Grimes è la dea oscura del mondo digitale | Rolling Stone Italia
Interviste Musica

Grimes è la dea oscura del mondo digitale

Scrive e produce tutto da sola, vive di notte e vuole dividersi in più coscienze digitali per portare la sua musica in tutto il pianeta, forse in altri. Intervista alla pop star impossibile di ‘Miss Anthropocene’

Foto: Charlotte Rutherford per Rolling Stone USA

Sono le 13:45 di giovedì e Claire Boucher si è appena svegliata. Non ha dormito bene. È al sesto mese di gravidanza e durante la notte ha avuto la sensazione che, nel pancione nascosto sotto una maglietta nera della Marvel, il suo feto, che si trova in una posizione scomoda, coi piedi verso il basso, stesse «saltando sui miei organi».

Dal 2010 a oggi Claire Boucher ha scritto, cantato, prodotto e realizzato alcuni dei pezzi indie pop più incredibili, futuristici e difficili da classificare di questo nuovo secolo e l’ha fatto col nome di Grimes, un alias che ha scelto quando aveva 20 anni e che si ritrova ancora appiccicato ora che ne ha 31. In questi ultimi tempi, lontana dai palchi, si è ribattezzata “c“, perché è come l’hanno sempre chiamata gli amici, perché il nome Claire non le è mai piaciuto, perché è il simbolo della velocità della luce, perché la fa sembrare una supereroina uscita da un fumetto sci-fi, perché perché no. C è, in generale, molto particolare in fatto di etichette. «Odio quando mi chiamano cantante», dice, «mi sembra riduttivo».

È sempre stata una persona notturna, ha problemi a fare qualsiasi cosa prima dell’ora di cena, preferisce andare a dormire alle 9 del mattino e svegliarsi alle 17. «Quando sono rimasta incinta», racconta, «ho provato a seguire dei ritmi di sonno normali ma mi sono sentita davvero male». Per cui anche se sta facendo molte concessioni al suo stato interessante, compresa una routine di esercizi e dei cereali speciali consigliati dal medico, sta mantenendo il suo ritmo vitale normale, sperando che diventare madre non la costringa a cambiarlo. «Penso che mio figlio sarà una persona notturna come me», dice. «Al momento lo è. Non si muove mai durante il giorno, sempre di notte».

Sospira, all’idea che un figlio possa prima o poi farla entrare nel mondo di chi si sveglia la mattina. «Vedremo. Potrei essere sul punto di rovinarmi la vita e la carriera». Ride. Siamo nella cucina di un hotel/guesthouse in una delle tante proprietà di Los Angeles di quello che da due anni è il suo fidanzato, il fondatore di Tesla Elon Musk, che è anche, conferma, il padre di suo figlio. Lei vive in un’altra casa, che da qui non si vede ma non è lontana. Sembra in qualche modo fuori posto, come la figlia problematica di una famiglia ricca, con i suoi tatuaggi che si intravedono sotto le maniche della maglietta. Al collo ha due collane d’argento, una con una piccola presa elettrica e l’altra con un piccolo portasigarette. «Non fumo», dice, «ma penso sia provocatorio essere incinta e indossare un portasigarette». Indossa i pantaloni della tuta, mi spiega, perché sta aspettando il più possibile prima di comprare vestiti per la maternità, perché li considera un acquisto inutile. Ha delle scarpe che sembrano fatte di denim e che le piace pensare la facciano sembrare una che vive sul pianeta Tatooine.

Stava già pensando di trasferire il suo studio, che in realtà è solo un iMac e poca altra strumentazione, dalla cabina armadio dove si trova ora e dove ha registrato buona parte del suo quinto album,  Miss Anthropocene. L’inizio della gravidanza è stato duro, pieno di nausee, per cui era meglio lavorare vicino al letto. La visita di un giornalista era la scusa di cui aveva bisogno: ha portato tutta la sua roba qui, in una camera al piano di sopra, la notte scorsa.

