I Ministri contro il dominio dei ‘Numeri’ | Rolling Stone Italia
Interviste Musica

I Ministri contro il dominio dei ‘Numeri’

Il nuovo singolo del trio è un invito a scendere in strada e parlarsi, con empatia. «È la risposta al metaverso, a chi pensa che il futuro stia nello stare lontani e interagire con i guanti». Da marzo in tour

I Ministri contro il dominio dei ‘Numeri’

Ministri

Foto: Chiara Mirelli. Styling: Nicolò Cerioni

Nell’estate che ci siamo lasciati alle spalle i Ministri se ne sono andati in giro a riprendersi ciò che era loro: i palchi, il sudore, il pubblico urlante, la voglia di pestare gli strumenti, di stare assieme agli altri e di cantare questo nostro, assurdo mondo a dispetto di ogni restrizione di sorta. «Ognuno può riaffrontare questa ripartenza come vuole, ogni reazione ha i suoi argomenti, ma nessuno venga a raccontare come sono o non sono stati i nostri concerti con le sedie se non ci è venuto», hanno scritto sui social. Come dire: noi andiamo avanti, punto.

Sono così da sempre Davide “Divi” Autelitano (voce, basso), Federico Dragogna (chitarre, seconde voci) e Michele Esposito (batteria): i loro pensieri li infilano nelle canzoni, in quell’alternative rock catartico, perfettamente in equilibrio tra potenza e melodia, di cui portano alta la bandiera da ormai 15 anni. Lo hanno fatto nuovamente la primavera scorsa con l’ottimo EP Cronaca nera e musica leggera. Lo rifanno ora con un nuovo singolo, Numeri, che nell’auspicare la rinascita di un senso di collettività prende di mira una civiltà che sembra essersi ridotta a fare una e una sola cosa: i conti. «Con questa canzone, più che dare speranza, vorremmo aiutare la speranza», dice Dragogna, autore della maggior parte dei testi dei Ministri sin dagli esordi.

Che cosa intendi per aiutare la speranza?
Se c’è una funzione che è stata ormai riconosciuta ai Ministri, è quella sociale, ossia quella di una band che oltre a far scatenare il pubblico ai concerti mette in luce determinati aspetti della realtà con i testi, ma anche con la sostanza in cui questi testi sono calati, cioè la musica: la mia chitarra, la voce di Divi, la batteria di Michi, tutte queste cose assieme. In tal senso Numeri non è un pezzo che va a sperimentare, è un brano…

Super ministrico, direi.
Vero, è uno di quei brani del nostro repertorio in cui diamo la nostra visione del mondo con strofe e ritornelli che rappresentano rispettivamente la pars destruens e la pars construens, e in quest’ultima c’è, appunto, il desiderio di accendere una speranza in un momento di crisi come quello che stiamo vivendo che non è qualcosa di forzato: quando scrivo certe cose le scrivo in primis per me stesso, ma poi diventano dei Ministri e di un noi collettivo più o meno ampio.

Come mai una riflessione sui numeri? Mentre preparavo quest’intervista ho ritrovato un tuo post su Instagram dello scorso 25 marzo in cui toccavi questo argomento, te lo ricordi?
Lo ricordo perfettamente, perché per altri motivi l’ho ritrovato anch’io qualche giorno fa, quel post. Non dico me ne fossi dimenticato, ma non c’è mai troppo calcolo in quello che scrivo, se non l’idea di mettere ciò che ho da dire in una forma che mi piace. In realtà Numeri è nata qualche mese dopo, quando sebbene fossimo in una fase più dolce della pandemia era stato introdotto il Green Pass e mi sentivo una strana sensazione addosso, iniziavo a vedere le prime divisioni… Ma evidentemente era da tempo che avevo in mente questa cosa dei numeri e per ovvie ragioni, visto che è da due anni che la nostra vita dipende dai dati relativi al Covid.

Nel comunicato stampa dichiarate: «I numeri sono lo sfondo sul quale costruiamo e regoliamo le nostre vite e la nostra etica: davvero bastano a indicarci il male e il bene, il giusto e lo sbagliato?». E nel post di cui sopra scrivevi che per capire il mondo attorno, preferisci guardare le parole.
Perché le parole che scegliamo di usare o non usare spiegano molte cose, e quelle aggiunte al vocabolario durante la pandemia trovo che siano le più brutte e insincere. Una è assembramento, termine che non si usava praticamente mai e cui adesso si ricorre per indicare nello stesso modo folle che esultano, folle che manifestano, concerti, balli. Per indicare quello che è l’essere umano nella sua essenza, in fondo, ma con un’accezione negativa.

