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“I miei primi 40 anni” (con i Blondie)

Intervista a Debbie Harry in attesa del concerto di Milano: "Il sex appeal non serve, basta solo prendersi in giro". Non ci starà forse sfottendo?

Mockery, segnatevi questa parola per capire Debbie Harry, i Blondie, il punk rock, la vita, l’universo e tutto quanto. Debbie Harry, infatti, ride un sacco, si prende in giro e, per questo motivo, quando parli al telefono con lei dimentichi in un nanosecondo che dall’esordio dei Blondie a oggi sono passati 40 anni.

Ovvio che pensi a canzoni come Hangin on the Telephone (che, attenzione, era una cover dei Nerves e non un loro pezzo originale) o Call Me (già, il produttore del pezzo bomba della colonna sonora di American Gigolò è Giorgio Moroder) e ovvio che, non avendola davanti agli occhi, hai in testa lei, Debbie Harry, più nei panni della coniglietta di Playboy – uno dei suoi primi lavori – che in quelli di una signora che, alla faccia dell’età pensionabile, preferisce continuare a cantare in giro per il mondo.

Mercoledì 3 settembre i Blondie suoneranno al Magnolia di Milano, una città che per il gruppo – come racconta la stessa Debbie Harry – significa tanto, quasi un portafortuna: «Ricordo che nel 1979 stavamo in un hotel vicinissimo al Duomo e il nostro produttore di allora, Mike Chapman, ci disse che una nostra canzone, Heart of Glass, era arrivata al numero uno delle classifiche a casa nostra, negli Stati Uniti. Fu una notte bellissima, passata al bar a bere champagne». E ride di cuore, divertita, quando mi dice: «Forse tu non eri ancora nato». Al massimo questione di mesi.

Va da sé che i pezzi dell’ultimo album – Ghosts of Download (ancora: apprezzate l’autoironia) – non sono minimamente all’altezza delle loro hit, eppure onestissime canzoni come A Rose by Any Name (dove Debbie Harry duetta con una delle sue tante figliocce, Beth Ditto dei Gossip) si difendono bene facendo sculettare i fan, anche durante i live: «Questo è un disco molto ballabile con tanti pezzi up-tempo. Sono canzoni divertenti, tengono su lo spirito! Vanno d’accordo con quelle vecchie, quindi piacciono a tutti. Credo ci sia continuità tra le nostre canzoni storiche, come Heart of Glass, e quelle nuove, tipo Euphoria, una di quelle che preferisco».

C’è da dire che dal vivo, Debbie Harry e i Blondie hanno inserito in scaletta anche cover di Ramones e Misfits. Un tributo ai bei tempi andati perché, prima di arrivare a quel magico connubio tra rock&roll e disco music che sono Call Me, Heart of Glass, Atomic, Rapture, i Blondie sono stati tra i primi punk rocker newyorkesi (nel suono, nel look, nell’attitudine) e Debbie Harry, nessuno potrà mai sostenere il contrario, è la first-lady del punk rock.

Ma allora, cosa significa, cos’ha rappresentato, secondo Debbie Harry, il punk rock? «Negli anni Settanta, il punk rock è stato come un’indicazione di quello che sarebbe stato di lì a poco il futuro. Proprio come i computer, arrivati nello stesso periodo e poi diventati qualcosa di molto comune. Sono entrati nella vita di tutti i giorni. Noi eravamo stanchi dell’ipocrisia e di tutto quello che rappresentava il passato, ma le band americane come la nostra, e tanti gruppi punk inglesi degli anni Settanta, avevano testi molto divertenti, autoironici». Ed ecco la parolina magica, mockery: «È importante avere un tuo proprio punto di vista, ma soprattutto senso dell’umorismo per capire te stesso. Devi prenderti in giro, con grande umiltà».

Debbie Harry, New York Apartment with Warhol Portrait, 1988 © Brian Aris

Con grande umiltà, autoironia, un fisico pazzesco, charme e tutto il resto, Debbie Harry è diventata quella che immagini ritratta da Andy Warhol. Ma come ci si sente a svegliarsi la mattina ed essere un’icona pop? «È divertente! A volte sono il boss, vero, ma devo sapere prendermi cura della piccola che c’è in me». Ed essere considerata un’icona sexy? «Fa sempre piacere! Ma credo sia una questione di chimica. Quello che piace a te non per forza piace a tutti gli altri». E, ancora, ride. Perché, se non ti piace Debbie Harry, uomo o donna che tu sia, hai qualcosa che non va.

Ma, a distanza di 40 anni, puoi dirci qual è la tua arma segreta? «Ah, ah! Mi piacerebbe davvero averne una!». Forse una è Chris Stein, che suona con te da sempre? «Certo, vero! Chris è un grandissimo artista. Ha un istinto naturale che lo porta a non avere mai dubbi in testa. Lui è uno che ha sempre le idee chiare». L’altro membro originale dei Blondie sul palco del Magnolia a Milano sarà il batterista Clem Burke, vero? «Già, abbiamo incontrato Clem quando aveva 18 anni, ci conosciamo da sempre». Per la serie “forse non tutti sanno che”, puoi raccontarci di quando Clem Burke è diventato Elvis Ramone, il quarto dei Ramones? «Ah, ah! Vero, ma ricordo davvero poco. Penso sia durato pochissimo!». Una session fotografica e un paio di concerti.

Proprio in questi giorni, un marchio di skateboard ha lanciato l’ennesima linea d’abbigliamento brandizzata Blondie, con logo della band e volto di Debbie Harry. Bene, lei ne era all’oscuro (certo che gestisce lei nei minimi dettagli lo sfruttamento del nome e dell’immagine del gruppo). «Non ne so niente, che vergogna! La prossima volta prometto di fare i compiti a casa». E, ancora, ride di gusto e io me la vedo con le mani sui fianchi come sulla copertina di Parallel Lines, sapendo che tra qualche giorno lei sarà sul palco e noi sotto a cantare «oh, your hair is beautiful».

La copertina di “Parallel Lines”… appunto

Blondie in concerto al Circolo Magnolia di Milano mercoledì 3 settembre.
Info: hubmusicfactory.com

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