Si incammina per una rampa di scale in legno scuro, tenendo stretta una tazza di tè. Ha arredato già la camera per sentirsi a casa, con una coperta col sigillo di Casa Targaryen gettata sul letto (anche lei come tutti ha i suoi problemi con la stagione finale di Game of Thrones, ma pensa anche che se ne sia detto troppo male). Appoggiato al muro c’è un arsenale di strumenti, tra cui una chitarra a sette corde autografata dai Korn (ha una passione per il nu metal), una tastiera mellotron digitale che si sente molto in Idoru, il singolo di Miss Anthropocene, e un oggetto metallico quadrato che si scopre essere un sintetizzatore sperimentale basato sull’intelligenza artificiale fatto da Google. Il suo computer sta su un tavolo pieghevole incorniciato da un paio di grosse casse che ha ricevuto di recente in uno scambio con un amico, il produttore BloodPop noto per aver lavorato con Lady Gaga. 
Tutto questo dà su una serie di finestre che offrono una vista spettacolare, una vista da un miliardo di dollari si potrebbe dire, su alberi, un campo da golf e, dietro, la città di Los Angeles. Lei socchiude gli occhi per la luce del sole e per la lussuosità di tutto ciò. “È molto bello”, dice.

Lei, c, è una delle persone più collegate a internet che ci siano sulla faccia della Terra, una creatura della rete. Parla più veloce e con meno pause rispetto alla maggior parte degli esseri umani, come un podcast a velocità 2x. Anche la sua risata acuta è velocizzata. È terrificante immaginare come fosse parlare con lei quando, molto tempo fa, si faceva di stimolanti.

Adora riflettere sulla possibilità che l’intelligenza artificiale prenda il sopravvento nel processo artistico (per non dire nella società in generale) e si interessa non solo ai sintetizzatori, ma a tutto ciò che è sintetico, dalla realtà virtuale alle tinte: al momento i suoi capelli sono neri alla radice, diventano biondi un po’ più sopra, rosa in cima e arancioni nella coda. Inoltre, adora l’artificialità dei deodoranti per ambienti chimici che sono un must negli Uber. In modo appropriato, il momento musicale più analogico del suo nuovo album, le chitarre acustiche su Delete Forever, non è quello che sembra. «In realtà fa ridere, quella chitarra viene da un campionamento modificato», dice. È così finta che fa il giro e diventa vera.A volte lei stessa sembra un’intelligenza artificiale che fa arte, dopo aver ingoiato una grande varietà di riferimenti culturali che vanno dagli anime ai film di Bollywood ai vecchi fumetti dei supereroi. Una conversazione con lei può finire così: «hai letto questo?… conosci questo? dovresti leggere questo…». E anche lei non vede l’ora che qualcuno le consigli qualcosa per aggiungerla alle sue liste di cose da leggere o da vedere.La sua musica, che corre sempre sul confine tra etereo, aggressivo e ultra-pop, è influenzata da cose che in nessun altro periodo storico starebbero bene una accanto all’altra, dai Tool agli Smashing Pumpkins, dai Nine Inch Nails a Burial, dai Cocteau Twins a Mariah Carey (lei non ne fa menzione, ma suo fratello Mac Boucher dice che ha avuto anche una fase Marilyn Manson). L’anno scorso, gli artisti che ha ascoltato di più sono stati Doja Cat e Vangelis. Uno dei suoi tanti tatuaggi è la parola “beautiful”, in tributo alla canzone di Christina Aguilera. Conosce a fondo la discografia di Taylor Swift, è molto fiera di quella sua sperimentazione synth-pop ispirata dagli Smashing Pumpkins che è Adore e un tempo si riteneva un’artista rock nell’animo. Prova molta empatia per Billy Corgan come persona. «Non riesce a non perdere il controllo», dice, «mi ci identifico un sacco».

Internet è suo amico da quando era adolescente, un periodo in cui, ammette con un po’ di senso di colpa, lo usava per fare cyberbullismo contro una sua professoressa. Grimes è stata una delle ultime artiste a beneficiare del boom dei blog nei primi anni Duemila – si ricorda ancora che i primi due articoli sulla sua musica sono usciti sui blog Gorilla vs. Bear e Cokemachineglow. Poi ha usato Tumblr per rispondere al modo in cui veniva raccontata dai media, prendendosela con certe frasi in certi articoli o sulla sua pagina Wikipedia che per lei non avevano più senso. «Ero molto emotiva», dice, ridendo.

