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I Water From Your Eyes sono i Sonic Youth e i New Order che litigano sott’acqua

È la definizione della loro musica data da un ubriaco che i due americani hanno incontrato in Inghilterra. Aggiungete testi su depressione e abuso di sostanze, la vita agra in tour, uno sguardo disincantato e avrete ‘Everyone’s Crushed’ che è assieme assurdo, divertente e drammatico

Foto: Eleanor Petry

La definizione breve di quel che fanno i Water From Your Eyes potrebbe essere pop sperimentale. Fa però pensare a una musica blanda e perciò la cantante Rachel Brown suggerisce di aggiungerci «dance-punk-seguiti-da-un-punto-interrogativo» e «art-rock-con-annessa-alzata-di-spalle». O forse ha ragione il tizio ubriaco che hanno incontrato in Inghilterra e che ha detto che sembrano «i Sonic Youth e i New Order che litigano sott’acqua».

Il musicista e produttore Nate Amos ha invece un debole per la definizione sandwich rock. «Oggettivamente, ci piacciono i panini e pure il rock». Ok, dice Brown, loro musica è effettivamente «stratificata, ha vari ingredienti e ci sono cose che la tengono insieme, con un bel ripieno, come un panino insomma». Si lancia poi in una discussione sui panini scomposti e sull’annoso quesito filosofico: l’hot dog è da considerarsi un panino oppure no?

Il tutto è assieme assurdo e brillante, che è poi quel che rende i Water From Your Eyes una delle band più interessanti del momento. Fanno musica piena d’una tale energia discordante da essere miserabile e al tempo stesso divertente.

Nel singolo di lancio dell’album Everyone’s Crushed, che s’intitola Barley, ci sono un bel groove, un riff di chitarra stravagante e sintetizzatori che suonano come sirene o fanno strani suoni tipo slot machine. In mezzo a questo guazzabuglio, la voce di Brown è fredda e distante, il testo è impressionistico e peculiare: “Un due tre quattro, conto le montagne”. Secondo Amos è spassoso.

«Mentre ci stavamo lavorando», racconta Brown, «abbiamo scritto una cosa che finiva con le parole “fields of gold”. Nate m’ha chiesto se conoscevo il pezzo di Sting. Ehm, no. Allora l’abbiamo ascoltato e abbiamo preso un po’ di parole da lì». L’idea, dice Amos, «era usare quante più parole possibile prese da Fields of Gold senza essere accusati di plagio. Ecco perché la canzone si chiama Barley, orzo». Capito, no?

Brown e Amos si sono conosciuti a Chicago e nel 2016. Nelle prime registrazioni si sono divertiti a giocare con qualunque cosa, dalla dance mesta all’indie pop bizzarro e stralunato. Hanno scritto pezzi dal punto di vista di un cane disperato (Feels a Lot Like del 2017) e da quello di personaggi secondari di un film non ben specificato (All a Dance del 2018). Nel disco del 2019 Somebody Else’s Song hanno dimostrato di sapere scrivere bene e in quello del 2021 Somebody Else’s Songs (come il precedente, ma al plurale) hanno messo cover di No Doubt, Carly Rae Jepsen, Red Hot Chili Peppers e Nico (e Lose Yourself di Eminem).

Per suppergiù quattro anni Brown e Amos sono stati anche una coppia. Si sono lasciati nel 2019, ma la loro partnership creativa è fiorita quando hanno iniziato a lavorare al loro disco della svolta, Structure del 2021, che esplorava ulteriormente la loro vena sperimentale, ma era anche costruito meticolosamente, diviso in due parti speculari, ricco di testi autoreferenziali ed Easter eggs.

Quand’è arrivato il momento di incidere Everyone’s Crushed, «non volevamo ripeterci». Ma ci sono delle piccole corrispondenze fra le canzoni del nuovo album: per dire, Barley è stata scritta nella stessa settimana di Buy My Product, la chiusura casinista e divertente da morire; entrambi sono ispirati da Tomorrow Never Knows dei Beatles. «Ci sono un solo ritmo, un solo accordo e una tonalità di base che resta invariata, ma anche tanti suoni diversi che entrano ed escono», spiega Amos.

