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I Tenacious D vent’anni dopo: il rock è ancora eccitante e ridicolo

Jack Black e Kyle Gass raccontano le origini del gruppo più pazzo del mondo: «Siamo un mix di Simon & Garfunkel e Black Sabbath, due sfigati che hanno dimostrato che il rock è per tutti»

Foto: Scott Gries/ImageDirect/Getty Images

È una grande storia rock’n’roll, una di quelle che è bello sentire e risentire. È sulla sera in cui Jack Black e Kyle Gass hanno debuttato come Tenacious D. Era il loro primo concerto in assoluto, si teneva in una caffetteria di Los Angeles chiamata Highland Grounds. Tra il pubblico, a vedere il futuro di queste due leggende, c’era un gran maestro. Immaginate i Rolling Stones che debuttano di fronte a Muddy Waters oppure Whitney Houston che si esibisce per la prima volta in vita sua e fra il pubblico c’è Aretha Franklin. Bene, quella sera a vedere il primo show dei Tenacious D c’era Harry Shearer, meglio noto come Derek Smalls degli Spinal Tap. «Un battesimo magico, un segno del destino», dice oggi Jack Black con un tocco di megalomania.

Il duo, che celebra in questi giorni il ventennale dell’album di debutto, è sempre stato super attento agli elementi che rendono il rock contemporaneamente magico e ridicolo: grandi riff, grandi ritornelli, grandi ego e, cosa ancora più importante, grandi leggende.

E del resto il pezzo forte del duo è Tribute, versione deformata del mito del musicista che vende l’anima al diavolo in cambio del talento, pezzo in cui i Tenacious D riescono a stupire il demonio suonando la migliore canzone al mondo, per poi non ricordare più come faceva, quella canzone. Mito e presa per il culo si mescolano nell’album Tenacious D, dall’epica di Wonderboy alla saga rivoluzionaria di City Hall fino a Dio, in cui i due si autoproclamano eredi di Ronnie James Dio.

Sono una band fake che improvvisamente diventa vera, una band che ha entusiasmato gente come Dave Grohl (che ha poi suonato con loro) e Weezer (che hanno portato il duo in tour) e lo stesso Dio (apparso nel film del 2006 Tenacious D e il destino del rock). In un episodio della loro serie su HBO, Black cerca di spaccare la chitarra dopo una performance di Tribute, ma è squattrinato e perciò la posa delicatamente. Quando i D hanno suonato il pezzo da Letterman un paio d’anni dopo l’ha finalmente sbattuta a terra. La loro impresa più notevole è stata esordire nei primi anni 2000, con l’industria musicale in fase calante, e guadagnare un disco d’oro in meno di un anno e un platino nel 2005.

In occasione del ventesimo anniversario, la band ha dato ai fan in una sorta di calendario dell’avvento via via vecchi filmati, nuove versione degli skit dell’album rifatte da Independent Shakespeare Co. e Haim (vedi Drive-Thru), interviste con David Cross (fan della prima ora che ha spinto Tenacious D ancor più nel terreno dell’alt comedy di Los Angeles) e i produttori dell’album, i Dust Brothers. È anche prevista una ristampa dell’album in versione Super Power Party Pack con vecchi demo e rarità.

«È bello rendere omaggio al primo album», dice Black. «È stato importante, sarebbe stato strano non ricordarlo. Ci chiedi se è stato divertente per noi. Ma non è per noi. È per i fan. È solo per i fan».

Ditemi qualcosa dell’Actors’ Gang, la compagnia teatrale grazie alla quale vi siete conosciuti.
Kyle: Era una compagnia politicizzata, diciamo progressista, ma molto divertente, basata sulla Commedia dell’arte.
Jack: La prima volta che t’ho visto sul un palco è stato con l’Actors’ Gang. Non sapevi che ci fossi, ero fra il pubblico. Abbiamo fatto amicizia solo quando sono entrato nella compagnia. Non ero che un teenager. Abbiamo girato il mondo. Nel 1989 siamo stati all’Edinburgh International Festival. Parliamo degli anni ’80.
Kyle: Un tuffo nel passato.
Jack: Era una compagnia politicamente schierata. Molto cool. Gli attori che stavano a Los Angeles negli anni ’80 volevano tutti entrarci. Era il posto dove stare.