A dispetto del fascino ambivalente che l’intelligenza artificiale esercita su di lei, gli algoritmi che si occupano di consigliare artisti sulla piattaforme di streaming non sanno bene che fare con la sua musica, né lo sanno gli umani che fanno le playlist. «La maggior parte della mia musica non può finire in una playlist», dice, «il che è un grosso problema: “Questa roba non è pop. Non è rock”. Non appartengono a generi precisi». Anche il fatto che le piacciano le intro molto lunghe è un problema. «Se qualcuno sente 40 secondi di pezzo senza voce, lo skippa». Per il suo prossimo progetto, ha in mente due uscite simultanee: un set di “banger” da playlist, sullo stile di Violence in Miss Anthropocene, che è una rara collaborazione con un produttore, e un altro gruppo di pezzi prodotti da lei per altri artisti.

Conferma la storia secondo cui Elon Musk le avrebbe scritto dopo aver visto che era l’unica altra persona vivente ad aver twittato un battuta iper-specifica e iper-cerebrale sul Basilisco di Roko, un esperimento mentale su un’intelligenza artificiale assassina. Non ha capito subito che la loro relazione avrebbe modificato la sua immagine, specialmente agli occhi del grande pubblico che non conosceva la sua musica – musica che, per essendo brillante e popolare a livello underground, non è mai finita sulle grandi radio. Era appena riuscita a scrollarsi di dosso le insinuazioni sessiste che non potesse essere lei sola l’unico produttore, musicista e ingegnere del suono coinvolto nella realizzazione delle sue canzoni e si sentiva molto bene riguardo al suo posto nel mondo. 

«Non mi crede nessuno quando ne parlo», dice, «ma non avevo proprio capito in cosa mi stavo infilando. Non che ci esca pazza. Semplicemente non pensavo che sarebbe stata una cosa grossa. Le cose che sono successe con il mio fidanzato quest’anno hanno oscurato buona parte del mio lavoro».

Se guardi nell’abisso digitale abbastanza a lungo, lui guarderà dentro di te e potrebbe non piacergli quello che vede. Una minoranza rumorosa del mondo online si è rivoltata contro di lei non appena la sua relazione con Musk è diventata di dominio pubblico – “mollalo subito” era un tweet emblematico di un fan. «Prima ero di super super super sinistra», dice c, «lo sono ancora in un certo senso, ma c’è un’ovvia dissonanza cognitiva con il mio ragazzo. E penso che questo sia il motivo di tutta la rabbia». Inevitabilmente, la sua relazione con un miliardario della tecnologia che ha fatto donazioni a certi esponenti del Partito Repubblicano (ma anche a certi democratici) è stata considerata una forma di ipocrisia.

Lei crede sinceramente, e ci tiene a spiegarlo, che Musk sia una forza positiva – e nello stesso tempo sostiene Bernie Sanders. «Sono tempi molto instabili», dice, «e le persone trovano conforto in spiegazioni bianco-o-nero, facili da capire. La società sta combattendo per cambiare. E quando sei in guerra devi dividere le cose in bene-male. Non è un buon momento per le sfumature, ed è comprensibile».

Foto: Charlotte Rutherford per Rolling Stone USA

Mi racconta di aver vissuto un’esperienza che chiama morte dell’ego e che le critiche non la fanno più impazzire. «Sono stata distrutta tipo quattro o cinque volte», racconta. «È un po’ dura all’inizio ma alla fine diventa divertente. Mi preoccupavo così tanto di vivere seguendo un certo standard e c’è qualcosa di molto liberatorio nel deludere le persone». Ed ecco la sua risata, ancora più veloce del solito. «Mi sento in grado di fare arte più trasgressiva adesso».

Buona parte dell’indignazione sembra essersi spenta da sé, specialmente vista l’accoglienza positiva tributata al suo Miss Anthropocene. Aiuta il fatto che lei abbia il senso dell’umorismo che sembra mancare a molti dei suoi fan. «Le persone pensano che io sia molto seria», dice, «non so perché». I titoli delle canzoni del nuovo album sono un grosso indizio: se tutto il disco è costruito sull’idea di divinità che personificano i mali della società contemporanea, dal cambiamento climatico alla dipendenza da oppiacei, in alcuni momenti ci sono dei riferimenti a New Gods di Jack Kirby, tipo quando chiama una canzone altrimenti anonima Darkseid come il supercattivo dei fumetti che spara raggi mortali dagli occhi («Il mio stile è molto influenzato da Jack Kirby», dice c, che prima ancora di fare musica si considerava una visual artist).

