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Gli Zen Circus vogliono venderti il male

In un mondo in cui ci dividiamo fra buoni e cattivi loro ci ricordano che facciamo tutti un po’ schifo e che tra gli estremi dell’autocelebrazione e dei meme idioti esiste la sana autorionia. L’intervista

Foto: Ilaria Magliocchetti Lombi

Sarebbe scontato introdurlo con l’adagio nietzschiano «E se tu scruterai a lungo in un abisso, anche l’abisso scruterà dentro di te». Anche perché, in questo caso, l’abisso non resta fermo a farsi osservare, ma ci parla attraverso la musica degli Zen Circus in undici tracce che non cercano nessuna consolazione. Dopo 25 anni di concerti, dodici album (sei entrati in classifica) e un Sanremo, il trio toscano è tornato con Il male, presentato con una televendita parodica e un numero verde che sembra più un pesce d’aprile che un lancio discografico. È un’operazione di marketing consapevole, una provocazione artistica contro i dolcificanti del dolore e l’omologazione della società. «Che sia una malattia o un lutto, il male non viene più raccontato come parte delle nostre vite», raccontano in questa intervista Andrea Appino (voce e chitarre), “Ufo” (basso) e Karim Qqru (batteria).

Per non prendere scorciatoie, i tre hanno scelto la via più radicale: registrazioni «senza l’ausilio di campioni sulla batteria, senza correzioni sul tempo né alcun tipo di intonazione digitale della voce». A completare il quadro all’interno del vinile c’è una tavola originale di Enzo Sferra, storico illustratore della rivista satirica Il male, che trasforma l’artwork in cultura pop a cavallo con gli spot pubblicitari più urticanti. Per loro la rivoluzione, in un’epoca di politicamente corretto e di suscettibilità digitale, è rimanere sé stessi, a costo di rischiare di essere fraintesi. Feroci, ironici, imperfetti, sono capaci di autoironia dissacrante («Il mio Io a vent’anni mi sta sul cazzo») e non vogliono essere considerati una band matura: «Speriamo di no, la frutta matura casca dagli alberi». Il risultato è un disco potentissimo. E che ricorda a tutti che il male non si elimina. Si affronta.

Innanzitutto, dopo aver frequentato il male così da vicino, come state?
Karim Qqru: Imprevedibilmente bene!
Massimiliano “Ufo” Schiavelli: Siamo vivi e in relativa forma fisica. Che non è scontato per una band come la nostra che si è tolta lo sfizio di frequentare tanti vizi. Erano due anni che non suonavamo insieme, siamo tornati a farlo in questi giorni e ci sentiamo davvero presi strabene. E abbiamo fatto anche un disco molto bello.
Andrea Appino: Ooohhh, mi piace questa sicumera…

Aggiungerei che è molto bello perché è particolarmente cattivo. Non solo entra nei mali del nostro tempo, ma te li sbatte in faccia.
Appino: Raramente ci è capitato di lavorare a delle canzoni che da sole ci indicavano una direzione. Forse solo con Andate tutti affanculo e La terza guerra mondiale, dove i titoli degli album sono arrivati chiarissimi dopo pochi pezzi. Dopo averle riascoltate, ci siamo resi conto che facciamo parlare direttamente il male. Non lo raccontiamo e basta.

Che è anche un modo per esorcizzarlo, il male.
Appino: Assolutamente. Tutto parte da un rimosso. Da qualche anno è in corso una enorme rimozione, dai reel con la morning routine agli shadow ban, i social ci hanno portato un sacco di cose buone da conoscere, ma impostando tutto in modo un po’ troppo pubblicitario.
Ufo: Possiamo andare anche più indietro. È dagli anni ’80 che c’è questa positività.
Karim: Da ultimo il Covid ha scombussolato tutto. Il male c’è, ma che sia una malattia o un lutto, non viene più affrontato come una cosa che fa parte delle nostre vite e della nostra società.

