Il disco pop più matto dell’anno l’ha fatto VV | Rolling Stone Italia
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Il disco pop più matto dell’anno l’ha fatto VV

‘Ami pensi sogni senti’ è carico, colorato, esilarante, fanciullesco. È un viaggio in un universo parallelo strutturato come un videogame. All’ultimo livello c’è la felicità e ha un suono beatlesiano

Il disco pop più matto dell’anno l’ha fatto VV

VV

Foto: Riccardo Lancia, Sofia Lorenzo

Non pare vero che il disco pop più matto dell’anno l’abbia fatto VV, favolosa outsider, autrice capace, musicista con lo sguardo rivolto sempre in avanti, ora anche creatrice di mondi. Non pare vero perché l’avevamo lasciata alle prese con la canzone piena d’immaginazione ma tutto sommato tradizionale di Il giusto e col dolore cosmico di Collirio. La ritroviamo immersa in un universo parallelo e iperpop (e anche un po’ hyperpop) mentre canta e suona canzoni colorate, folli e fanciullesche, lanciata in un viaggio verso l’ignoto strutturato come un videogame. Con la speranza che un attimo prima del game over arrivi la Felicità.

VV, che di nome fa Viviana Colombo, non somiglia a nessun’altra, tanto più adesso che s’è inventata il metaVVerso del suo primo album Ami pensi sogni senti. Sono nove canzoni introdotte e inframmezzate dai quattro interludi caratterizzati dai glitch e dai bleep tipici dei videogame. È un trattatello pop sulla ricerca di senso in cui si è continuamente sballottati da pezzi carichi di stimoli sonori, canzoni piene di svolte inattese, di sporcature volute, di drop che s’aprono come buche sotto i piedi e ti portano altrove. «C’è l’idea» dice VV «di usare variazioni di tempo e modulazioni armoniche per far vivere un viaggio a chi ascolta, per non farlo mai rilassare in uno schema tradizionale che ha stufato prima di tutto me. Sento il bisogno di colore, di movimento».

Oltre a scrivere e cantare, VV s’è occupata della produzione al fianco di Federico Nardelli, laureato in musica elettronica e in composizione per la musica applicata al Conservatorio di Santa Cecilia di Roma, già in studio con Tommaso Paradiso, Ligabue, Colapesce e Dimartino, Fulminacci, Samuel, Gazzelle, Francesca Michielin e molti altri. «Non so neanche dirti che musica sia», dice VV. Non importa. Dare un nome meno generico di “pop” a questo disco sarebbe inutile.

L’album nasce come miscela di analogico e digitale, col secondo usato per manipolare il primo fino a renderlo irriconoscibile. «Mi piace l’idea di mischiare passato e presente, miscelare ritmiche analogiche e campioni», spiega VV. «Non limitarsi a usare una strumentazione data, ma creare un suono nuovo che sia il risultato dell’addizione di vari elementi. Abbiamo sperimentato con strumentazione meno convenzionale, abbiamo usato ad esempio la tastiera OP-1, una sorta di giocattolo costoso che si presta molto a lavorare con suoni presi da varie fonti, ma anche il Moog, vari plug-in che riproducono ad esempio l’808 o il Mellotron, un minuscolo amplificatore a pile della Marshall». La voce è spesso filtrata, a volte resa quasi irriconoscibile, alterata nel pitch, moltiplicata. «Abbiamo usato moltissimo un plug-in chiamato AlterBoy che altera la forma della voce. Non volevo fare uno di quei dischi in cui l’artista e la sua voce sono al centro. Prendi Duecento: la voce nel ritornello è totalmente pitchata verso l’alto, con un effetto quasi infantile». Col risultato che la voce è decentrata e trasformata in suono, una scelta che allontana VV dal classico pop italiano.

Ami pensi sogni senti sta all’intersezione fra immaginario da videogame, digicore, mondo delle anime. «Mi piace l’estetica di certe cose che vengono dal Giappone, ecco perché i suoni giocosi o i glitch, la vena surreale, la metafora dei videogiochi». Non i videogiochi d’ultima generazione, non quelli in alta definizione che mirano a replicare alla perfezione la realtà. Il disco evoca piuttosto i vecchi videogame da sala giochi. Tutto concorre a creare una VVland molto colorata e molto lo-fi, non la riproduzione esatta della realtà in cui viviamo, ma un mondo alternativo dove far scorrazzare un avatar che ci interroga: ma tu sei felice?