Lo scorso luglio, ha pubblicato sul suo account Instagram una routine di wellness evidentemente assurda. Dopo aver firmato un (vero) contratto di sponsor con Adidas, ha dato risposte false a un questionario dell’azienda riguardo alla sua routine di esercizio, mettendoci dentro cose come “2-4 ore di vasca di deprivazione sensoriale”, oltre alla sauna a infrarossi e a una “chirurgia sperimentale che rimuove la parte superiore del bulbo oculare e la sostituisce con un polimero”. Le risposte erano state riprese da tutti i giornali con titoli come “La fidanzata di Elon Musk si è sottoposta a uno strano intervento chirurgico” e molti non le avevano prese col minimo scetticismo. L’idea era di Mac, suo fratello nonché collaboratore creativo, che è molto coinvolto nell’aspetto visivo del suo lavoro. «Ha scritto che avevo inventato io stessa l’intervento chirurgico», racconta, ridendo all’idea. «Ho pensato, “wow, sono tutti impazziti, nessuno sa più cosa è reale e cosa no”». Le era piaciuto molto quello scherzo «perché era assurdissimo e si accordava bene con tutte le cose negative che la gente pensa su di me».

Alla fine, dice, «non sono molto brava a mantenere coerente il mio brand. Oppure il mio brand è semplicemente il caos».

Foto: Charlotte Rutherford per Rolling Stone USA.

Ma quindi, come è arrivata dov’è oggi? Claire Boucher è nata a Vancouver, in Canada, figlia di una madre che faceva l’avvocato per il governo e di un padre ex contabile diventato un imprenditore. Ha due fratelli (e, più tardi, ha avuto anche due fratellastri) con cui era sempre in competizione. «Mi ricordo che ero diventata molto brava a questo videogioco dei Pokémon perché il mio ego mi diceva che li dovevo battere», racconta, «mi allenavo a correre perché volevo essere più veloce dei miei fratelli».

La passione per la costruzione di mondi, la fantascienza e il fantasy viene da suo papà, che a lei e a Mac leggeva Dune Il signore degli anelli prima di metterli a dormire fin da quando erano piccoli. L’attitudine DIY, l’amore per l’avventura, l’eccentricità le derivano dal suo nonno paterno, un fabbro che da bambino era scappato di casa, aveva vissuto nei boschi e per un periodo aveva vissuto anche in treno viaggiando per il Paese. Una volta, quando era andata a trovarlo ai tempi dell’università, aveva scoperto che suo nonno aveva assunto dei barboni per lavorare nella sua proprietà. Per tenerla al sicuro durante la notte, si era inventato questa soluzione: «Mi ha dato una pistola e mi ha chiusa in un container», racconta (Mac dice che era un capanno, non un container, ma conferma la storia).

Ha odiato gli anni che ha passato a studiare in una scuola cattolica, ma sono stati anni felici. Finché non è arrivata l’adolescenza. «Ero super depressa, il che è ironico», dice, «ero così scema se ci penso adesso. Non so cosa avessi in testa. Mi tagliavo, ma non perché fossi triste, perché mi piaceva l’aspetto che avevo quando avevo dei tagli sul corpo. Ero pazza. Mi preoccupava l’idea di avere figli perché avevo paura che mio figlio sarebbe stato pazzo come me. Non pensavo che sarei mai morta. Guidavo in autostrada senza luci e cose del genere, pensavo, “che figata” e me la ridevo».

I suoi genitori hanno divorziato quando aveva 12 anni o giù di lì, ma non dà a loro la colpa dei suoi comportamenti. In generale, dice, era il desiderio di avventura a muoverla, a spingerla a uscire di notte dalla finestra della sua camera, al secondo piano, e saltare giù. Mac, un anno e mezzo più piccolo, si ricorda di essere rimasto scioccato da ragazzino dallo stile goth di Claire e delle sue amiche: «Arrivavano coi capelli decolorati, i piercing, vestite con giacche cucite da loro, e mia mamma gli preparava i biscotti». 

Ma poi tutto ciò aveva preso una svolta un po’ più dark, che lei paragona al film Thirteen. «Mi sono cacciata in una quantità folle di guai», dice, «e in situazioni molto brutte e molto traumatizzanti, e molti miei amici di quel tempo sono morti». Allude al compiere reati, ma non vuole scendere nei dettagli per paura di traumatizzare i suoi genitori, mettere in pericolo la Green Card che sta cercando di ottenere dal governo degli Stati Uniti o rovinare la reputazione del suo fidanzato. «Non ho mai ucciso nessuno», aggiunge. 

