Halsey è punk | Rolling Stone Italia
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Halsey è punk

Oggi è in classifica con i suoi pezzi pop, ma solo pochi anni fa era una homeless allo sbando. Lei stessa si definisce «birazziale, bisessuale, bipolare». Halsey vuota il sacco.

Halsey - Foto Peggy Sirota

Halsey - Foto Peggy Sirota

Halsey, 21 anni - Foto Peggy Sirota

È ora di pranzo. Halsey si sta ubriacando di Veuve Cliquot rosè e mi sta raccontando cose che forse dovrebbe tenere per sé. Per esempio che l’ultima volta che è stata qui a Central Park era con il suo ex fidanzato, che voleva stare sdraiato al sole per qualche ora perché si stava riprendendo da una dose di eroina. O che il piano originale previsto dalla sua casa discografica per questa intervista prevedeva che io e lei andassimo a fare una romantica gita in barca: «Ho risposto: “Col cazzo!”», mi dice con l’aria arrabbiata, «“Odio le fottute barche e non lo farò mai”. Questa intervista è come un appuntamento al buio, l’unica differenza è che non passerò il tempo a chiedermi se sarò costretta a fare sesso con te». Oppure che in passato è stata fermata dalla polizia mentre beveva in un parco: è scappata dimenticando il suo zaino di scuola pieno di quaderni con su scritto il suo nome, ma finora non è mai stata arrestata. «A quanto pare sono brava a tirarmi fuori dalle situazioni», dice sdraiandosi su una coperta da pic-nic e facendo un lungo sorso dalla sua tazza di plastica.
È anche molto brava a farsi avanti quando serve, e forse non è una coincidenza.

Due anni fa Halsey non era Halsey, era Ashley Nicolette Frangipane, una ragazza di 19 anni che aveva mollato il college e dormiva dove capitava nelle topaie di un gruppo di amici balordi e tatuati (che lei definisce «una banda di fattoni degenerati») conosciuti tramite il suo fidanzato, avanti e indietro tra il New Jersey dove è nata, il Lower East Side di New York e Bedford Stuyvesant a Brooklyn. Per un po’ aveva frequentato la prestigiosa Rhode Island School of Design, fino a quando ha scoperto che non se la poteva permettere. A quel punto diventa tecnicamente una homeless: si rifiuta di andare in un altro college più economico perché lo considera una perdita di tempo e i suoi genitori la buttano fuori di casa («Non erano d’accordo con un sacco di cose che riguardano me e le mie scelte»), il suo telefonino viene staccato e non ha nemmeno l’assicurazione medica. Passa il tempo dividendo con gli amici tranci di pizza da un dollaro e sballandosi. «Un giorno mi sono ritrovata con 9 dollari sul conto in banca», mi racconta, «ho comprato quattro lattine di Red Bull e ho cercato di rimanere sveglia per tre giorni. Era meno pericoloso che mettersi a dormire da qualche parte e rischiare di venire violentata o rapita». Quando il sogno bohémien comincia ad assomigliare a un incubo, Halsey va a vivere a casa della nonna, che a 4 anni le ha insegnato a suonare Memory al pianoforte: «Essendo una vecchia signora italiana del New Jersey aveva, come tutte, lo spartito di Cats a casa».

Non sono un fenomeno da social media. Sono solo risultata più interessante di altre alla gente

Un giorno viene invitata a una festa all’Holiday Inn di Newark. «Ho pensato: forse riesco a dormire in un letto». Invece conosce un tizio che lavora nella musica, gli fa vedere un video che tiene sul telefono in cui canta un pezzo scritto da lei, e questo le presenta un altro tizio che la invita in studio per registrare qualcosa. Halsey suona otto strumenti, ma mi racconta che ha cominciato a scrivere musica solo per attirare l’attenzione sulle sue poesie. Durante quel primo incontro scrive un pezzo dedicato al suo ex fidanzato tossico, Ghost, e qualche settimana dopo lo carica su SoundCloud. Sono le dieci di sera. Quando si riconnette un’ora dopo, scopre che il suo account Twitter è impazzito. Alle tre di notte l’hanno contattata già cinque case discografiche, e il mattino dopo il pezzo è già in classifica. «Ma non sono un fenomeno da social media», precisa Halsey, «non sono mai stata una Viner o una YouTuber, sono solo una persona che la gente ha trovato minimamente più interessante di altre».
Tutto quello che le è successo negli ultimi due anni, ovvero il contratto firmato sul tetto dell’Empire State Building, l’Ep Room 93 e l’album Badlands, che ha debuttato al n.2 in classifica in Usa, la collaborazione con MAC Cosmetics, il duetto con Justin Bieber e la prospettiva di suonare al Madison Square Garden, sembrano allora essere il frutto di un colpo del destino, che ha fatto diventare il mondo a colori e ha trasformato Ashley in Halsey, la ragazza che aveva sempre voluto essere. «È come se i primi 19 anni della mia vita non abbiano alcun significato. Non esistono, sono stati una specie di incubazione. Sono una ragazzina sballata che ce l’ha fatta. Un giorno vado a comprare i vestiti da TJ Maxx e il giorno dopo sto andando a L.A. a girare un videoclip. Meno male che sono una stronza pazza, altrimenti non so se riuscirei a gestire tutto questo, capisci?».

