Guè Pequeno, tra marijuana legale e legalizzazione | Rolling Stone Italia
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Guè Pequeno, tra marijuana legale e legalizzazione

In questi giorni il CBD è sotto accusa e la cannabis light a rischio illegalità, abbiamo intervistato il rapper, novello imprenditore: «Per me è solo un business, ma sono da sempre a favore della legalizzazione: sono convinto che ognuno dovrebbe poter fare il cazzo che vuole».

Guè Pequeno, tra marijuana legale e legalizzazione

Foto di Alessandro Treves

L’intervista esclusiva con Gué Pequeno è un estratto dal numero di Rolling Stone in edicola a giugno.

«Non prendetemi per un espertone, non ho tutta questa autorevolezza in materia. Per me è un business: è venuta fuori l’opportunità del CBD, e l’ho colta». L’uomo nato come Cosimo Fini mette le cose in chiaro sin dall’inizio: se cercavamo un botanico oppure un irriducibile attivista antiproibizionista, abbiamo sbagliato indirizzo. Siamo a Milano, il Naviglio Grande è a due passi. Qui c’è Thaurus, lo studio di registrazione di Shablo. Il produttore lascia il controllo di Pro Tools per andare a prendersi un caffè, l’uomo divenuto Gué Pequeno riprende la parola.

«Però sono cresciuto nella “cultura della canna”. Non sono mai stato un portabandiera della ganja, ma lei ha sempre fatto parte del mio mondo e io del suo: è un caposaldo dell’hip hop». Per questo ha dato vita a Z€N, il suo brand di cannabis legale. É disponibile in tre versioni: Z Weed – coltivata in serra “con criteri Bio” –, Ganja 420 (il magic number dei fumatori) – indoor con “sentori della Royal Cheese” –, e High Grade – “Lemon Haze, un classico”. Tutte hanno THC inferiore allo 0,5%, mentre il CBD è sempre sotto al 20. «Con alcuni amici di un tempo abbiamo deciso di fare questa cosa», racconta. Z€N è prodotta in Svizzera, si appoggia agli store della catena Flower Farm, assieme a cui il prodotto è realizzato, e vende online. Le confezioni da un grammo costano intorno ai 10 euro.

«Ho deciso di usare il nome del mio brand di streetwear, con cui avevamo già realizzato una linea di t-shirt dedicata alla ganja. Così la vendiamo anche nei nostri negozi di vestiti. Usare il mio vero nome mi pareva una cosa da sfigati».

Foto di Alessandro Treves

Nel frattempo Gué è diventato socio del franchising Green Therapy, che ha inaugurato il suo primo store romano all’Aventino e ora si promette di raggiungere le principali città. «L’idea è quella di un grow shop di lusso, una boutique per consumatori di cannabis light, con tanto di arredamento ricercato ed elementi di design. Ci sono anche olii, saponi, cose così. Credo che sia il primo posto simile in Italia, anche se stanno aprendo store sempre più belli». Nel boom del CBD, d’altra parte, bisogna pensare anche alle classi alte. «Stiamo vivendo la fase di hype, in cui tutti si fiondano come pescecani e gli scrausi abbondano. Ricorda un po’ le sigarette elettroniche». E non teme questa concorrenza al ribasso, che rischia di infamare il prodotto? «Come sempre avviene, il mercato scremerà la merda e rimarrà il meglio. Personalmente sono interessato ad approfondire l’uso parafarmacologico del CBD».

Che diventerà una «cosa per tutti, a patto di avere la consapevolezza che stiamo parlando di “marijuana light”». Di una cosa Gué è convinto: «Non è un prodotto per ragazzini, piuttosto dai 35 anni in su. Per chi non ha più voglia di sfondarsi, o chi vuole darsi una calmata con le canne. Poi c’è chi ha paura dell’illegalità, di andare dal pusher, o non vuole farsi gli sbatti». Il Guercio dei Dogo tossisce, e fissa la parete floreale dello studio. Per questo servizio si è immolato, e ha fumato una canna – non del tutto light – confezionata dai suoi soci. “Non esagerate, che devo registrare due pezzi”, era stata la sua raccomandazione. Disattesa. «Il mio rapporto con la cannabis è iniziato quando ero ragazzino, e a Milano c’era il famoso caramello», dice, andando indietro con la memoria. «La ganja era poca e costava un sacco. Facevamo i tour nei canapai in Svizzera, sono stato un sacco di volte ad Amsterdam nei primi 2000, a Christiania, questi posti qua».

Gué non è il solo rapper che si è buttato nel settore. Ad aprile J-Ax ha lanciato la sua Maria Salvador e ha aperto uno store dedicato a Milano. “Il THC mi fa venire ansia e paranoie”, ha dichiarato l’ex Articolo 31. «Ho sempre fumato, ma non sono mai stato uno stoner, come un sacco di miei amici che ancora oggi fumano 30 canne al giorno. Io fumo la sera, poco. Qualche volta anche CBD, che ha un ottimo sapore e belle cime resinose. Ho una concezione abbastanza rastafari, da chill out. Non è più come a vent’anni, quando, tutti assieme, mi sparavo i negroni, le birre, i cuba libre e le canne di erba», spiega.

Foto di Alessandro Treves

A quel periodo, ai pomeriggi di caccia al Parco Sempione, non si tornerà. «Per me la cannabis light è un primo passo, nemmeno troppo timido, verso la legalizzazione: l’apertura di un canale diplomatico. Non sono mai stato uno alla Manu Chao, però sono totalmente a favore di una legge del genere». Che, però, non sarà facile da ottenere. «Succederanno tarantelle, c’è gente che farà cazzate, ma le cose cambieranno. Le persone drizzeranno le antenne, capiranno che con la cannabis non succede nulla di brutto». Eppure, anche se abbastanza residuali, sbucano hater della cannabis light, soprattutto in Rete. «Io ho già abbastanza da fare con gli hater dell’hip hop, non posso farmi carico anche di quelli della cannabis light! Tra il niente e qualcosa, preferisco la seconda. Stiamo parlando di un processo serio, di progresso».

A cambiare le regole del gioco hanno contribuito Gué e i suoi colleghi, con le loro rime e la loro estetica. Soprattutto le nuove generazioni: le immagini di Sfera, della Dark Polo o di Capo Plaza con un cannone in bocca non si contano, l’immaginario è forte e ormai radicato. Testimonial da milioni di follower qualcosa spostano sicuramente. «Questi ragazzi sono liberi e iconici, e stanno facendo quello che io da ragazzo sognavo: avere un’immagine che spacca, senza rincorrere le mode. Lo stesso vale per i gioielli: quando lo facevamo noi ci seppellivano di “cazzo metti le collane, merda”. Certe cose fanno parte dell’hip hop da 30 anni in tutto il mondo, finalmente anche da noi. E il mainstream si è spinto fin qua». Se un giorno aprirà un coffee-shop sui Navigli sapremo chi ringraziare. «No, noi facciamo solo musica», conclude Gué. «Ma mi piacerebbe che la gente capisse che più libertà c’è e meglio è, che se non fai del male a nessuno dovresti poter fare il cazzo che ti pare».

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