C’entrava già la musica nelle cose che facevate?
Kyle: Sì. Io ero un mezzo musicista e poi è arrivato Jack e ci ha ribaltati con le registrazioni a quattro piste che faceva a casa. Un po’ mi sentivo minacciato perché si capiva che lui era un wunderkid e io un vecchio con la chitarra. Ma volevo far parte del suo mondo, volevo un po’ del suo fluido.
Jack: Hai anche lasciato l’Actors’ Gang per un po’. Tipo: basta, me ne vado.
Kyle: Ho un caratteraccio.
Jack: E io ti ho seguito. Ho continuato a lavorare con l’Actors’ Gang, ma ho seguito Kage nel suo nuovo progetto.
Kyle: Il mio periodo d’esilio.
Jack: E io dicevo: dai, restiamo amici, insegnami come si fa.
Kyle: L’ho apprezzato. Avevo bisogno di un amico.
Jack: Finalmente ti sei accorto della mia esistenza. A quel punto sono gli anni ’90 e Kage mi insegna a suonare la chitarra, ci si fa un sacco di canne, scriviamo la nostra prima canzone. Ma non voglio parlare di quella canzone.
Kyle: Incredibile che ancora tu ce l’abbia con quel pezzo lì (è una canzone seria sul divorzio titolata Melissa, su Internet gira, ndr).
Jack: Lo detesto. Comunque la prima canzone ufficiale è stata Tribute. Ce ne abbiamo messo di tempo a scrivere questo capolavoro. È ancora uno dei nostri cavalli di battaglia, probabilmente la nostra canzone migliore.
Kyle: Da allora è stata tutta discesa.
Jack: Abbiamo mirato in alto e fatto centro.

Ditemi di quando avete ideato i Tenacious D e siete venuti fuori con questo grandioso stile acustico-metal.
Kyle: Avevamo bisogno di una specie di scudo dietro a cui nasconderci. Fare musica ci imbarazza. Quando canti ti esponi. La parte comica è venuta fuori in modo naturale. E siamo entrambi spassosi. Abbiamo trovato il nostro modo di fare le cose. Ci piace il rock da stadio, Jack mi ha fatto scoprire cose heavy che non conoscevo, m’ha fatto appassionare ai Metallica.
Jack: Kyle mi ha insegnato a suonare la chitarra acustica. Suonava anche l’elettrica, ma in casa non aveva un ampli. A me l’acustica piaceva, non m’interessava che non ci fosse l’elettrica. Lo sentivo mio, quel suono. Eravamo come ninja e i ninja non usano armi. Eravamo i ninja del rock che non usavano chitarre elettriche.

E quindi ecco questi amanti del metal che suonano chitarre acustiche.
Jack: Io e Kage abbiamo gusti diversi e ci siamo incontrati su Simon & Garfunkel. Poi ho detto: «Aspetta un attimo, e i Black Sabbath?». E quindi è venuto fuori questo mix fra Simon & Garfunkel e i Black Sabbath. Folk metal.
Kyle: Sei stato tu a farmi scoprire le storie sul demonio e il rock anni ’80. Molto divertenti. Chissà se davvero Ozzy adora Satana.

E com’è che musica e comicità si sono intrecciate? Voglio dire, ci sono state canzoni che vi hanno fatto capire che la musica seria aveva anche un risolto divertente?
Jack: (Canta) “Hello Muddah. Hello Fadduh, here I am at Camp Granada”: questo è Allan Sherman. “He’s got big balls! She’s got big balls! But we’ve got the biggest balls of them all!”: e questi sono gli AC/DC. Divertente, molto. Ma diciamola tutta, la stella polare è stato Spinal Tap. È il film più divertente della storia, e in più ci sono grandi canzoni. Si prendevano gioco del genere e nel frattempo lo celebravano. E Nigel Tufnel, il più divertente di tutti. Nessuno mai come lui, né prima, né dopo. Magari qualcuno come lui. E a livello 11 su 10. Chi ce la fa ad arrivare a 12?
Kyle: Hanno aperto una porta.

Avete fatto lo show per la HBO prima dell’album. Vi ha aiutati a prepararvi alle registrazioni?