Halsey - New Americana

C’è molto da dire a proposito della pazzia, e Halsey non si fa problemi a raccontare tutto. Ha già twittato del suo tentativo di suicidio a 17 anni «con pillole comprate sottobanco». Si è pentita subito, lo ha detto ai suoi genitori ed è finita per 17 giorni in un ospedale psichiatrico, dove le hanno diagnosticato un disturbo bipolare e le hanno dato il litio. «Il litio mi ha rovinato la vita, non prendo più medicine da anni». Il concept album che ha scritto, Badlands, parla della sensazione di sentirsi intrappolate e isolate da tutto in una distopica città immaginaria. Dice chiaramente che scrivere per lei è una forma di terapia: «Non sono una fottuta martire che cerca di far stare meglio i ragazzini persi e disadattati. Sono io che ho bisogno di loro per sentirmi normale».
Halsey è cresciuta in una famiglia che si spostava continuamente da una città all’altra del New Jersey. Lei e i suoi due fratelli minori sono stati sballottati da un appartamento troppo piccolo all’altro. Quando sua madre ha scoperto di essere incinta, lei e il futuro papà hanno mollato gli studi. A volte facevano due lavori a testa per mantenere la famiglia: impiegata in ospedale, guardia giurata, venditore di automobili. «Sono cresciuta in una situazione caotica», dice, «c’era sempre qualche casino». Quando le hanno diagnosticato il disturbo bipolare, ha scoperto che anche sua madre ne soffriva. «A quel punto ho capito che essere Ashley Frangipane non mi piaceva. La consideravo una persona debole, triste e stupida». Per questo ha inventato il nome Halsey, anagramma di Ashley, sul vagone di una metropolitana di New York mentre andava alla fermata di Halsey Street a Brooklyn. Oggi è uno dei giorni in cui è su di giri. La Halsey fuori di testa è la Halsey divertente, quella che vuole: «Uscire, bere, parlare tutta la notte, aiutarti a risolvere i tuoi problemi e cambiare il mondo! Voglio farlo! Andiamo». Dalle maniche arrotolate della maglietta spuntano i suoi 17 tatuaggi, 8 dei quali uguali a quelli dei suoi amici: «Il risultato della mia incapacità di fare qualsiasi cosa da sola». Ha anche la disarmante capacità di essere incredibilmente bella e un minuto dopo sembrare buffa e impacciata.

Per quanto riguarda l’essere una stronza, Halsey non pensa di esserlo, anche se si rende conto che può sembrarlo quando ha una delle sue settimane di follia, quelle in cui fa innamorare tutti quelli che le stanno intorno e poi li allontana appena le cose cominciano ad andare male. È esigente. Scrive la sua musica. Decide da sola il trucco. Disegna i suoi costumi, il merchandise e le copertine dei suoi album. Nessuno può prenotare un volo per lei, finché lei non ha dato la sua approvazione. Non ha intenzione di farsi controllare. Né di farsi incasellare: è una ragazza che fa musica pop, ma si comporta da punk, dice qualsiasi cosa le passi per la testa e tiene la situazione sotto controllo rimanendo semplicemente incontrollabile.
Ovviamente ci sono anche persone a cui non piace: «Quando morirò, spero che nessuno venga sulla mia tomba a scrivere con lo spray tutte le cattiverie che mi scrivono su Twitter», mi dice, mentre passiamo davanti al memoriale di John Lennon a Central Park. La odiano, perché ha detto di essere bisessuale, ma nelle canzoni parla di relazioni con gli uomini («Ho avuto anche alcune relazioni con donne: si può essere bisex anche senza aver fatto sesso con qualcuno»), perché è di razza mista (la madre è bianca, il padre è nero), ma ha l’aspetto di una bianca («Il colore della pelle è una cosa davvero bizzarra») e perché ha usato la sua malattia mentale come mossa di marketing. «La battaglia più grande che ho dovuto affrontare nella mia carriera non è il fatto di essere bisessuale, birazziale o bipolare, ma il fatto che la gente pensi che io ho sfruttato queste cose».
Halsey sembra aver risolto tutto, almeno fino al momento in cui la nostra intervista esce improvvisamente dai binari. Siamo sdraiate al sole e ci stiamo piacevolmente ubriacando, e Halsey mi confessa che ha letto un articolo che ho scritto su Rolling Stone lo scorso aprile a proposito della pianificazione delle nascite, in cui ho raccontato anche del mio aborto. «Mi sono sentita soffocare mentre lo leggevo, come se qualcuno mi avesse messo una busta di plastica in testa», dice. «Ero terrorizzata all’idea di incontrarti perché sapevo che avrei sentito il bisogno di raccontarti una cosa: l’anno scorso durante il tour sono rimasta incinta».