Everyone’s Crushed ha iniziato a prendere forma all’inizio dell’estate 2021, quando i due hanno sfornato quattro canzoni in rapida successione: Open, Everyone’s Crushed, True Life e Remember Not My Name. Spiega Amos che Structure lo avevano fatto con un «procedimento molto metodico e lento». Il disco nuovo è invece nato da «piccole idee sparpagliate che arrivavano di continuo».

Funziona così: Amos crea le basi strumentali e le melodie, le porta tutto a Brown, che si meraviglia («Wow, pazzesco, sei pazzo, sei fuori») e scrive i testi. Capita che Amos le suggerisca una frase o un’idea: a volte le accetta, a volte no. Ciò che ne deriva è inconfondibilmente Water From Your Eyes, anche se spesso i modi in cui i due si relazionano alla musica che hanno creato non coincidono.

Secondo Amos, Everyone’s Crushed è «il prodotto di un periodo caotico e instabile» per entrambi, ma vissuto in modi molto diversi. Brown era impegnata in una serie di progetti cinematografici e televisivi e per settimane ha lavorato per più di 12 ore al giorno. Alcuni di questi progetti erano gratificanti (come, per esempio, il lavoro di montaggio per Black in America, la presentazione multimediale del celebre pianista Awadagin Pratt), molti erano soltanto spot pubblicitari. È stato il suo modo, sfiancante ma efficace, per evitare di cadere vittima della depressione da pandemia.

«In pratica avevo meno problemi mentali, ero sfinita», dice seccamente. Continua e riflette sul contrasto tra i tanti mali degli Stati Uniti e le esperienze d’immigrazione dei genitori (la famiglia della madre veniva dalla Cina, quella del padre dall’Irlanda). «La mia famiglia è arrivata fin qui in cerca di qualcosa e, per molti versi, ha funzionato», aggiunge Brown. «Non c’è davvero nessun posto come l’America».

In quello stesso periodo, Amos faceva musica e lottava per liberarsi dalle cattive abitudini. «La prima volta che ho cercato di disintossicarmi, non ce l’ho fatta», racconta a proposito della sua battaglia contro l’alcol, le anfetamine e gli stupefacenti. «È andata bene per quattro o cinque giorni, poi ho avuto una brutta ricaduta: è stato allora che sono nate quelle canzoni», vale a dire il nucleo centrale di Everyone’s Crushed.

In un certo senso entrambi hanno convogliato nel disco la sensazione di essere prigionieri di circoli viziosi (il tardo-capitalismo, la dipendenza), catturandola al meglio nella title track. Brown inizia con il verso “Sono insieme a tutti quelli a cui voglio bene e tutto fa male”, poi lo decostruisce, lo rimodella e lo trasforma in una ninna nanna che, in un certo senso, si fa rassicurante.

Il caso vuole che questa sia anche il pezzo che Amos ha composto durante la sua prima breve parentesi di sobrietà: era la prima volta che faceva «musica da sobrio», dai tempi dell’adolescenza. «È la canzone più importante, per me, perché ci percepisco una specie di vittoria o di resistenza di fronte alle difficoltà», dice, «mentre il resto dell’album mi pare dia l’impressione di una resa all’oscurità. Everyone’s Crushed è l’unico momento in cui si intravede una luce verso cui dirigersi, mentre per tutto il resto del disco sembra di essere intrappolati nel meccanismo della depressione e dell’abuso di sostanze».

Brown sembra più distaccata. «Non è che io non senta proprio nulla, quando la ascolto, ma non ha un significato così personale. Non è legata a un periodo particolare della mia vita: in quel momento stavo solo lavorando ed ero depressa, ma non è una cosa fuori dalla norma. Non penso  che smetterò di sentirmi come intrappolata, ma spero che le cose cambino, nutro più speranza, adesso».

Foto: Eleanor Petry

La scorsa estate, i Water From Your Eyes hanno aperto per i Pavement nel loro grande tour di reunion, per gli Spoon e per gli Interpol (anche loro incidono per Matador). È stata l’occasione, per una band emergente come la loro, di fare concerti più grossi e di imparare un po’ di trucchi del mestiere. Brown ha chiesto a Sam Fogarino degli Interpol come fa a gestire la situazione e la sua risposta è stata questa qua: «Ho uno psicoterapeuta, gioco tanto col cellulare e medito». «Gli ho risposto: “Oh, anche io gioco tanto col telefono”», dice Brown ridendo.

