tipo di percorso». E la garanzia di avere persino un posto, accanto ai fab four: «Tempo fa ricevetti una chiamata dal Liverpool Museum, volevano includere una targa dedicata ai miei lavori nel mondo di computer e videogame. Avrebbe fatto parte di una stanza che includeva personalità Scouse, cioè del Merseyside e dintorni di Liverpool. Anche se io sono gallese, ma non dirlo a nessuno! Finii in una stanza accanto ai Beatles. Ma ci credi?».

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