Una delle cose interessanti è che questa idea non viene da un’aspirante popstar piena di pretese che guarda alla figaggine di Charli XCX o alla sofisticatezza di Caroline Polachek, ma da un’artigiana della musica italiana che cita Jovanotti come esempio da seguire di artista che «ha la capacità di unire la leggerezza e la voglia di far star bene chi lo ascolta». Questa spinta vitalistica è realizzata non solo nei testi, ma anche nella musica, ad esempio in Antidoto che VV presenterà al concertone del Primo maggio accompagnata dal chitarrista Ettore Giannì, una feelgood song che racconta l’amore come contravveleno alla tristezza esistenziale, o in Scintilla, invito elementare, se non proprio primitivo a saltare e ballare con un testo ridotto ai minimi termini e un urlo alla James Brown, via Prince.

Fatto sta che Ami pensi sogni senti è assieme esilarante, buffo e niente affatto pretenzioso. Parte con una canzone titolata Veleno che non ha una struttura tradizionale, ma è un viaggio in tre tappe che culmina in un drop. E va avanti, il disco, raccontando ed evocando la ribellione alla noia e al senso d’impotenza, il cambiamento a cui aneliamo e che spesso siamo i primi a sabotare. E in pezzi come Duecento e la title track suggerisce che se ci si salva, ci si salva assieme agli altri – questi altri che per la prima volta entrano nel mondo di VV. «L’EP Verso dell’anno scorso era un dialogo su me stessa e per me stessa. Adesso ho voglia di coinvolgere anche gli altri nelle mie domande esistenziali. È nella condivisione che trovo il senso delle cose, creando magari quell’aggregazione che è mancata, riunendo persone che hanno i miei stessi interessi. E difatti mentre scrivevo questi pezzi pensavo a chi li avrebbe sentiti in concerto». In questo senso il manifesto è Brillantini, pezzo spudoratamente positivo sulla voglia di buttare via le nostre facce tristi e cercare di stare bene.

A pensarci bene, non solo l’album, ma tutta la storia artistica di VV somiglia un videogame: ogni fase, un livello da superare e un mondo da esplorare. Dopo la falsa partenza con la doppia esperienza a The Voice – del resto, quante volte si muore prima di superare il livello 1? – ha cercato sé stessa in una serie di canzoni autoprodotte e numerate in modo progressivo (l’ultima è La distanza_07) registrate nel salotto di casa: è il livello 2, il bedroom pop, col mondo che entra dalla finestra e finisce nei file audio. Con Il giusto, pezzo sulla ricerca di equilibrio nella vita caratterizzato dalla magnifica indeterminatezza della frase-chiave “mi sento come una città in un bosco, al verde”, VV è arrivata al livello 3, culminato nell’EP Verso. Ora con Ami pensi sogni senti è al quarto livello, roba per giocatori più che abili. «Non voglio accontentarmi, mi piace l’idea di non essere prevedibile».

Non lo è. È vero che l’anno scorso VV ha pubblicato pezzi funkeggianti come Paranoie con Memento, ma lo stacco col passato è talmente radicale da far pensare che abbia ideato il disco in reazione al carattere struggente di certe sue canzoni. «Avevo bisogno di usare l’energia del suono e della musica per trasmettere un senso di scoperta di come stare bene, di come essere felici. In fondo la mia musica è sempre stata votata a questo. Se vuoi, c’è la poesia della leggerezza, c’è la voglia di usare i suoni per colorare la vita quotidiana e andare alla ricerca del senso dell’esistenza. E magari essere utile a chi mi ascolta».

Si scopre infine che la felicità ha un suono beatlesiano. Nel senso che l’album si chiude con un pezzo chiamato Felicità in cui, come faceva Lucio Dalla anni fa, si canta il carattere precario ed elusivo della felicità, che è poi il tema di tanta musica di VV. «È la canzone che mi ha impegnata di più nella scrittura. Avevo la prima parte che ha quasi la forma di stornello, ma non sapevo come andare avanti. Metterci un’apertura classica con un ritornello sarebbe stato riduttivo».

Alla fine s’è ispirata a A Day in the Life dei Beatles e ha impresso alla canzone una direzione inaspettata e poetica, facendone una sinfonia digitale miniaturizzata con un finale meravigliosamente arioso. Ti lascia la voglia di averne ancora, di sentirne ancora, ti congeda col pensiero che magari neanche all’ultimo livello di Ami pensi sogni senti si riesce ad afferrare questa benedetta felicità, ma se non altro il viaggio per arrivarci è uno spasso.

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