I 25 anni di 'Sanacore', quando gli Almamegretta portarono Mario Merola nello spazio | Rolling Stone Italia
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I 25 anni di ‘Sanacore’, quando gli Almamegretta portarono Mario Merola nello spazio

Raiz e Gennaro Tesone raccontano il loro tentativo di immaginare la musica mediterranea del futuro e l'epoca del Rinascimento napoletano, «una promessa finita nella spazzatura». Liberato? «Marketing»

I 25 anni di ‘Sanacore’, quando gli Almamegretta portarono Mario Merola nello spazio

Almamegretta

Foto: Camillo Ripaldi

«Mario Merola sulle astronavi». Negli anni ’90, un discografico aveva usato questa immagine fantascientifica per descrivere il suono degli Almamegretta. Lo racconta divertito il cantante Raiz, al telefono da Roma, mentre Gennaro Tesone – batterista e membro fondatore del gruppo in collegamento da Napoli – prova a spiegare così sound e attitudine del loro gruppo: «Abbiamo sempre pensato di fare musica mediterranea del futuro».

Ed ecco gli Almamegretta che, nel futuro che si è fatto presente, raccontano la ristampa di Sanacore, CD e doppio vinile pubblicati in occasione del 25esimo anniversario dell’album: un disco che ha segnato la musica italiana degli anni ’90 e che, un quarto di secolo dopo, è ancora più affascinante di allora. «Quando fai le cose, le fai senza pensare a cosa ne sarà dopo», dice Gennaro. «Non immaginavo certo di ritrovarmi nel 2020 a parlare della ristampa di Sanacore con Rolling Stone: è la dimostrazione che se un lavoro è forte va al di là del tempo».

L’album venne registrato tra Procida e Napoli e mixato all’On-U Sound Studio di Londra da Adrian Sherwood, un maestro del dub britannico. Per gli Almamegretta «era un sogno fargli mettere le mani sulle nostre tracce. Sherwood è un faro per la produzione e l’attitudine di determinati generi». E, infatti, Sherwood è un producer e beatmaker che ha lavorato con Lee Scratch Perry, Primal Scream, Ministry, solo per citare alcune voci del suo CV. «E per noi che arrivavamo dalla provincia dell’impero musicale», ricorda Raiz, «stare a Londra con Sherwood era come stare a Los Angeles con Quincy Jones». Da Napoli sparati nello spazio via Londra, niente male.

All’inizio degli anni ’90, gli Almamegretta erano inevitabilmente finiti sotto l’etichetta posse, un fenomeno a cavallo tra il movimento politico e la scena musicale che gravitava intorno ai centri sociali occupati: «Come per i neomelodici», spiega Gennaro, «era una generalizzazione dei giornalisti, che mettono tutto nello stesso mucchio quando non hanno i mezzi per fare i distinguo. Facciamo parte di quell’ondata di musica che all’epoca faceva riferimento alla black music, all’hip hop, al reggae cantati in lingua locale. Ma una peculiarità degli Almamegretta è che siamo un gruppo intergenerazionale: è vero che Raiz arrivava dalla Pantera universitaria, ma io ho 10 anni in più di lui e provenivo da esperienze politiche diverse. Questo ha consentito una dialettica proficua tra noi, e forse è alla base dell’originalità degli Almamegretta».

Il dialetto, la politica, la musica nera. In Sardegna i Sa Razza cantavano in sardo, in Puglia i Sud Sound System cantavano in salentino, a Napoli 99 Posse e Almamegretta cantavano in napoletano e avanti così. La militanza, l’impegno sociale e un mix di rap, raggamuffin e reggae erano il terreno comune da cui gli Almamegretta hanno spiccato il volo portandosi in orbita le melodie di Mario Merola, tra l’esordio di Animamigrante e il secondo album del 1995, Sanacore.

Partiamo dalla scelta di cantare in dialetto napoletano, che Gennaro definisce «opportunismo poetico» e Raiz spiega così: «Il napoletano mi permetteva di fare cose che né l’italiano né l’inglese mi consentivano di fare, quello che piaceva a noi suonava meglio in dialetto. Ma la scelta diventa politica quando metti insieme la classica canzone napoletana e il reggae. Nun te scurdà non può esistere in un’altra lingua: in quella canzone ho messo insieme cose distanti, che poi tanto distanti non sono».

