Hell Raton racconta il podcast Machete Skins: «Noi, punk sempre di corsa» | Rolling Stone Italia
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Hell Raton racconta il podcast Machete Skins: «Noi, punk sempre di corsa»

I 10 anni della crew narrati in pillole, per capire che «la squadra conta più dei singoli elementi». Il nuovo obiettivo è il gaming: «È come l'hip hop, se hai talento puoi sfondare partendo dalla cameretta»

Hell Raton racconta il podcast Machete Skins: «Noi, punk sempre di corsa»

Hell Raton

Foto press

Nel 2020, Machete Crew ha festeggiato i primi dieci anni di attività. Un traguardo che nel 2010 sembrava quasi impensabile: un collettivo che faceva e ascoltava generi musicali lontanissimi dalle mode del momento, con un’estetica che oltretutto lo poneva in netta contrapposizione con tutto ciò che già esisteva, e una provenienza geografica (Olbia, in Sardegna) lontana anni luce dai centri nevralgici della discografia italiana. Eppure, oggi ha una potenza di fuoco che tanti altri si sognano. Salmo, Slait e Hell Raton – i tre co-fondatori ancora parte della crew – singolarmente sono diventati delle eccellenze, e tutti insieme hanno messo su un piccolo impero dalle attività diversificate e poliedriche, alcune saldamente ancorate alla musica e altre in espansione verso altri territori, come quello del gaming. Hell Raton, poi, è diventato anche una personalità televisiva grazie al suo ruolo di giudice nella passata edizione di X Factor, dove ha portato la sua protetta Casadilego alla vittoria.

«È uno dei periodi della mia vita più incasinati di sempre», racconta al telefono, ridendo. «La maratona di X Factor è stata come un diesel: mi ha fatto carburare, solo ora comincio a ingranare davvero».

Tra le mille altre novità di questo 2021 c’è anche un podcast che celebra la storia di Machete ripercorrendola dagli inizi e svelando aneddoti curiosi e poco noti in pillole: si intitola Machete Skins, è narrato dal giovane podcaster Giorgio Monoriti, in arte Monoryth, e parecchi episodi sono già disponibili sulle principali piattaforme di streaming. La sua genesi, racconta Manuelito, è una storia un po’ lunga.

Com’è nata l’idea di questo podcast?
Quando è uscito il Machete Mixtape 4, la copertina del disco era diventata praticamente un meme e tutti la rifacevano a modo proprio. Un giorno mi è capitato di vederne una molto carina sui social in cui, anziché la cartella di un sistema operativo Mac, ce n’era una di Windows. A un certo punto mi sono accorto che visualizzavo quel post perché conteneva un hashtag molto specifico, quello di un fotografo che seguo molto ma che non è particolarmente noto a chi segue Machete, Andreas Gursky. Controllo meglio, e mi rendo conto che tra gli hashtag c’è anche il nome di un altro artista che conosce praticamente solo Salmo. Insomma, chi aveva creato quella copertina, per farcela notare, aveva avuto l’accortezza di fare delle ricerche su di noi, di scoprire i nostri artisti preferiti e di utilizzarli come strumento per arrivare a noi. Un modo molto intelligente per arrivare fino a noi.

Chi era quella persona?
L’ho capito qualche giorno dopo, quando un altro creativo che seguo su Instagram mi ha ripostato la stessa copertina, invitandomi ad ascoltare il podcast a cui era associata: quella persona era Monoryth, che aveva raccontato in un documentario audio creato da lui tutta la genesi della Machete Crew. Quando l’ho sentito mi è venuta la pelle d’oca, è stata una cosa davvero commovente: era riuscito a capire e interiorizzare tutta la magia che c’è dietro a una realtà come Machete, partita da un gruppo di amici e arrivata ai risultati che oggi tutti conoscono.

A quel punto lo hai contattato, immagino…
Certo, e ho scoperto una persona stupenda e un fan molto rispettoso. Uno a cui non interessa idolatrare la star di turno, ma scoprire il dietro le quinte, il contesto in cui si sono sviluppati determinati fenomeni. Non si era limitato a studiare tutta la storia di Machete, ma si era ricostruito perfino i dieci anni precedenti alla nascita della crew, facendo un’approfondita analisi socio-politica del contesto territoriale sardo. Un lavoro davvero notevole. Oltretutto Monoryth ha un talento di narratore pazzesco: ha studiato lettere a Bologna e raccontare è bravissimo, ha grande oggettività e capacità di analisi. È diventato una sorta di custode nei nostri segreti, per me: gli ho raccontato tutti i nostri retroscena, e così sono nati questi podcast. Non escludo possano diventare anche altro, in futuro. Magari un documentario. Sicuramente, un nuovo format su Twitch.