Invece già dall’artwork interno, a cura di Enzo Sferra, storico illustratore della rivista satirica Il male, voi ce lo presentate quasi come un prodotto da scaffale.
Appino: Un artwork di tipo pubblicitario, proprio perché quel male lo vogliamo vendere.

Sentivate anche l’esigenza di tornare a dire ciò che oggi sembra indicibile?
Appino: Sì, anche se non vorremmo parlare con prosopopea del fatto che non si può più dire niente. Ma nel consorzio artistico-culturale-popolare il male è stato il più possibile allontanato, preferendo il manicheismo bene-male, per poi protendere sempre verso il bene. Col risultato che oggi che il male è ovunque, più profondo e cattivo che mai. Forse perché l’abbiamo messo da tanto tempo sotto il tappeto. Il tutto lo abbiamo affrontato con ironia e autoironia, altrimenti sarebbe diventato qualcosa di tremendo. Un’autoironia che, come il male, manca molto.
Karim: O c’è l’autocelebrazione o il meme. Senza altre vie di mezzo. La comunicazione è standardizzata e quando succede che c’è solo quella è come se si formasse un doppelgänger, cioè un doppio che poi diventa una sorta di persona che deve essere perfetta anche nei difetti.
Ufo: Per questo proponiamo Il male che vendiamo come un prodotto, come se fosse qualcosa di addirittura attraente.

Lo avete presentato tratteggiando l’ambiente nel quale si inserisce: «Un futuro dove frustrazione, odio e rabbia rischiano di diventare la norma nei rapporti quotidiani». Lo stiamo riscontrando nel concreto dopo l’omicidio di Charlie Kirk in America.
Appino: È l’oversharing. Apriamo questo scatolino, che è il cellulare, e ci arriva costantemente di tutto e di più, nemmeno solo quello che avevamo scelto di seguire. E sta cambiando nettamente la metodologia di comunicazione. Lo vedo dai miei genitori. Mi girano reel o contenuti da profili stranissimi che sono fake o che non si capisce da chi vengano gestiti. Loro, essendo cresciuti nell’epoca della televisione, prendono quei contenuti nello stesso modo. Come se guardassero un telegiornale. E questo sta cambiando radicalmente tutto.
Ufo: I social stanno cambiando la psiche mondiale. Anche i ragazzi che compiono gesti spropositati, che sia sparare a compagni di classe o a un oratore, hanno un retroterra che non riusciamo più a decifrare, tra videogiochi e pagine social assurde. Vedono il mondo come un gigantesco meme. Ci sta capitando addosso un cambiamento di percezione devastante. Che ci costringe a superare i concetti classici di dialettica e politica ai quali eravamo abituati.
Karim: È interessante che in Italia, pur essendo stato poco percepito, non ci si è soffermati sul primo laboratorio del ribaltamento della realtà. Mi riferisco al forum 4chan, che seguo da tempo per curiosità. Ho rivisto una schermata di sei anni fa e mi ha impressionato, perché c’era già tutto il futuro dentro: la post verità. Cioè il trattare come meme un contesto storico alienandolo dalla verità storica e facendolo diventare finta verità ribaltata in nuova verità.

In questo contesto non è sempre facile capire chi sta dalla parte del giusto. 
Karim: Si torna a riconoscere le persone per l’odore. Non c’è più la divisione bene e male, ma è tornata quella tra fascisti e comunisti. La storia è stata rifiutata e viene riscritta come se quello che era assodato fosse totalmente in discussione. Stanno scomparendo gli ultimi testimoni della Seconda guerra mondiale e con essi sembra scomparire la memoria storica del Novecento. Che è stato un secolo breve orribile, con una quantità di morti e devastazione e allucinante, che però ci ha anche permesso di avere 80 anni di pace, proprio per la paura di tornare a quell’orrore.
Ufo: E poi, a seconda dei casi, tutto si può ribaltare di nuovo. È come se si creassero dei falsi indiscutibili. In questo modo diventano tutti buoni grazie a un narcisismo enorme. Invece noi, con questo disco, almeno cerchiamo di inchiodare alle proprie responsabilità il male.
Appino: Perché non bisogna mai dimenticare che il male è una parte fondamentale di tutti noi. Non dobbiamo dimenticarci che non possiamo essere completamente il bene, altrimenti rischiamo, come sta succedendo oggi, soltanto di rafforzare il male. Ma quello vero. Si tratta di un rimosso che invece spetterebbe alla musica, e all’arte in generale, riportare al centro. Invece si tende troppo a edulcorare la vita. Sia chiaro, non sono contro il pop abbraccione e del volemose bene, però credo ci sia bisogno di ricordarsi che facciamo anche un po’ schifo.