Inizia a parlare a raffica e mi racconta di essersi ritrovata in una stanza d’albergo a Chicago, prima dell’uscita di Badlands, quando la sua carriera non era ancora iniziata e poteva finire velocemente, a chiedersi: “Cosa succederà? Perderò il contratto discografico? Perderò tutto? Devo tenere il bambino o no? Cosa penseranno i fan? Cosa penseranno le mamme? Cosa penserà la gente del Midwest? Che cazzo penseranno tutti quanti?”. Prima di riuscire a prendere una decisione, Halsey si è ritrovata nuda sul letto, sanguinante e in preda al dolore, poche ora prima di salire sul palco. «Ho detto: “Devo cancellare lo show!”. Ma nessuno intorno a me sembrava sapere che fare: “Beh, è Lift, lo show per artisti emergenti di Vevo, quindi…”». Alla fine ha mandato un assistente in farmacia a comprare una scatola di pannoloni per adulti, ne ha indossato uno, ha buttato giù due pastiglie di Percocet ed è andata a fare il suo lavoro. «È stata la performance più arrabbiata della mia vita», dice con la voce rotta dal pianto, «mi sono detta: “Non sono più un essere umano, cazzo”. Questa cosa, la musica, Halsey, qualunque cosa sia quello che sto facendo, ha avuto il sopravvento su tutto, è diventata la priorità su ogni decisione che ho preso da quando ho scoperto di essere incinta a quando è andato tutto male. Appena scesa dal palco, sono corsa fuori nel parcheggio a vomitare». Non sa esattamente il motivo per cui ha abortito, ma sa che è colpa sua: «È stato il mio stile di vita. Non bevevo e non mi drogavo, ma ero distrutta per il troppo lavoro. Finivo in ospedale ogni due settimane, perché ero sempre disidratata. Ero anemica, svenivo, e alla fine il mio fottuto corpo è andato in pezzi». La cosa che le dà più fastidio è che, nonostante fosse una follia fare quel concerto, nessuno l’ha costretta a farlo: «Avevo la possibilità di scegliere», dice, anche se si è comportata come se non l’avesse. Guarda verso il parco giochi dei bambini e dice: «Voglio essere una madre molto più di quanto voglia essere una popstar. Più di qualsiasi altra cosa al mondo. Ho veramente paura di restare da sola». Rimaniamo sedute sulla coperta da picnic nel parco, buttando giù i nostri drink: «Non sto cercando di sconvolgerti», mi dice con tono dolce, «mi dispiace tanto».

Oggi Halsey ha lasciato il New Jersey e vive dall’altra parte degli Usa. Ha una grande casa a Los Angeles con una piscina e una vista spettacolare, e ci vive con le sue due amiche più care. Sta pagando gli studi al college a suo fratello e tra pochi giorni comincerà il primo tour da headliner. «Sono successe un sacco di cose nella mia vita, e molte continuano a succedere. Non ho avuto il tempo di capirle e risolverle». Forse non ha avuto nemmeno la voglia di farlo: «Devi decidere cosa è più importante. Vuoi provare le cose buone e godertele, ma anche provare quelle brutte e rischiare di mandare affanculo la tua carriera perché non sai gestirle? O vuoi evitare le cose brutte e portare avanti la tua carriera, ma senza provare le cose belle? Se permettessi a me stessa di interiorizzare e comprendere tutto quello che mi è successo negli ultimi due anni, credo che esploderei». Perlomeno il personaggio di Halsey è una cosa vera, anche se non permanente: «Non sono stupida, so che la gente potrebbe facilmente dimenticarsi di me». Il suo aereo decollerà tra due ore per riportarla nella nuova casa, dove, mi dice: «Mi alzo la mattina, vado in cucina e vedo una delle mie amiche in piscina, una ascolta la musica sotto la la doccia, oppure prepara la colazione e penso…», fa un lungo respiro, «…ce l’ho fatta. Le ho portate con me, va tutto bene. Non sono sola. Capisci cosa voglio dire?». Fa un tiro di sigaretta: «Spero che questa intervista non sia stata orribile». Mi abbraccia e si mette gli occhiali da sole. Un attimo dopo, la fanno salire velocemente su un SUV nero, che si immette sulla strada e sparisce. A quanto pare, non c’è altro da dire. Per ora.

L’intervista è stata pubblicata su Rolling Stone di settembre.
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