Hanno ancora tanto da imparare. Quando parliamo, ad aprile, sono nel bel mezzo di un tour sfiancante, 21 concerti in 23 giorni. Ma la cosa peggiore è che la colpa per quell’itinerario così imballato è tutta loro. Notando dei buchi nel calendario di date in apertura per gli Snail Mail, hanno chiesto al booking agent di aggiungere qualche altro show, senza rendersi conto che quei giorni senza impegni avrebbero dovuto essere i loro day off.

Uno di quei concerti è stato a Bakersfield: tutti sono rimasti sorpresi dal fatto che l’avessero organizzato, anche le cinque persone che si sono presentate. «Molto gentili, peraltro», dice Brown facendosi una risata. «Chiedevano: “Ma perché siete venuti a Bakersfield?”».
«Ovviamente per i Korn», dice Amos. «Di questo mi prendo io la colpa, perché tutti si erano raccomandati di non suonare a Bakersfield».
«Ma io ero d’accordo!», insiste Brown.
«Pensavo: dobbiamo andare nella città dei Korn. Alla fine abbiamo suonato in un piccolo birrificio per fighetti», sospira Amos. «Zero vibrazioni alla Korn».

In questo momento stanno sperimentando la contraddizione intrinseca dell’essere, diciamo così, dei beniamini emergenti dell’indie: grandi concerti, piccoli concerti, errori frustranti ed esaltanti al contempo. A parte il disastro col booking, i Water From Your Eyes si stanno abituando ai rigori della vita on the road e il sostegno di un’etichetta come Matador è d’aiuto.

«Non siamo più solo una band sconosciuta che si presenta a suonare davanti a tre persone, con Nate in preda a un’intossicazione alimentare», dice Brown (è successo davvero: era la data per cui avrebbero ricevuto il cachet più alto, quindi non potevano certo tirarsi indietro; Amos si è esibito tenendo un secchio accanto, per ogni evenienza: «Ero in balìa della mia esperienza psichedelica più terribile di sempre», ironizza lui).

Anche se i Water From Your Eyes fanno musica insieme da sette anni, un’aura da debutto circonda Everyone’s Crushed. Brown dice scherzando che sembra quasi che la band stia partecipando al grande ballo delle debuttanti indie rock. «Indossiamo vestiti di gala e stiamo entrando nel…». Si ferma un istante. «Non sono mai stata a un evento del genere, non ho idea di come siano. Però ho visto Una mamma per amica».

Quando parliamo, entrambi hanno presentato da poco la dichiarazione dei redditi. «Ho appena dato al governo tutti i miei soldi dell’affitto per i prossimi due mesi, così posso guadagnare tempo e capire quanto dovrò pagare», dice Brown.
«Sì, ci hanno appena fottuti tutti e due», aggiunge Amos.
«Ora vado a stare a casa dei miei per un pochino, nel mentre subaffitto il mio appartamento e mi metto a posto con le tasse», continua Brown. «Abbiamo ancora 20 concerti da fare e poi altri tre tour. So solo questo».

I Water From Your Eyes sono in trappola anche se sono sempre in movimento, e se ne stanno rendendo conto mano a mano. «Spesso sembra tutto privo di significato», dice Amos. E Brown aggiunge, ridendo: «Penso che ci siano persone, là fuori, che probabilmente si sentono un po’ meno in trappola perché, magari, stanno partecipando attivamente al cambiamento. Mentre invece noi due siamo in tour a tentare di vendere del merchandising».

È proprio questo il pensiero con cui i Water From Your Eyes chiudono Everyone’s Crushed: la canzone che s’intitola Buy My Product è lo spot sopra le righe per l’album strano, audace e sconvolgente che si è appena finito d’ascoltare. “Niente lieto fine / Solo cose che accadono / Comprate il mio prodotto”, canta Brown. Come dice Amos, «puoi anche andare alla deriva, ma nella vita ti tocca sempre vendere qualcosa».

Da Rolling Stone US.

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