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Black Keys: «Ecco come suonerà ‘Dropout Boogie’»

Dan Auerbach e Pat Carney raccontano in anteprima l'album che uscirà il 13 maggio: il reset della band grazie alle cover, la collaborazione con Billy Gibbons degli ZZ Top, il blues e la voglia di leggerezza

Foto: Jim Herrington

Poco prima che i Black Keys finissero di registrare Dropout Boogie, il loro undicesimo album in studio, è successa una cosa inattesa. «Dan mi ha chiamato e mi ha detto che era molto buono», ricorda il batterista Patrick Carney dalla sua casa di Nashville. «Non credo l’avesse mai fatto prima. Non è uno che riascolta le sue cose». Dan Auerbach è d’accordo: «È Pat quello che ogni volta dice che l’ultimo disco è il migliore di sempre. Ho riascoltato Dropout Boogie dopo un po’ di tempo e mi ha sorpreso positivamente. M’è venuto fuori un bel sorriso».

È una cosa che sarebbe dovuta accadere tre anni fa. Nel 2019, dopo una pausa che ha permesso ai due di lavorare ai loro progetti paralleli, si sono ritrovati per Let’s Rock. Il disco li ha riportati alle radici del loro sound alt-boogie, ma col senno di poi non era che il primo passo del loro ritorno. «Ci eravamo allontanati e ci stavamo ritrovando», ricorda Carney. «È stato bello tornare in studio, ma dovevamo reimparare a lavorare assieme».

Per riaccendere la fiamma non c’era bisogno di sentire alcuna pressione. Dopo la fine del tour di Let’s Rock, poco prima della pandemia, i due si sono ritrovati nello studio di Nashville di Auerbach, l’Easy Eye Sound, con il chitarrista blues Kenny Brown e il bassista Eric Deaton. Hanno tirato fuori un album di cover blues, in netto contrasto con le session di Let’s Rock. «Abbiamo registrato in un giorno, zero sovraincisioni. È uno dei nostri dischi preferiti», dice Auerbach di Delta Kream. «E ci ha fatto venire voglia di rifarlo, di tornare in studio, registrare e vedere che succede».

Aggiunge Carney: «È stato un gran bel reset per la band. Ci ha ricordato che la cosa più importante è divertirsi».

Nell’ultimo anno entrambi hanno preso il Covid in forma leggera. Auerbach ha prodotto il disco di Yola, continuato a lavorare con vari artisti all’Easy Eye Sound e presto pubblicherà una raccolta di incisioni inedite di Son House. Carney si è messo a giocare a golf e ha due figli con la moglie Michelle Branch (la più piccola, Willie Paquet, è arrivata giusto un mese fa).

La scorsa estate, i Black Keys hanno iniziato a lavorare a quello che è diventato Dropout Boogie cercando di replicare l’energia spontanea e leggera delle session di Delta Kream. Hanno contattato alcuni collaboratori esterni, come il frontman di Reigning Sound Greg Cartwright, che ha co-firmato alcuni pezzi, la cantante bluegrass-Americana Sienna Farrell e un vecchio amico, Billy Gibbons degli ZZ Top. «Approcciamo ogni disco come se fossimo una band completa», dice Carney, «una band che in realtà è un duo, tipo gli Steely Dan». Quando gli diciamo che il loro nuovo manager, la leggenda del settore Irving Azoff, gestisce anche gli Steely Dan, Carney aggiunge: «Non l’avevo ancora realizzato».

Come suggerisce la lista dei collaboratori, Dropout Boogie (in uscita a maggio) contiene pezzi rumorosi (il primo singolo Wild Child), un blues lento (Happiness), ballate soul (How Long) e rock da arena (Baby I’m Coming Home). In For the Love of Money c’è quello che Auerbach definisce «un bordone country con l’accordatura aperta, un po’ come certi ritmi di Fred McDowell».