E poi ci sono i testi delle canzoni, lontanissimi dalla retorica di tante band militanti di allora, ma pregni di temi politici e sociali, tuttora attuali. «Nun te scurdà» racconta Raiz «è un pezzo che parla della vita difficile di una donna che si ritrova a fare la prostituta. Lei chiede a chi l’accusa: “Sì, è vero, mi critichi perché io vendo il mio corpo, ma tu non fai la stessa cosa tutti i giorni?”».

Poi c’è ‘O sciore cchiù felice, che racconta storie di emigrazione, integrazione, emancipazione attraverso una metafora: «Parla di fiori recisi dalle proprie radici e messi su una bancarella per essere venduti. Ma è proprio sulla bancarella che il fiore giallo, il fiore nero, il fiore rosso si accorgono che non avrebbero potuto fare amicizia se fossero rimasti nelle loro colture e culture di provenienza. L’emigrazione è una cosa dura, ma può essere anche un’opportunità. Sono temi che abbiamo indagato per 25 anni e quella che ci sembrava una tendenza è diventata realtà».

Raiz fa un esempio concreto citando un rapper: «J-Lord di Castelvolturno, che canta in napoletano ma è un nero nigeriano: noi questa cosa l’avevamo solo immaginata 25 anni fa, ma ora è accaduta». Purtroppo, però, alcune cose non sono cambiate. «Mi piacerebbe molto che un pezzo come Scioscie viento, che parla dell’assassinio di Jerry Masslo a Villa Literno, fosse una questione archiviata», dice Gennaro, «e invece abbiamo assistito a tante altre storie simili».

Restando sulla cronaca degli anni ’90, sullo sfondo di Sanacore c’era anche la guerra nell’ex Jugoslavia cantata in Ammore nemico: la storia di un amore omosessuale tra soldati cresciuti insieme e diventati nemici, uno contro l’altro nei rispettivi eserciti in guerra aperta.

Sanacore è un album più lento e dilatato rispetto al precedente Animamigrante e uno dei concetti cardine del disco, e forse di tutta la storia degli Almamegretta, è la riappropriazione del Tempo, titolo di uno dei pezzi in scaletta. «Sanacore è sicuramente più reggae, un genere che difficilmente supera i 70, 90 bpm, raro che arrivi a 100», spiega Gennaro. «Ci è venuto spontaneamente, ma alle considerazioni sul tempo tenevamo molto e tutte le decisioni, in effetti, sono state frutto di discussioni interminabili».

Nella società occidentale del 1995 il tempo sembrava correre impazzito, ritmi produttivi, tv e consumismo facevano a pezzi le nostre clessidre, ma oggi è ancora peggio. «Ciò che distingue l’uomo libero dallo schiavo è la gestione del tempo», dice Raiz. «L’uomo libero fa quello che vuole del proprio tempo, lo schiavo no».

E dai massimi sistemi si passa alla musica suonata e al music business: «Quando siamo nati come musicisti c’era libertà: avevamo tempo per capire se al nostro pubblico piaceva la nostra musica. Se il disco aveva venduto significava che il nostro pubblico aveva gradito, altrimenti no. Invece ora i ragazzi mettono fuori i pezzi con frenesia e hanno un riscontro immediato, che ti leva il fiato. È come se tu stessi parlando con uno che ti interrompe in continuazione: va a finire che non parli più, non fai più un discorso con un inizio e una fine, sei lì a guardare il tuo interlocutore cercando approvazione. Anche questo è un discorso legato al tempo e alla libertà».

In studio. Foto: Angela Maione

Il sound di Sanacore deve tanto a due persone. Uno è il già citato Adrian Sherwood e l’altro è un uomo chiave nella storia degli Almamegretta, D.Rad, membro del gruppo morto in un incidente stradale nel 2004. Sulla ristampa dell’album per il 25esimo anniversario ci sono due pezzi inediti, Heartical Dub e Tamms Dub: il primo è un brano mixato da Sherwood e il secondo è stato prodotto da D. Rad.