Si era ripresa abbastanza da venire accettata alla prestigiosa McGill University di Montreal («Non è stato poi difficile», dice facendo spallucce), dove aveva studiato per un esame di psicoacustica e imparato a usare il programma di registrazione Logic. Non aveva alcun background musicale tranne delle disastrose lezioni di violino durate un anno quando aveva 9 anni. Ma dopo aver imparato a usare quel programma e aver sentito come gli Animal Collective usavano i loop era scattato qualcosa. Era tornata a casa e aveva cominciato a mettere insieme delle canzoni e presto era nata Grimes. E nonostante la sofisticazione di tutte le canzoni che ha fatto da allora, non sa ancora nemmeno le basi della teoria musicale e suona a mala pena gli strumenti che utilizza per comporre i suoi pezzi.

«Non voglio esercitarmi con la chitarra ogni giorno», dice, «è una perdita di tempo. Non è un atto creativo». Procurarsi la strumentazione per la produzione digitale così da poter registrare una chitarra accordo per accorto o un violino nota per nota è stato un investimento molto più saggio, mi spiega. «Preferisco imparare le skill del futuro, che invecchieranno meglio e avranno più campi di applicazione».

Foto: Charlotte Rutherford per Rolling Stone USA. Vestito: Iris Van Her Pen. Gioielli: Lynn Ban

Il pomeriggio dopo, c è seduta in cucina con le gambe incrociate, la mano sinistra tutta tatuata sulla pancia, in un’altra casa dall’altra parte della città. Indossa ancora gli stessi pantaloni della tuta. Questa casa, tutta legno chiaro, luce e libri, le serve come quartier generale creativo – nei credits del disco, la chiama Media Empire HQ. Sotto un tavolo in salotto c’è una sfilza di computer da gaming, che brillano di neon viola e danno un certo calore mentre fanno il rendering un frame al minuto dell’animazione grafica per il video di Delete Forever a cui sta lavorando, che mischia filmati di lei seduta su un trono vestita da principessa galattica e uno sfondo di spazio interstellare (il trono in sé è un riferimento ad Akira, l’anime e manga degli anni ’80).

Mac, fan degli sport e dei prodotti Soylent, affabile, cerebrale e loquace quanto la sorella, sta lavorando davanti al monitor di un computer accanto al loro comune amico Neil Hansen, che aiuta con la parte video e tech del mondo di Grimes. «Il concept originale che avevamo in mente era seduta in un palazzo mentre il mondo brucia, che conta i suoi gioielli», mi dice Mac, seduto su una sedia girevole di fianco alla chitarra rosa della sorella. Avevano pensato di aggiungere una seconda scena, qualcosa su una razza di fatine che si estingue, ma poi hanno deciso che era troppo, anche perché hanno delle statistiche secondo cui la maggior parte della gente guarda solo i primi 12 secondi di un video. Si sono decisi per una lunga scena di un trono spaziale alla fine del mondo, uno scenario che c riconosce può assecondare una certa idea di lei che la gente si fa a partire dalla sua vita.

Quando ha finito di cercare uno snack salutare nella credenza, va a controllare l’animazione su cui stanno lavorando. «Molto figo questo», dice guardando i corpi celesti nel cielo dietro il suo trono. «Le lune mi sembrano buone. Non ce n’è una di troppo però, forse?».

Si butta su un divano dall’altra parte della stanza, tira fuori un laptop e comincia a editare un altro video, questa volta un lyric video per Idoru, la ballata d’amore che chiude il disco. Nel suo studio c’è una copia dell’omonimo libro di William Gibson, che sta leggendo dopo che gliel’ha consigliato un amico, e che l’ha spinta a cambiare il nome del pezzo che prima si intitolava semplicemente I Adore You (poche settimane dopo, dei fan che hanno colto il collegamento si sono accorti che il libro è dedicato alla figlia di Gibson, Claire, cosa che ha provocato un tweet da Gibson in persona spiegando che sua figlia si chiama Claire anche lei ma non è Grimes. «Viviamo nella simulazione più assurda che c’è», ha scritto su Twitter Grimes dopo tutto quanto).

Al momento il video è finito a metà e mette assieme immagini di Grimes che canta in playback vestita da geisha e scene tratte da anime e altro. Le viene l’idea di unificare i vari elementi mettendo un effetto digitale che fa piovere fiori di ciliegio su tutto quanto. Dopo un paio di minuti e qualche clic sul MacBook, le diverse scene sembrano appartenere allo stesso universo. E lei ha un video. 