Invitato agli Easy Eye Sound poco prima della morte di Dusty Hill, Gibbons ha suonato una chitarra che un tempo apparteneva proprio alla leggenda del blues McDowell. «L’ho fatta vedere a Billy, ha iniziato a suonare e suonava esattamente come gli ZZ Top», racconta Carney. «Cazzo se è stato strano». Da una lunga jam improvvisata dei tre è nata Good Love, dove sia Gibbons che Auerbach fanno un assolo. Come dice Carney, «sono tre, quattro anni che cerchiamo di evocare lo spirito degli ZZ Top».

Nel video di Wild Child, Auerbach e Carney interpretano rispettivamente un bidello e il cuoco di una mensa in una scuola distopica dove gli studenti si calano pillole, scattano selfie e seguono lezioni di insegnanti strafatti. Dopo aver ricevuto gli insulti di un insegnante, il personaggio di Carney dice a quello di Auerbach: «Dobbiamo riconnetterci con le nostre radici operaie». «Per l’album», risponde Auerbach.

Diverse canzoni del disco, come il soul noir di It Ain’t Over, sono nate da loop e ritmi di batteria di Carney. «Non so perché, ma Pat è sempre stato molto autocritico», dice Auerbach. «Ora sembra più a suo agio con l’idea di stare dietro la batteria. Sarà l’età, o un sacco di terapia». Ride, poi torna serio: «Non siamo mai stati in un momento migliore, io e lui».

Aggiunge Carney: «Per questo disco abbiamo ragionato molto su quello che volevamo fare, ma non c’è stata alcuna lotta, nessun grande litigio». Rhys James Carney, il figlio di tre anni del batterista, sembra d’accordo. «È molto selettivo con la musica», spiega il padre. «Se non è dell’umore giusto per un pezzo, te lo fa capire chiaramente. Gli ho fatto sentire il disco e gli è piaciuto, ma non voglio correre il rischio di farglielo ascoltare una seconda volta. Non voglio che mi faccia una cattiva recensione. Per un po’ ha adorato Purple Haze, ma ora non la sopporta più».

Il disco ha ricordato ai Black Keys la connessione profonda che li lega da quando si sono incontrati da bambini, in Ohio. «Finito il liceo, tutti i nostri amici erano degli ubriaconi, dei perdenti, io e Pat invece abbiamo sempre voluto tutto questo», dice Auerbach. «Abbiamo ancora la stessa determinazione. Vogliamo creare qualcosa di buono. Non l’abbiamo mai persa, credo. È la cosa che ci piace di più in assoluto, questa passione nel fare dischi».

Sarà una coincidenza, ma Dropout Boogie arriva a quasi vent’anni esatti dal debutto della band, The Big Come Up. All’epoca i Black Keys venivano associati a White Stripes, Strokes e agli altri artisti che dovevano far rinascere il rock, anche se non è andata bene per tutti. «Sembra assurdo, vero?», dice Auerbach del tempo che è passato. «Guarda quante band vanno e vengono, è assurdo che siamo ancora qui. È sconvolgente. Avevamo bassissime probabilità di successo. Non so cosa sarebbe successo se fossimo stati una band di cinque elementi. Sarebbe stata una follia. Siamo fortunati a essere solo in due» (anche partire dall’Ohio li ha aiutati, aggiunge poi: «Ci ha dato una certa mistica. Non eravamo l’ennesima band di Brooklyn»).

A luglio, la band ripartirà per il primo tour post-pandemia. Oltre a suonare alcune delle nuove canzoni, porteranno sul palco Brown e Deaton per un mini-set dedicato a Delta Kream. I concerti saranno tutti negli anfiteatri, tra cui il Blossom Music Center di Cuyahoga Falls, in Ohio, dove un tempo Auerbach lavorava. «Parcheggiavo le auto», racconta. «Ero il ragazzino nel parcheggio, quello con le bandiere segnaletiche». Questa volta le cose saranno diverse. «Sarà una festa», dice ridendo. «Ci vediamo nel parcheggio».

Questo articolo è stato tradotto da Rolling Stone US.

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