I Flaming Lips sono diventati sexy | Rolling Stone Italia
Interviste Musica

I Flaming Lips sono diventati sexy

Quel fulminato di Wayne Coyne ha messo in piedi una band con le Deap Vally: i Deap Lips. Lui mette le sue visioni stralunate, loro l'atteggiamento sfrontato di Stones e Zeppelin. Risultato: pop psichedelico e sensuale

I Flaming Lips sono diventati sexy

I Deap Lips

Foto: Vijatm

Tra Oklahoma City e Raleigh, in North Carolina, ci sono circa duemila chilometri. Una distanza tutto sommato ragionevole per incontrare l’inventore del più grande orsetto di gomma del mondo. Così pensava Wayne Coyne, frontman dei Flaming Lips, che ha approfittato del viaggio per vedere un concerto dei Wolfmother. In apertura c’erano le Deap Vally, un duo rock’n’roll che continuava ad apparire sul feed Instagram del musicista e che non aveva mai visto suonare dal vivo. «Sono state grandiose. Dopo il concerto sono andato al banchetto del merch e ho incontrato Lindsey (Troy, chitarra e voce, nda). Era ancora sudata e puzzava di pizza. Il che è perdonabile, dopo un concerto del genere», racconta Coyne in diretta dalla sua camera da letto, dove lo intervistiamo in conferenza Skype insieme alla stessa Lindsey – in macchina verso l’anagrafe, dove ha un appuntamento per cambiare il nome di sua figlia – e Julie Edwards (batteria e voce) per parlare del progetto Deap Lips e dell’omonimo album d’esordio in uscita il 13 marzo per l’etichetta Cooking Vinyl.

Il progetto è nato proprio lì, davanti al banchetto del merch, e da uno scambio di numeri di telefono. «Mi sembrava di conoscerla da tanto tempo», racconta Coyne. «Mesi dopo mi ha contattato Julie, e credo sia stata lei a chiedermi di venire in Oklahoma per registrare una canzone. È cominciato tutto così». Le Deap Vally, all’epoca, erano al lavoro su un album di collaborazioni – erano in contatto anche con le Warpaint – e su un modo per rivoluzionare il loro metodo di lavoro. «Avevamo bisogno di liberarci di alcune abitudini di scrittura e registrazione, mischiarci con altri musicisti, improvvisare, lasciare accadere le cose senza cercare di controllarle troppo. Era una sorta di esercizio psicologico», dice Edwards.

Quattro anni dopo, quella canzone, Home Through Hell, apre il primo album di un nuovo progetto discografico, probabilmente la collaborazione più interessante registrata dai Flaming Lips negli ultimi tempi, e anche la più inaspettata. «Se mi avessero proposto un album avrei detto “No, col cazzo”, ma quando si tratta di una singola canzone… che hai da perdere? E poi erano disposte a venire nel mio studio, in Oklahoma, e lavorare rispettando i miei tempi. Il problema è che siamo subito inciampati in una grande canzone», racconta il frontman. Riascoltando quel pezzo, Coyne e Steven Drozd – polistrumentista e autore dei Lips – si sono resi conto che, in qualche modo, suonare con le Deap Vally realizzava un loro vecchio desiderio. «Non siamo mai riusciti a suonare musica sexy, ardente, dondolante. Canzoni in cui il cantante sembra dire: “Ehi, guardami, sono figo”. Per farla breve, l’atteggiamento di Stones, Zeppelin, Stooges e così via. Incontrare le Deap Vally è stato come trovare qualcuno capace di incarnare quello spirito. Loro sono così: sexy, sicure di loro stesse, non gliene frega un cazzo. Noi no, siamo goffi», dice il frontman.

All’orecchio di Coyne, Home Through Hell sembrava la prima canzone di un gruppo nato dalle fatiche della sala prove. Per i Flaming Lips era una novità assoluta, e alla fine quel pezzo si è trasformato in un EP, poi in un album. «Noi non siamo performer, non improvvisiamo, siamo una recording band, architettiamo texture di suoni. In studio abbiamo a portata di mano migliaia di soluzioni diverse, ma se ci chiedessi di fare un jam non sapremmo da dove cominciare», dice Coyne. Le Deap Vally, invece, sono abituate a fare il contrario, a montare gli amplificatori e suonare ore e ore alla ricerca del riff perfetto. «Siamo abituate a lavorare in un contesto minimale, molto heavy. È stato bellissimo rilassarci un po’, incorporare nella nostra musica i loro suoni astrali e un’estetica diversa dalla nostra», dice Edwards.

Entrare nel Pink Floor Studio, per loro, è stato come cambiare pianeta. «Sembrava Disneyland», dice Troy. «È il mondo di Wayne. Alla fine ci siamo ritrovati a vivere nella stanza degli ospiti di casa sua. Vive in una specie di residence, e in ogni angolo ci sono opere d’arte assurde. Lui è sempre presente, resta sveglio fino all’alba per raccontarti storie incredibili. Passavamo il tempo così, oppure guardando il documentario su Osho. Tutte queste cose influenzano la scrittura di un disco, in qualche modo». «Ma non devi fraintenderci, hanno un’etica del lavoro pazzesca», aggiunge Edwards. «I Flaming Lips vanno in studio ogni giorno, cinque giorni a settimana, dalle 9 alle 17. Prendono tutto molto seriamente, è lavoro ma allo stesso tempo non è mai faticoso».

Il risultato è un disco in equilibrio tra il roots rock e la psichedelia, sensuale ma allo stesso tempo infantile, pieno di svolte inaspettate e melodie interessanti. Non è un caso che il progetto sia diventato una band, che potrebbe persino partire in tour e registrare un secondo disco. «L’idea è quella di organizzare dei concerti dei Flaming Lips con le Deap Vally come apertura. Sarebbe una buona soluzione», dice Coyne. «Il problema è che noi quelle canzoni non le abbiamo mai suonate! Sono solo registrazioni. Il lavoro in studio, per me, è avvolto nella nebbia. Registro una cosa e poi me la dimentico. Se qualcuno mi chiedesse di fare un concerto questo sabato gli direi: “No! Vaffanculo!” Se il mondo dovesse apprezzare questo primo album, invece, perché non continuare?».