A proposito del secolo scorso, del quale sembriamo aver dimenticato gli insegnamenti, nell’album c’è un pezzo che si intitola appunto Novecento dove cantate: “Siamo salvi / Da un passato che ci voleva morti / Verso uno splendido e limpido futuro / Basta pagare un abbonamento / Sono nato nel 1900”.
Appino: Con grossa ironia sulla nostra generazione e su quelli più grandi di noi, che dicono spesso: «Si stava meglio quando si stava peggio». È vero che il Novecento ci ha donato i Velvet Underground, ma è stato anche un secolo che ha grondato sangue.
Ufo: Il Novecento, con la sua pesantezza e il suo materialismo, ritorna anche oggi. Non a caso, le guerre si combattono ancora con i carri armati.
Karim: Parlavo con mia madre, che compiva 81 anni, e lei mi raccontava di com’era vivere negli anni ’70, gli anni di piombo. E con grande naturalezza mi riferiva delle storie scioccanti, mentre noi abbiamo idealizzato tutto di un secolo che è stato bello peperino.

Foto: Ilaria Magliocchetti Lombi

Un disco «registrato senza l’ausilio di campioni sulla batteria o altri strumenti, senza correzioni sul tempo né alcun tipo di intonazione digitale della voce». Era necessario uscire dall’onda delle superproduzioni per ritrovare aderenza con la realtà?
Appino: Non è certo un merito o un demerito, come sottolineiamo in quella puntualizzazione, perché certe produzioni le abbiamo utilizzate anche noi e siamo convinti che non ci sia un solo modo per fare musica. Così come non crediamo che il rock sia l’unico genere nobile. Solo che ci siamo detti: ma perché non rifacciamo un disco come non facevamo da tempo? Per ritrovare qualcosa di simile nella nostra discografia bisogna tornare a Vita e opinioni di Nello Scarpellini, gentiluomo (del 2005, nda). Dopo abbiamo sempre sperimentato. Ci piaceva sottolinearlo non tanto perché nel mondo c’è bisogno di un ritorno agli strumenti, ma perché per noi è un modus operandi diverso. C’è di certo un eccesso di produzione nel settore della musica, che a volte può essere meraviglioso e a volte soffoca le canzoni. Nel nostro caso ci sembrava bello far sapere che quello che state ascoltando è il prodotto di tre persone in sala prove che suonano, registrano e non ci sono altri interventi.