Le piace questo tipo di autonomia, le piace fare tutto da sola, ma non sente più di doverlo fare per forza. Anche nella musica, Grimes è pronta per più collaborazioni, persino per lavorare con altri produttori. Per lungo tempo, dice, «sono stata ossessionata dal dimostrare di essere brava a produrre», di dimostrare che era brava quanto un qualsiasi produttore uomo. Può darsi che ne abbia uno in particolare in mente. «È stupido», dice, «ma ho avuto questo stupido scazzo con Diplo, e voglio batterlo». Perché proprio lui? «Siamo andati in tour nel 2012 ed è stato uno stronzo».

Vuole espandere notevolmente l’esperienza Grimes. «I suoi pilastri di base sono la moda, la bellezza, i videogiochi, l’arte e la musica», dice il suo manager, Daouda Leonard, che ha cominciato a lavorare con Grimes l’anno scorso dopo la morte di quella che era la sua storica manager Lauren Valencia. «Vuole costruire mondi, e ne ha le capacità».

Un’idea è disegnare abiti digitali da vendere come skin ai gamer. «Magari non funziona», dice c ridendo, «ci rendiamo conto che potrebbe essere una cosa folle». Lei e Mac stanno anche lavorando a un universo fittizio molto complesso che comprende quelli che lei chiama «esseri magici fuori dall’ordinario che si inseriscono nel mondo». Potrebbe diventare un film, ma Mac preferisce cominciare da un fumetto. 

Si è già creata un avatar, War Nymph, che la sostituirà in diverse attività promozionali durante la gravidanza in modi che bisogna vedere per poterli capire. Tra le molte idee, stanno parlando di fare dei deepfake – falsi video di Grimes fatti con una AI – da utilizzare insieme all’avatar. «Mi piace l’idea di avere numerose coscienze che agiscono simultaneamente nel futuro», dice. «Voglio fare qualcosa di più grande che semplicemente far uscire una canzone e poi promuoverla, e poi suonare a un concerto, e poi fare un video, e poi rifare tutto da capo. Grimes, come progetto musicale, era così giovanile. Sto cercando di capire come farlo crescere». Quando canta le sue canzoni vecchie, dice che deve fare «la voce da bambina, e mi fa sentire strana. Quella musica è stata creata da una persona molto giovane, in uno stato mentale diverso».

Foto: Charlotte Rutherford per Rolling Stone USA. Vestito: Valentino. Orecchini e anelli: Lynn Ban

Idoru è una canzone d’amore, ma anche se il sentimento è ancora attuale in realtà c l’ha scritta per il fidanzato con cui stava prima di stare con Elon. Un altro pezzo, So Heavy I Fell Through the Earth, parla in qualche modo della sua attuale gravidanza. «Parla del rimanere incinta», dice, «quella specie di tragedia che consiste nell’accettarlo, anche se è una bella cosa. Per una ragazza, vuol dire sacrificare il tuo corpo e la tua libertà. È un sacrificio folle e solo metà della popolazione del pianeta deve farlo. Per me è stato davvero un momento importante quello in cui ho deciso di farlo», dice, in un sospiro, mentre nella stanza c’è suo fratello. «Sai, sesso non protetto. Mi sono sentita come se avessi rinunciato al mio potere in quel momento. Come se mi fossi arresa. Ho passato tutta la mia vita a evitare quella situazione. Non mi sono mai arresa a niente, quindi è stato come prendere un impegno importante».

Ed è stato un impegno che lei ha preso per la ragione più semplice del mondo. «Amo davvero tanto il mio fidanzato», dice, «per cui ho detto, certo che sì». In più, si sentiva come se con l’aiuto di Musk stesse finalmente superando i traumi della sua adolescenza. «È molto bravo a parlarmi e farmi passare le mie paturnie», dice, «ho imparato molto su come controllare il mio stato mentale da lui».

