I Black Keys tra l'odio per il pop, la litigata con Jack White e un'intesa indistruttibile | Rolling Stone Italia
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I Black Keys tra l’odio per il pop, la litigata con Jack White e un’intesa indistruttibile

Dopo una pausa di tre anni, la band di Dan Auerbach e Patrick Carney è tornata con un nuovo album, 'Let's Rock', e una nuova visione dell’industria discografica

I Black Keys tra l’odio per il pop, la litigata con Jack White e un’intesa indistruttibile

I Black Keys

Foto: Getty Images

I Black Keys hanno incontrato Rolling Stone USA, a Nashville, per discutere la loro pausa di tre anni, l’odio per il pop mainstream e la ‘incomprensione’ con Jack White. All’Easy Eye Sound, lo studio del chitarrista e frontman Dan Auerbach, il batterista Patrick Carney racconta ridendo che il feedback positivo arrivato di recente alla band è opera di uno “street team” che ha lavorato su YouTube. Cita anche un commento furioso di un fan che si diceva sollevato per essersi perso la performance del nuovo singolo Lo/Hi al concerto di Toronto.

«Dicono: “Non rendete giustizia alle sfumature”», dice Auerbach. «Questo è esattamente quel che non va nel mondo, oggi», aggiunge Carney, paragonando i fan con il personaggio di David Brent, interpretato da Ricky Gervais nella versione originale di The Office. «Oggi quell’idiota del cazzo può dire la sua».

Il duo racconta della pausa di tre anni iniziata nel 2015, periodo in cui, dopo aver suonato all’Outside Lands Festival di San Francisco, Auerbach ha pubblicato un album con il side project The Arcs (Yours, Dreamily) e un disco solista (Waiting on a Song). «Era la prima volta che ci prendevamo una pausa», dice Carney. «Devi tenere a mente una cosa: tra il 2002 e il 2014 abbiamo fatto otto dischi. È più di quanto succede normalmente a una band».

«Durante la pausa ho imparato un sacco di cose», spiega Carney. «Una è scoprire quanto sia malata l’industria discografica». I Keys raccontano quanto siano stati difficili i primi anni di carriera, quando guidavano dalla loro città natale, Akron, fino a New York per aprire il concerto di una band ska. Il cachet era di appena 50 dollari. Dormivano spesso nel van – un Plymouth Voyager del 1994 –, lo stesso modello che è finito sulla copertina di El Camino

The Black Keys - I Got Mine ["Let's Rock" Tour Rehearsals]

Quando si chiede al gruppo dove sta andando l’industria, Auerbach scuote la testa. «Non so dove stia andando, sinceramente», dice. Carney sostiene che in un mondo senza riviste e blog è sempre più difficile trovare informazioni su artisti underground. «Anche un sito come Pitchfork, che era pieno di stronzi arroganti, almeno copriva musica che mi interessava. Ora fanno solo musica pop».

Auerbach ammette che si è sempre sentito solo nei suoi ascolti musicali. «Quando avevo 14 anni non conoscevo nessuno che volesse ascoltare il blues insieme a me», dice. Il duo, cresciuto nello stesso quartiere di Akron, ha scoperto subito di avere una grande intesa musicale. «Credo che la cosa che tutti amano di me e Pat sia proprio questa, la nostra connessione naturale», spiega Auerbach. «Più invecchiamo, più me ne rendo conto. Ogni volta che ci ritroviamo a suonare insieme… siamo sempre sulla stessa lunghezza d’onda».

Carney, da parte sua, racconta di una vita passata a disprezzare il pop radiofonico. «Sentivo Lionel Richie e mi sembrava deprimente», dice. «Non mi sento uno stronzo a pensarlo. Se mi chiedi dei miei gusti musicali, cerco di dare le stesse risposte che darebbe Jim Jarmusch parlando di cinema. Se chiedi a me di film, invece, credo che il mio preferito sia I Goonies».

I Keys raccontano anche gli incontri più strani con le celebrities mondiali, tra cui quello con Hulk Hogan agli Spike Video Game Awards e Shane MacGowan dei Pogues, che per Auerbach assomiglia a una “candela consumata” ma comunque capace di scolarsi tre drink contemporaneamente. Parlano anche della loro partnership, spiegano che Billy Corgan degli Smashing Pumpkins è l’esempio perfetto per capire perché sia così importante dividere i guadagni tra tutti i membri della band. «È ovvio che non avesse nessuno con cui parlare», dice Carney. «È un avido del cazzo».

Il duo, poi, ha confermato il tour americano del 2020 ed elencato i pro e i contro dello streaming – conveniente ma allo stesso tempo brutalmente ingiusto per le finanze degli artisti. «Non dico che Spotify faccia stronzate perché mi sento trattato ingiustamente», dice Carney. «Sono molto più ricco di quanto sognassi».

Ma com’è finita con Jack White, il garage rocker con cui hanno avuto uno scontro lungo diversi anni? «Ho passato del tempo con lui, negli ultimi anni, ho imparato a conoscerlo», dice Carney. «Credo che all’inizio ci siano state diverse incomprensioni. Ovviamente abbiamo un sacco di cose in comune. Veniamo dalla stessa parte del mondo, siamo cresciuti con la stessa musica e ci siamo interessati alla stessa roba esoterica. Credo sia un bravo ragazzo».

Guarda a questo link l’intervista ai Black Keys del senior editor di Rolling Stone Patrick Doyle

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