«Noi volevamo lavorare con Sherwood già dal primo disco», ricorda Gennaro, «ma la cosa si concretizzò con Sanacore. Faceva parte del progetto: così come abbiamo chiamato Giulietta Sacco per cantare la canzone Sanacore o Marcello Colasurdo per la tammurriata, così il mixaggio doveva essere fatto da Sherwood. La forza di Sanacore sono gli elementi spuri, diversi tra loro, che sono riusciti a coesistere e darsi forza l’uno con l’altro».

Musica elettronica e tradizione locale, reggae e dub che accarezzati dal napoletano e dalle melodie mediterranee, subsahariane, diventano qualcosa di unico. «È D.Rad che ha modellato e cesellato il suono degli Almamegretta», spiega Raiz. «Lui arrivava dalla scena techno-hardcore romana e noi cercavamo quel tipo di incontro perché non siamo un gruppo reggae tipico: a parte la mia calvizie, non abbiamo mai avuto l’idea dei dread e dei rasta giamaicani. Il reggae è una grammatica musicale che ti permette di accogliere tanti elementi diversi: ci interessava la scena dance anni ’90 e D.Rad era un dj forte di quella scena. È lui che ci ha dato quella ruvidezza un po’ punk, un po’ techno, un po’ reggae e… un po’ napoletana».

Ma quanto è cambiata Napoli da Sanacore a oggi? C’è un pezzo del disco, Maje, che parla proprio della città natale degli Almamegretta e ci permette di fare un confronto tra il 1995 e oggi. «Quando abbiamo scritto Maje c’era quello che i giornalisti chiamavano il Rinascimento napoletano», ricorda Gennaro. «C’erano diverse espressioni artistiche urgenti che premevano per uscire fuori dalla città e comunicare al mondo: registi come Pappi Corsicato e Antonio Capuano, oppure Mimmo Palladino che aveva fatto la montagna di sale in piazza Plebiscito, tutto sotto il cappello dell’amministrazione Bassolino. Noi ci chiedevamo se una città come Napoli potesse essere efficiente come Milano riuscendo a conservare cuore e passione, diventando una moderna città del Mediterraneo come Barcellona. Per il momento, la risposta è negativa: il Rinascimento napoletano era una promessa finita nella spazzatura che ha divorato la città, da allora Napoli non si è più ripresa».

«Possibile che non c’è una via di mezzo tra perdere il cuore e diventare ricco?», chiede Raiz. «Di solito si dice che se diventi ricco perdi il cuore e per avere il cuore devi essere poverissimo. Purtroppo, in questi ultimi anni, Napoli ha dimostrato che si può restare poveri e diventare cinici. Ed è una cosa molto dolorosa. Napoli sta perdendo la propria cultura di origine, le nuove generazioni parlano male anche il napoletano: e non è che non parli più il napoletano perché sei andato a scuola e hai imparato l’italiano, ma stai perdendo il napoletano perché la trasmissione della cultura avviene attraverso il telefonino: parli male il napoletano e parli male l’italiano, collocandoti in un non-luogo culturale. È molto triste».

Eppure, proprio in questi ultimi anni si è tornati a parlare di una rinascita del Neapolitan sound, una nuova scena musicale trascinata da Nu Guinea e Liberato. «Non mi sembrano grandi novità», è l’opinione di Gennaro. «I Nu Guinea si rifanno molto al jazz rock dei Napoli Centrale, una storia degli anni ’70 che aveva una forza non indifferente perché loro venivano da situazioni toste da affrontare, e questo era il loro carburante».

E Liberato? «Ha fatto una serie di pezzi con una manovra di marketing molto orchestrata, senza metterci la faccia, ma non ho capito dove vuole andare a parare», dice Raiz. E Gennaro è d’accordo con lui: «Molti si stracciavano le vesti, dicevano “ecco il nuovo sound di Napoli”, ma non siamo a questo punto. È stata un’operazione di marketing indovinata, ma dobbiamo vedere dove va a finire. Noi siamo qui a parlare di un disco fatto 25 anni fa».