Monoryth. Foto: Silvio Tovaglia

Puoi già raccontarci qualcosa in più?
La prima puntata andrà in diretta sul canale Twitch di Machete mercoledì 7 aprile alle 22.00. Il nostro canale è nato per parlare di gaming, ma già da un po’ abbiamo sviluppato i primi format musicali, come Cantera Machete, che è un programma di scouting per scoprire le nuove leve di domani: a condurre ci sono il nostro Charlie KDM, che non è un personaggio in prima linea a livello di visibilità, ma è uno dei più grandi consiglieri per me e Slait quando si tratta di fare delle scelte artistiche, e Jack the Smoker, che non ha certo bisogno di presentazioni. È un ottimo laboratorio per scoprire le nuove tendenze e intercettare tutti quei newcomer che spesso ci scrivono chiedendoci come possono sottoporci il loro materiale. Ora ci sarà anche questo nuovo esperimento, Machete Skins, ispirato al podcast.

Tornando al podcast, come avete fatto la scelta degli aneddoti da raccontare?
È stato veramente difficile, infatti anche per quello ho preferito lasciare tutto in mano a Monoryth: se avessi dovuto sceglierli io non avrei neanche saputo da dove partire e cosa lasciare fuori (ride). Per fortuna è stato bravissimo, è riuscito a ripescare degli eventi che perfino noi ci eravamo quasi dimenticati ormai e ne tirerà fuori tanti altri, perché l’idea è di portare avanti questo progetto molto a lungo. Quando abbiamo riascoltato le puntate, io e gli altri ci siamo davvero emozionati. È riuscito a mettere ordine nella nostra vita di punk perennemente in corsa.

Se tu dovessi dare un consiglio a una crew che nasce oggi e che ambisce ad arrivare al traguardo dei dieci anni con la stessa vitalità e rilevanza di Machete, quale sarebbe?
In alcune delle nuove realtà sorte in questi anni rivedo un po’ Machete, e mi fa molto piacere. L’unico vero consiglio che posso dare, però, è di rimanere uniti. Alla fine il segreto è quello, la squadra conta più dei singoli elementi. Un capocannoniere, se non può contare sull’appoggio di un buon centrocampista e di un ottimo difensore, non è nulla. È importante avere dei punti di riferimento, delle persone di fiducia con cui confrontarsi e crescere, anche sbagliando. Dieci anni sono lunghi, sono fatti di alti e bassi, e la vera forza di un collettivo è quella di non arrendersi e di procedere a piccoli passi ponderati.

E i prossimi dieci anni di Machete come li vedi? Dall’esterno, a giudicare dall’estensione e dalla diversificazione delle vostre imprese, verrebbe da pensare che la prossima mossa potrebbe essere lanciare un razzo su Marte come Elon Musk…
Guarda, non ci sei andata molto lontana: Machete su Marte sarebbe bellissimo, una bella bandierina da piantare (ride). Anche se per scaramanzia mi verrebbe da dire: vediamo se ci saremo ancora tra dieci anni, visto che il 2020 ha dimostrato che la vita è davvero imprevedibile… Scherzi a parte, non sono mai contento, che è una risorsa ma anche una condanna. Ho imparato a delegare solo negli ultimi anni, e appena raggiunto un traguardo penso subito a quello successivo, ancora più ambizioso. Io, Salmo e Slait siamo tre figure imprenditoriali, ciascuna concentrata sui propri business, che poi uniscono le forze quando ce n’è bisogno. Una delle cose su cui stiamo puntando di più è il comparto e-Sports, in cui credo molto. Da poco ho letto un articolo bellissimo secondo cui il gaming è il nuovo hip hop, perché come l’hip hop è un settore in cui, se hai talento, puoi sfondare partendo dalla tua cameretta. Gli e-Sports da questo punto di vista aprono ancora più orizzonti e paragoni, perché si tratta di un settore molto competitivo, che dà modo di esplorare tutte le arti visive e cinematografiche. Questo, ovviamente, non implica che smetteremo di dare priorità alla musica: continueremo a metterci tutto l’impegno possibile e a tentare sempre nuove strade.

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