Kyle: Avevamo fatto qualche concerto prima di registrare lo show, ci ha aiutati a essere pronti, ma eravamo inesperti, era la prima volta che lavoravamo in studio. Lo show ci ha aiutati a capire che il progetto funzionava, che c’era un pubblico.
Jack: È stato un bel modo per mettere assieme del materiale, prima che ci proponessero lo show avevamo giusto una manciata di canzoni. Abbiamo scritto qualche episodio con Bob (Odenkirk) e David (Cross), i primi non sono stati un problema perché avevamo già qualche brano, poi abbiamo capito che avremmo dovuto scriverne di nuovi. Ne abbiamo messi giù un bel po’. Cos’è che dici quando scrivi?
Kyle: Mi appunto cose tipo: ho bisogno di una canzone sullo yeti.
Jack: Abbiamo scritto diversi pezzi per la tv per cui, quando abbiamo finito, ce n’erano a sufficenza per entrare in studio.

Nell’intervista che avete fatto con John King dei Dust Brothers spiegate com’è stato passare agli strumenti elettrici. John diceva che era come realizzare la fantasia che è già sottesa ai pezzi acustici. Com’è stato lavorare con una vera band? 

Kyle: Come un sogno che diventa realtà. È stato pazzesco ascoltare le nostre canzoni in quel modo, con Dave Grohl che suona la batteria su pezzi che hai scritto tu nella tua cameretta. Era anche un rischio, ma i Dust Brothers ci hanno subito detto che non era una cosa tanto insolita. Porti un pezzo in studio e poi lo trasformi. È una forma d’arte diversa dai concerti. È stato grandioso. Non facevo che ascoltare il disco e ripetermi: «È incredibile, non ci credo. Sono su un disco rock com ‘sto suono!».
Jack: È stato figo, ma il periodo precedente al disco, quello prima di avere un contratto discografico, quello sì che è stato magico. Nei due anni in cui eravamo famosi come band potevamo suonare in posti grossi senza aver neanche fatto un disco. Eravamo i più indie di tutti. Non c’è niente di più indie di avere un’etichetta che non esiste nemmeno! La nostra musica esisteva solo su videocassetta. Siamo andati a Seattle, Eddie Vedder è venuto a vederci e non avevamo ancora pubblicato un disco. Ma era lì, cazzo.

Per questo, quando siamo entrati in studio con i Dust Brothers, eravamo riluttanti all’idea di diventare un supergruppo come ci veniva consigliato. Perché sai, l’effetto comico del progetto sta proprio nel fatto che siamo due tizi che suonano heavy metal con le chitarre acustiche e lo fanno come se fossero di fronte a milioni di persone. Con una band avremmo perso quella magia? Così ci siamo detti: ok, facciamolo, ma teniamoci l’opzione di cambiare idea all’ultimo e tornare all’acustico. E loro: «Ok, facciamo anche le versioni acustiche così poi potrete decidere». Quando abbiamo iniziato a registrare il discorso è diventato: «Ma di che stiamo parlando? Suonano meglio con la band. Che ce frega di quelle acustiche».
Kyle: Nel disco ci sono un paio di pezzi acustici. Sono importanti, danno varietà.

Dunque, Eddie Vedder viene a vedervi, Dave Grohl suona nel disco, andate in tour coi Weezer e persino Dio è un vostro un fan. Perché i Tenacious D piacciono tanto agli altri artisti? 

Kyle: Credo si riconoscessero. Eravamo dei perdenti, degli sfigati illusi, ma divertenti e a modo nostro pure bravi. Potevano ridere di noi e con noi, e ovviamente battere il piede a tempo.
Jack: Era come se dicessimo: ehi, questa cosa la possono fare tutti.
Kyle: Chiaramente non è vero.
Jack: La radio ti dice che solo chi è speciale può farlo. Ed eccoci qua a ricordarvi che sono tutte stronzate. Chiunque può fare rock. Credo sia così che Brad Bird ha inventato il motto di Ratatouille: tutti possono cucinare! Noi siamo come il topo del film!

Non avete mai mollato i Tenacious D. Com’è che questo progetto resta eccitante e creativamente stimolante?
Jack: Sai, siamo ancora i Tenacious from the block.
Kyle: È il nostro progetto, ci permette di dare sfogo alle nostre idee. È come una botta, è fantastico. Al momento stiamo lavorando a cose nuove, non credo ci sia niente di meglio che far uscire nuova musica. L’atto della creazione è entusiasmante.
Jack: È come trovare una miniera d’oro o un giacimento di petrolio. Chi lo chiuderebbe? Si continua finché il filone non si esaurisce. Ora non ci resta che passare definitivamente agli strumenti elettrici. Chissà.
Kyle: Non lo sappiamo neanche noi, siamo schiavi della musa!
Jack: Al momento la vena non si è ancora esaurita.

Questo articolo è stato tradotto da Rolling Stone US.

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