E infatti il singolo è un invito a scendere in strada, a incontrarsi, a farsi sentire, che arriva in un momento in cui il dibattito su qualsiasi argomento è affrontato in modo pericolosamente divisivo, come se esistesse una linea di pensiero rispetto alla quale ogni dubbio, pur legittimo, non può avere peso. Cosa mi puoi dire di questo?
Prima di tutto direi che c’è un più o meno naturale, un più o meno disinteressato – e non saprei davvero misurarlo quel più o meno – tentativo di esacerbare le divisioni. Nulla di nuovo, c’è un modo di dire in latino che conosciamo tutti e che descrive bene questa pratica che non è certo apparsa per la prima volta con quest’emergenza. Di contro, come abbiamo potuto notare durante il nostro tour estivo, nelle situazioni in cui ci si vede di persona c’è molta più pace, c’è molta più capacità di discutere senza attaccarsi a vicenda o trincerarsi sulle proprie posizioni di quella che si può trovare sul web. E qui torno su Numeri, la canzone, perché è un brano che nasce anche dalla constatazione che a volte non si capisce che tutto l’odio di cui parliamo di continuo è dovuto a una mancanza di empatia provocata dalla mancanza di incontro. Che possibilità di empatia si può avere nel parlare con una fotina quadrata su un profilo digitale? Guardarsi negli occhi cambia tutto e in tal senso questo nuovo pezzo dei Ministri è la nostra risposta al metaverso, a chi pensa che il futuro stia nello stare lontani e interagire con i guanti.

Quanto è difficile parlare pubblicamente di queste cose in questo periodo?
Mi fa piacere che tu me lo chieda. In questo periodo è molto faticoso parlare di una serie di valori, più che pronunciarsi su posizioni su cui già si pronunciano tutti. Ciò che è mancato in questa pandemia è una riflessione comune, collettiva, che al netto dell’emergenza in senso stretto ci aiutasse a capire come vogliamo vivere le nostre vite e come vogliamo affrontare la natura stessa in tutti i suoi aspetti. Al tempo stesso non posso non osservare che quanto accaduto ha scosso tante persone e che quindi, qualsiasi cosa si pensi, quando si parla ci vuole una grande sensibilità. Come Ministri il nostro contributo in tal senso lo diamo con la musica, perché siamo convinti che lo schierarsi sulla piazza di Internet attenga semmai alla sfera personale, mentre il ruolo dell’artista è quello di parlare attraverso le sue opere. Poi c’è chi questo parlare lo intende come uno schierarsi, un militare per una parte, e chi, come noi, preferisce mettere in luce delle contraddizioni, porre il dubbio, stimolare lo spirito critico. Sono le opere che tengono vivo quest’ultimo, secondo me, che sono più politiche, non quelle che prendono posizione in un modo o nell’altro. Perché a un certo punto, anche se stai facendo propaganda per il bene, è pur sempre propaganda.

Da dove ti arrivano gli spunti per queste riflessioni?
Dalle mie letture, che sono spesso alla base dei testi che scrivo per i Ministri. Leggo tanti filosofi contemporanei, ma non solo, mi piacciono molto anche alcune figure un po’ trasversali. Quindi il primo nome che citerei è Žižek, mi danno come un matto per stargli dietro. Poi Rodari ed Ettore Sottsass, che ha scritto una serie di diari molto interessanti, da Scritto di notte a Molto difficile da dire. Ho amato anche la raccolta di poesie La vita è rara di Houellebecq e La società della stanchezza di Byung-Chul Han. Si tratta di libri che contengono spesso anticipazioni di quello che sarà, mi viene in mente anche Baudrillard, che già nel 2000 teorizzava una società caratterizzata da una crescente incapacità di affrontare seriamente il tema della morte. E poi Asimov, che ho letto solo di recente perché per un sacco di tempo ho avuto pregiudizi sulla fantascienza scritta, e invece lui è una bomba. Cioè, in Asimov – e parliamo di roba scritta nel 1961 – non solo c’è Internet, ma c’è Google: tutte le persone hanno a casa monitor da cui chiedono a un’intelligenza centrale domande su qualsiasi cosa. 

Numeri è anche un video: com’è nato?
Il video (a cura dei Ministri e di Lorenzo Santagada, ndr) è un racconto fatto di numeri dati al ritmo della canzone che narrano il mondo in maniere estremamente trasversali rispetto alla narrazione quasi univoca che ci è stata propinata negli ultimi due anni. Volevamo mostrare come i numeri possano dire tutto e che per quanto ci abbiano aiutato nel tempo a vivere meglio e più a lungo, dobbiamo ricordarci che in essi non risiede nessuna verità automatica. Per secoli abbiamo delegato le nostre responsabilità a divinità di vario tipo, ora evitiamo di fare la stessa cosa con i numeri, anzi, facciamoci pace, facciamo pace con l’idea che non saranno certo loro a dirci cosa fare. E questo vale sia per le questioni diciamo pubbliche, sia nel privato, ossia per tutte quelle persone che passano la giornata a contare i like che hanno raccolto. Non c’è numero che possa spiegarci anche solo la felicità dell’essere vivi, è un po’ come quando escono quelle classifiche sulle città dove si vive meglio e chi vive nella città indicata come la migliore commenta basito «ma che, davvero?!».