Durante il toto-Liberato, ossia il tentativo di svelare l’identità dell’artista misterioso, a un certo punto è stato fatto anche il nome degli Almamegretta. Non ci interessa svelare il segreto, ma è sicuramente più interessante indagare il parallelo tra quel che fa Liberato nel XXI secolo e gli anni ’90 vissuti in prima linea dagli Almamegretta. Da un punto di vista musicale – cioè coniugare dialetto, folklore, forme e stili contemporanei – e da un punto di vista mediatico. Chiunque potrebbe essere Liberato, come tutti potevano essere Luther Blissett, nome collettivo usato da vari esponenti della controcultura degli anni ’90. E Liberato non ha volto, come Banksy, a cui è stata spesso associata l’identità di un artista caro agli Almamegretta, Robert Del Naja dei Massive Attack, band con cui Raiz e Gennaro hanno collaborato (è proprio del 1995 il loro remix di Karmacoma, The Napoli Trip).

«Sicuramente il progetto di Liberato affonda le radici nel situazionismo, c’è quel tipo di immaginario, ma è roba vecchia», dice Raiz. «Luther Blissett era un nome collettivo con cui scriveva tanta gente, così si stemperava l’aura dell’artista contribuendo a un’idea di arte democratica. E Banksy è un artista che, oltre a far parlare tanto, fa anche tante cose concrete, investendo i soldi fatti con le sue opere nel sociale. Lui è di Bristol ed è sicuramente amico dei Massive Attack, che nascono come collettivo hip hop, rap e graffiti… Ma stiamo parlando di persone e progetti pesanti».

A Procida. Foto: Angela Maione

E ora torniamo alla ristampa di Sanacore – «la celebrazione di un momento, una cristallizzazione di quello che eravamo negli anni ’90» – e un anniversario che sarà celebrato in tour, con date fissate per la primavera del 2021, Covid permettendo, con un anno di ritardo. Come saranno i prossimi live? «Domanda interessante», rispondono ridendo, considerata la precarietà di questi giorni. «Siamo i più penalizzati di tutti», dice Raiz. «Ora l’assembramento al concerto sembra una cosa pericolosissima. Io vivo a Roma e se scendo in strada vedo l’autobus 90 con su 200 persone sconosciute, tutte con le mascherine, certo… Ma che differenza c’è tra un nostro concerto e un autobus?». Risposta di Gennaro: «Facciamo un concerto sull’autobus!».

Insieme a Raiz, Gennaro e al tastierista Pablo ci sarà sul palco il bassista Paolo Baldini, dub-master nostrano stimato in tutto il mondo, già al lavoro sul prossimo album degli Almamegretta, atteso per il 2021. «Baldini dice sempre che siamo la ragione per cui ha iniziato a fare dub. Avere un collaboratore più giovane che è cresciuto con la tua musica ti dà la possibilità di avere un orecchio interno con l’obiettività dell’orecchio esterno».

Ma l’orecchio più importante è quello dei fan. Come suonerà dal vivo Sanacore 25 anni dopo? «La gente che ha comprato il disco ha ascoltato ogni pezzo centinaia di volte e vuole che lo canti come sull’album», spiega Raiz. «Io invece quel pezzo l’ho registrato una volta ed è finita lì. Il disco ha una vita propria: è una cosa tua, che devi studiare. Spesso quando siamo in studio diciamo “loro avrebbero fatto così”, riferendoci agli Alma di 25 anni fa. Sarà divertente cercare di essere fedeli a noi stessi».

Mario Merola sulle astronavi. Musica mediterranea del futuro. Parlando di altri dischi usciti nel 1995, spunta un altro album pubblicato nello stesso anno, Sempre più vicini dei Casino Royale, che come Sanacore aveva un sound spaziale, proiettato in avanti, tra Italia, Bristol trip hop e pianeti lontani. Che aria si respirava quell’anno? «C’era la voglia di restare italiani, ma confrontarsi assolutamente con il mondo. Ed era questa la vera forza di alcuni gruppi di quel periodo, come noi e i Casino Royale».

Ovviamente la storia degli Almamegretta è andata avanti, ben oltre Sanacore (disco d’oro nel 1995, significa che aveva venduto almeno 50 mila copie fisiche). Ci fa piacere chiudere con un aneddoto raccontato da Raiz che risale ai tempi di Lingo, album uscito qualche anno dopo: «La nostra bandiera è stata sempre quella dei confini labili, molto positivamente ambigui. A Londra non capivano cosa dicevamo. Non gli sembravamo una Italian band e si chiedevano “Cos’è questa roba?”. Un tipo che ci ha ascoltati non aveva alcun dubbio: “Questi sono marocchini”».

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