Aggiungo solo una parola: Auto-Tune.
Appino: Quando avevo sentito le prime produzioni che sono emerse della trap italiana, io mi ero innamorato. Nel periodo in cui veniva dal basso, prima che girassero troppi soldi e diventasse il fenomeno che è stato. E si può dire “è stato” non più “che è”. Era un sound che apprezzavo tantissimo. Sono stato recentemente all’Ypsigrock, un festival meraviglioso, dove ho ascoltato i Voidz, con Julian Casablancas che per metà concerto usava l’Auto-Tune. Ma non dovrebbe essere il contrario? Invece è bellissimo come lo usa lui. Sono d’accordo sul fatto che è uno strumento, però quello che mi preoccupa è il copia e incolla produttivo. Da sempre seguo cantanti che non cantano in modo perfetto, chi se ne frega se non sei intonatissimo, il problema è se tutta la musica è uguale. Purtroppo è quello che succede nelle varie scene musicali. Quando uscirono i Nirvana, le case discografiche investirono una barca di soldi e fecero emergere tante cose che non avevano né capo né coda. È un rito che si consuma per ogni generazione. Per citare gli Skiantos, Una vita spesa a skivar la fresa.
Karim: L’Auto-Tune non è tanto un problema in ambito trap, ma in altri ambiti. Perché lo sta usando anche chi canta veramente bene. Ma ancora più dell’Auto-Tune il vero problema è Melodyne, che è molto peggio. Perché porta artisti che cantano benissimo a una perfezione formale, oltre al copia e incolla produttivo, che ci porta a dimenticare un aspetto fondamentale: tutti i più grandi cantanti, da Prince a Ella Fitzgerald, non riuscivano a raggiungere la perfezione di Melodyne. In questo modo l’ascoltatore viene viziato, lo abitui a quel tipo di suono, solo che viene risucchiata la personalità che c’è nell’imperfezione. Non è che prima era meglio, ma la musica si lega a percezioni che sono prettamente umane. Se togli quelle percezioni, anche imperfette, rischi di levare l’anima.
Ufo: Diventa un cane che si morde la coda, come chi usa sempre Photoshop nelle foto.

Sarà che oggi, rispetto al passato, un po’ tutti provano ansia da prestazione?
Karim: Nella nostra generazione non esisteva il suonare per avere successo o fare soldi. Quando abbiamo iniziato, il pensare che sarebbe diventato un lavoro era come andare su Marte.
Appino: Da un lato non è neanche così negativo. I ragazzi di oggi non fanno più la gavetta? E meno male. Una volta ci hanno dato una casa abbandonata per dormire dopo un concerto, quindi ben venga che non tutti ci debbano passare per forza.
Ufo: In una casa abbandonata non ci deve andare nessuno, però è stato anche bello.

Dopo 25 anni di carriera e 12 album alle spalle, quanti no avete detto?
Appino: Pensavo ci dicessi: «Avete rotto il cazzo». Forse abbiamo detto anche tanti sì. Personalmente ho detto no a diversi brand di vestiti. Perché mi sembra sempre di lanciare il messaggio che se non ti vesti così non sei figo.
Karim: Dei no li abbiamo detti, ma purtroppo dopo aver preso delle musate fortissime. In questi anni abbiamo capito l’equilibrio da tenere. Ci sono state occasioni ben pagate, ma che non ci rappresentavano, quindi abbiamo detto no. Non devi pensare al giorno dopo, ma agli anni successivi. Con l’anzianità questo lo abbiamo capito.
Ufo: Crediamo nel budget rock. Poi si sbaglia lo stesso, tanto che ho proposto di cambiare il nostro logo nell’immagine di una zappa su un piede.

Le sirene dei talent non le avete mai sentite?
Appino: No, zero. All’inizio, personalmente, ero molto critico. Poi col tempo mi sono addolcito. Perché quando noi si era più piccolini potevi fare 120 date l’anno nei locali e trovavi sempre pieno. E non perché erano lì per sentire te, ma così riuscivi a crearti un pubblico. Questa possibilità è scomparsa. Capisco i ragazzi di oggi che vogliono suonare ma senza sapere dove farlo. Puntualmente, arriva quello della mia età che gli dice: «Vai a suonare in giro». Ok, ma dove? Grazie al cazzo! Il male non è il talent, il male è che c’è solo quello.
Karim: Noi abbiamo la fortuna di avere un pubblico che cresce e cambia. Così è più facile. Invece puntare il dito verso i giovani di oggi è sbagliato, perché non viviamo la loro condizione.