È anche un po’ come le classifiche discografiche: non ci dicono nulla sulla bellezza dei dischi.
Ma sì, perché i numeri non dicono il bello, non dicono il giusto, non dicono tante cose. Siamo comunque noi che li prendiamo, siamo noi che li leggiamo e li interpretiamo: la responsabilità è nostra.  

Non è un mistero che all’epoca di Cultura generale i Ministri fossero entrati un po’ crisi, lo avete raccontato voi stessi. Mentre ho l’impressione che la pandemia abbia rafforzato l’unità del gruppo: sbaglio?
Premesso che non è facile portare avanti per così tanto una band come la nostra in Italia, soprattutto per una questione di sostenibilità, nei momenti difficili abbiamo sempre adottato la strategia della pazienza, non siamo come i Police che si menavano durante le interviste (ride). La pazienza a volte può far crescere delle cose sotto al tappeto, ma altre volte fa bene perché vuol dire rispetto ed è questo il nostro caso, tant’è che il tour di quest’estate è stato stupendo per tutti e tre e del materiale che stiamo buttando fuori e che continueremo a pubblicare nel 2022 siamo molto, molto contenti. 

Ministri - Peggio Di Niente

Tra l’altro sarete di nuovo in tour dal prossimo 31 marzo, una buona notizia. Ma concedimi un attimo di revival: andando a spulciare tra le vecchie interviste ne ho trovata una del 2016 in cui parlando di un aneddoto legato a Il bel canto dicevi: «siamo passati dallo stragismo allo stagismo».
Wow, questa è da maglietta da vendere a Lo Stato Sociale.

Ora quest’epoca come la definiresti?
Non saprei, quello che mi spiace è vedere come tante realtà locali, per sopravvivere, debbano mettersi a vassallaggio di realtà multinazionali. A Milano questa cosa si comincia a vedere con una certa evidenza e a me non piace: come dicevo prima, l’impero del bene è pur sempre un impero, non lo amo come forma, e mi sembra che si stiano lasciando indietro delle battaglie importanti. Insomma, non vorrei fare il marxista del 2021, però mannaggia…

Senza scomodare Marx, voi Ministri avete fatto rock parlando di precariato, di uguaglianza sociale, del diritto alla casa e al lavoro, di migranti, ma anche di amori, disamori, fragilità interiori, della paura di diventare adulti. Com’è che ultimamente vi presentate dicendo che fate “musica suonata”? Ve l’ho già sentito dire in un paio di occasioni.
Non so, forse lo stiamo facendo per i ragazzini di 11 anni. A loro magari interessa che sia specificato, no? Il fatto è che l’elettronica di una volta partiva da musicisti che lavorando con l’elettronica riuscivano a tirare fuori una serie di cose, mentre oggi c’è un’industria del sound design che ti dà dei sughi pronti, per cui a quel punto il problema sta solo nell’impiattare. Al netto di questo, trovo che tra i ragazzi di oggi ci sia un livello di freschezza, di scaltrezza e di musicalità molto alto.

Chi ti piace?
Tra i nomi grossi, che stanno funzionando a livello mainstream e che magari non ci si aspetta che io possa fare, trovo affascinanti Madame e Mahmood. Ecco, lì c’è una generazione che… Insomma, quando ho visto Madame sul palco di Sanremo, alla sua età e in quel modo, sono rimasto sconvolto, ho pensato a noi quando abbiamo iniziato a suonare ai tempi del liceo e il paragone è davvero impari.

Avevate meno video da imitare.
Mmm, sì, oggi c’è un po’ più di America anche in Italia, questo è poco ma sicuro.

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Le date del tour:
31/3/2022 Roncade (TV), New Age
4/4/2022 Torino, Hiroshima Mon Amour
7/4/2022 Roma, Orion
8/4/2022 Santa Maria a Vico (CE), Smav
15/4/2022 Perugia, After Life
16/4/2022 Pinarella di Cervia (RA), Rock Planet
23/4/2022 Firenze, Viper
24/4/2022 Bologna, Estragon
29/4/2022 Trezzo sull’Adda (MI), Live Club

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