Un test chiave di ciò è stata la più grande e più strana controversia in mezzo a cui Grimes sia mai finita, che a quanto pare è cominciata con il suo progetto di collaborare a un album di Azealia Banks nel 2018. Banks aveva affermato su Instagram di essere stata lasciata sola in una delle proprietà di Musk ad aspettare c, oltre a fare diverse affermazioni che l’hanno coinvolta marginalmente in un’indagine su Musk della SEC, l’ente statunitense preposto alla vigilanza della borsa. C esita a ricordare i dettagli dell’incidente, e lo chiama «una cosa triste e brutta». «Mi sentivo come se avessi causato il crollo di tutto ciò che mi importava e di tutte le persone di cui mi importava, come se avessi mandato tutto a puttane, è stato davvero orribile». Musk l’aveva calmata – mi replica il gesto di lui che le schiocca le dita di fronte alla faccia. «Mi ha detto tipo, “tirati fuori, devi combattere”».

Foto: Charlotte Rutherford per Rolling Stone USA.

Col bambino in arrivo, la vita di c sarà per sempre collegata a quella di uno degli uomini più ricchi e famosi del mondo. «Sono finita in questa situazione, io, una musicista indie un po’ pazza», dice. In precedenza, «tutto sommato non ho sofferto grandi conseguenze per essere così matta, frequentare matti e fare cose matte».

È convinta che Musk non sta solo cambiando il mondo, ma potenzialmente lo sta anche salvando: allontanandosi dai combustibili fossili con Tesla, portando l’umanità nello spazio con SpaceX, riparando (potenzialmente) il cervello con Neuralink. In particolare, crede che lui abbia la possibilità di lottare contro il cambiamento climatico, il problema che pende come una spada di Damocle sull’umanità nel suo nuovo album. «Credo davvero, completamente nell’energia sostenibile, in un futuro elettrico e nel rendere l’umanità una specie multiplanetaria», dice. «Ci sono un sacco di problemi in questo mondo che dobbiamo risolvere. Il governo non ha davvero la capacità di risolverli. Il mio fidanzato lo sta facendo, in modo tangibile, visibile. Non si può negare».

C è preoccupata anche delle disuguaglianze. «È qualcosa di cui ho parlato molto prima di cominciare a uscire con il mio fidanzato, che una delle ragioni per cui le persone si sono incazzate quando hanno saputo della nostra relazione». Ma nella sua testa Musk non è il tipo che «si compra gli yacht». «Se c’è uno che prende tutto quello che ha e lo investe in ricerca e sviluppo per rendere il mondo un posto migliore, che si alza ogni mattina all’alba e va a dormire tardissimo ogni sera, che non fa mai vacanze e mette ogni sua energia e tutti i suoi soldi nel rendere il mondo un posto migliore, be’, direi che posso fare un’eccezione. Lo ammiro molto. Penso sia un grande. Per me stare con lui non contraddice ciò in cui credo».

Va anche oltre: «Se penso agli obiettivi del mio fidanzato e poi penso agli obiettivi di Bernie, mi sembrano molto simili. Risolvere i problemi ambientali, ridurre la sofferenza. È giusto parlare della disuguaglianza, è giusto parlare del fatto che esistono i miliardari, ma queste situazioni hanno sfumature».

La sua fede che i soldi di Musk siano usati per progetti essenziali è una delle ragioni per cui non ne accetta per il suo lavoro. «Grimes è finanziata da Grimes», dice, «non voglio portar via soldi a, per dire, Tesla per il mio stupido progetto artistico. Non potrei dire le cose che dico e credere in quello in cui credo se mi facessi dare soldi dal mio fidanzato». Pausa. «Vabbè, però mi piacerebbe che mi aiutasse col bambino».

Se non altro, la sua vicinanza ai centri di potere globale della Silicon Valley ha aumentato la sensazione che ogni cosa sia possibile. «Quando vedi alcune delle cose che ho visto io», dice tranquilla, «cominci a pensare “Ok, va bene”. Tipo che le cose possono migliorare. Che i problemi si risolvono». Questa consapevolezza si estende anche alla sua carriera. «Mi piace puntare in alto», dice, mentre la mano torna sulla pancia. «Perché anche fallendo penso che sto comunque arrivando più in alto di dove arriverei se non puntassi in alto. Non ho paura di fallire». Sorride. «Non ho paura di coprirmi di ridicolo».

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Assistenti fotografo: Kevin Coffey & Lance WIlliams
Digital Technician: Buddy Bleckley
Post-production Supervisor: Felix Geen
VFX Artist: metapoint.xyz & Felix Geen
3D Assistant: Maximiliane Galgenmaier
Assistant Director: Emily Mathason

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