L’adolescenza è sempre stato un tema centrale nelle vostre canzoni. Da Vent’anni, del 2012, con il ritornello “Io quando avevo vent’anni ero uno stronzo”, fino alla nuova È solo un momento dove tutto quell’ardore è passato in un soffio: “I miei vent’anni sono volati mentre sussurravo al vento”.
Ufo: Nelle nostre canzoni ci sono più ironia e riflessione che nostalgia. Anche perché il mio Io a vent’anni mi sta sul cazzo.
Appino: Però gli vuoi anche bene! Quando abbiamo girato il videoclip, un ragazzo giovanissimo ha sentito più volte la canzone, e quando siamo usciti a fumare una sigaretta mi ha detto: «Quelle frasi mi hanno commosso, perché ho appena compiuto 22 anni». Mi fa troppo sorridere che lui abbia percepito quei pensieri come suoi, lui che ne ha appena compiuti 22. I vent’anni sono una rappresentazione, uno stato mentale.
Karim: E rappresentano l’età dell’innocenza. Quando è uscita È solo un momento siamo rimasti colpiti dalla reazione emotiva del pubblico. Non ci capitava da tanto una cosa così. Molti di quelli erano ventenni. Per poterli capire, spesso, devo un po’ forzarmi perché, avendo un figlio che sta entrando nell’adolescenza, devo ricordarmi com’ero a quell’età. Forse il periodo più difficile da affrontare, e poi quando passa ti ritrovi sparato verso l’età adulta.

I giovani, però, li mettete in guardia dal considerarvi dei boomer. Come in Vecchie troie: “Sono uscito di casa senza il mazzo di chiavi / Un ragazzino mi urta e dice / «Scusi signore» / Testa di cazzo non vedi ho solo due volte vent’anni”.
Appino: Va bene che sono cresciuto, ma stiamo calmi! Perché il furore dei vent’anni, anche se in forme diverse, è sempre presente. Già al terzo disco ci dicevano se fosse quello della maturità. Noi rispondevamo: «Speriamo di no, perché la frutta matura casca dagli alberi».
Ufo: Vogliamo mantenere quel giramento di coglioni tipico dei giovani. Per il momento non ci è passato, ma credo si senta anche nel disco da quanto siamo incazzati.

Un atteggiamento, il vostro, che in Adesso è qui mi sembra scopra un po’ di più la vostra vena filosofica: “E dovremo stare solamente / Ora, insieme / Adesso e qui / Ora, insieme / Adesso e qui”. In pratica una personale rivisitazione della locuzione latina hic et nunc (“qui e ora”). In fondo gli Zen Circus sono degli esistenzialisti?
Appino: Sicuramente l’esistenzialismo è un tema che ha interessato gli ultimi due dischi: Il fuoco in una stanza, del 2018, e L’ultima casa accogliente, del 2020. Ne Il male c’è sempre una forte componente esistenzialista, ma aggiunta a un forte giramento di coglioni. È paradossale, perché invecchiando dovremmo essere più pacificati, invece…
Karim: Lo tradurrei così: nonostante le avversità, e il nero che circonda la vita di tutti, abbiamo una incredibile voglia di vivere. E come tutte le persone che hanno una incredibile voglia di vivere, hanno anche una incredibile paura di morire. Personalmente l’ho sempre visto come il tema più presente in quello che facciamo.
Ufo: È ancora più importante oggi questo atteggiamento, in un’epoca dove manca totalmente l’autoironia. Persino quelli che non mangiano il cornicione della pizza considerano quella scelta come molto, molto importante.

