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Garbage, l’intervista di Rolling Stone a Shirley Manson

A cinquant'anni la cantante di “Only Happy When It Rains” non cede alla nostalgia ed 
è più agguerrita che mai: «Non voglio essere un’icona, non voglio pensare che sia questo il potere femminile». Capito?
I Garbage sono: Shirley Manson, Duke Erikson, Steve Marker, Butch Vig

I Garbage sono: Shirley Manson, Duke Erikson, Steve Marker, Butch Vig

Berlino c’è un’incredibile giornata di primavera, il che significa che sono tutti in strada a godersi il sole con un sorriso ebete e bellissimo, come se il caldo rilasciasse MDMA nell’aria e l’intera città si fosse trasformata in un rave di uccellini cinguettanti e fattoni presi bene. Questo per dire che non è la giornata ideale per intervistare Shirley Manson, voce dei Garbage, una band che definire gloomy suona quasi eufemistico e che 20 anni fa cantava Only Happy When It Rains offrendo un po’ di tetro conforto a chi, invece del sole, contemplava la pioggia. A 20 anni di distanza, Shirley mi accoglie ancora con la chioma rosa di un tempo (solo meno shocking di allora) e per prima cosa si scusa per il caldo che fa in stanza.

Ah, ma allora è vero che devi sempre fare la strana, là fuori c’è gente in estasi per il sole…
(Ride) Sì, cavolo, è vero, siamo a Berlino, non c’ho pensato. Però fa caldo, eh?

Eh sì, caldissimo… Vedo che parlare del tempo funziona sempre per rompere il ghiaccio. Ma adesso parliamo di nostalgia: non so se sono condizionata dal fatto che mi ricordo perfettamente quando 20 anni fa ero andata in fissa per Garbage – il vostro disco d’esordio – ma sentire il nuovo album, Strange Little Birds, mi ha riportata un po’ lì…
In realtà non è un album nostalgico. Abbiamo sempre avuto questo gusto per le atmosfere dark, poi ovviamente vuoi sperimentare cose nuove e allargare il tuo universo, ma con quest’album ci è sembrato un processo naturale ritornare a quella cupezza, per ciò che siamo adesso e per ciò che ci sta intorno: una forma di autenticità più che di nostalgia.

E il vostro tour celebrativo dell’anno scorso per i 20 anni dall’uscita di Garbage? Nemmeno lì c’era nostalgia?
No, devo dire che non è stato quello il motore del tour. Volevamo solo celebrare qualcosa che ci ha letteralmente cambiato la vita. Era giusto ricordarcelo e fare festa.

Okay, mi hai distrutto l’argomento.
No, aspetta, quello di cui parli l’ho vissuto nel rapporto con il pubblico. Nel rivedere i fan che ci seguivano dall’inizio: ragazzine di 15 anni diventate donne, o anche ragazzini di 15 anni diventati donne… Abbiamo visto la gente cambiare tutto: vita, sesso, sposarsi, fare figli, ammalarsi, è stato un amarcord intenso.

La formazione attuale dei Garbage: Butch Vig, Steve Marker, Duke Erikson, Shirley Manson – Foto via Facebook

 

Ti sei mai sentita un’icona per quella generazione?
Non mi piace pensarmi come icona, perché ho l’impressione che bastino due minuti di celebrità per trasformare qualcuno in un’icona. Sapere come si veste o che dieta fa l’icona del momento è una discreta stronzata. Come sentirmi dire che dovrei fare più selfie kardashiani da postare su Facebook. Figurati, non ho niente contro chi lo fa, ma non voglio nemmeno pensare che sia questo il potere femminile.

E qual è?
Credo che, da due generazioni dopo la mia, si sia smesso di lottare per i propri diritti, come fossero scontati, ma i diritti sono effimeri se non continui a lottare, e paradossalmente mi sento meno libera adesso rispetto a 20 anni fa se uno come Donald Trump può permettersi di dire le sue assurdità sull’aborto. Poi possiamo pure trattarlo come un pagliaccio, ma mi spaventa l’infantilismo in cui è precipitato il dibattito in America.

Forse si lotta in maniera più individualista, cioè fino a quando non sentiamo che qualcosa ci riguarda personalmente…
Sì, è vero, parlare di diritti dovrebbe significare parlare di uguaglianza sociale. Invece non si parla più di eguaglianza, mentre per me il femminismo è esattamente questo.

Senti questa disparità anche nel mondo musicale?
Beh, da un punto di vista commerciale, ci sono un mucchio di donne che dominano le classifiche pop al momento e, d’accordo, è fantastico, sono artiste bravissime, ma sono anche donne che rispondono a certi standard fisici o di comportamento. Vorrei sentire nelle hit radiofoniche anche la voce di donne più timide, più incazzate, più fragili, più instabili.

Non rischia di diventare pure quello uno stereotipo, “la musicista fragile e tormentata”?
Forse, ma intanto non mi pare che arrivi in cima alle classifiche.

Per me i Garbage sono stati una palestra di democrazia

Però non può essere solo una questione di successo.
No, assolutamente. Ma prendiamo la scena più alternativa, le line-up sono dominate da uomini e ci sembra normale. Poi piazzi dentro al festival una donna e siamo tutti contenti. Non so, forse allora avrebbe più senso non partecipare proprio, fare o dire qualcosa, trovare un modo per sabotare il sistema, non legittimarlo in continuazione. Vale per tutto: basta con l’accondiscendenza. Non sono per la violenza, ma anche le suffragette hanno alzato il tiro per cambiare le cose.

Beh, le suffragette! Qui siamo oltre la nostalgia!
(Ride) Sì, ma mi sa che siamo tornati a quel punto.

Se dovessi cominciare a far musica oggi, che tipo di musicista saresti?
Penso che oggi sia semplicemente più difficile farcela come band, perché l’industria musicale non vuole più avere a che fare con le band: è più dispendioso, quindi preferiscono prendere una ragazzina di 19 anni, metterla sotto contratto e gestire tutta la sua carriera. Ed è vero, è un casino avere a che fare con una band, ma è proprio quello il bello. Per me i Garbage sono stati una palestra di democrazia.

L’intervista è stata pubblicata su Rolling Stone di giugno.
Potete leggere l’edizione digitale della rivista,
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