Chissà cosa succederebbe se alla Milano Fashion Week dovessero passare il vostro pezzo Virale,  quelli che lo ascoltano sarebbero in grado di riderci sopra invece di chiedere il vostro arresto: “Alla sfilata le celebrità / Festeggiano insieme l’esclusività / Ma l’esplosivo è molto più inclusivo / E le farà brillare in cielo”.
Appino: È una citazione de Il bombarolo. Ovviamente, a prenderla letteralmente, ti chiedi se vogliamo far esplodere la gente. Solo che, a un certo punto, se devi descrivere un momento storico, devi farlo anche con gli occhi del male, non soltanto con quelli della morale, altrimenti diventa tutto sterile e innocuo. Ci sta ogni tanto dire cose che spingono i limiti, perché è il ruolo degli artisti. Te lo immagini De André che scrive una canzone così oggi?
Karim: Il cantautorato anni ’70, che abbiamo scoperto in ritardo rispetto al rock, ha avuto nelle nostre vite due momenti di grande importanza. Quando lo ascoltavamo da bambini grazie ai nostri genitori e quando lo abbiamo riascoltato in età adulta. E raccontava tutte le ramificazioni dell’animo umano, anche il male, attraverso dei personaggi.

Non mancano i momenti meno incazzati. Come in Tra un milione di anni, che è una canzone d’amore, ma in senso molto ampio.
Appino: Non è dedicata a una donna, ma al mondo che tra un milione di anni andrà avanti con o senza di noi fregandosene della nostra presenza. Riguarda sempre il male, che ha varie sfaccettature. Come quello dovuto al dolore della separazione da chi per noi è importante.
Karim: L’universo ci dirà ciaone.
Ufo: In pratica l’ultimo meme ce lo farà l’universo.

Fino ad arrivare a Finale, dove sembra forte il tema dell’autocritica: “Ed era facile infrangere le regole ma poi / Adesso le facciamo noi, adesso le facciamo noi”.
Appino: Sì, anche se più che un’autocritica ho cercato di costruirla come una lettera che ho scritto a un amico dell’adolescenza. E a un certo punto mi sono reso conto che certe dinamiche, che noi al tempo schifavamo, pensavamo di essere immuni da un certi mali come la retorica e i luoghi comuni, invece non è così. Si torna al discorso che non si può essere completamente buoni, non funziona. E1 da quando ero piccolino che non ci credo. Sentivo certe canzoni che descrivevano dei personaggi solo buoni e a me qualcosa non tornava. Mi pareva che mancasse il rumore di fondo dell’esistere. Che è anche male, anche merda, anche sangue, anche muco, anche liquami. Mi piace, ogni tanto, ricordarlo nella forma canzone.
Karim: Prima citavamo De André. Quando venne a mancare Paolo Villaggio raccontò un Fabrizio inedito. Ci fu una quantità enorme di gente che uscì di testa, con una levata di scudi generale. Invece raccontava semplicemente la verità.
Ufo: Non facciamo di tutta l’erba un fascio, ma ci sono persone che sono veramente delle merde.

Nel frattempo, là fuori, le guerre continuano a mietere vittime civili e le manifestazioni, persino le più numerose, non riescono a smuovere i governi. Anche in questo, rispetto a vent’anni fa, sembrava che ogni speranza di incidere sulla realtà dal basso sia venuta meno.
Appino: I primi concerti per la Palestina li ricordo negli anni ’90. Pensa quanto tempo è passato.
Ufo: Ho letto un saggio di Naomi Klein sul fascismo della fine dei tempi dove spiega in che modo le azioni o le opinioni delle masse diventano completamente irrilevanti, soffocate da una sorta di determinismo portato avanti da oligarchie che spinge il mondo ad andare in una certa direzione. È come se fossimo entrati in una fase pazzesca, dove non solo le masse ma anche i governi sono diventati impotenti. E le cose vanno avanti lo stesso…
Karim: C’è questo masso ineluttabile e invincibile che, nonostante tutto, continua a rotolare nella sua direzione senza tenere conto della questione umana. Benché non esista la perfezione, però, l’importante sarebbe non usare violenza. Altrimenti è davvero tutto finito.

Prima di salutarci è necessaria una confessione. Che male hanno fatto gli Zen Circus di cui si pentono?
Karim: Beh, due o tre canzoni brutte le abbiamo scritte. O no?
Ufo: Sì, dai. Qualche canzone di merda s’è fatta.
Appino: Ci scuserete: è stato lo scotto da pagare per averne fatta anche qualcuna bella.

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