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Gli Extraliscio a Sanremo 2021: «Portiamo al festival la nostra balera surreale»

'Bianca luce nera', che cantano con Davide Toffolo, ispirata a Silvana Mangano, la presunta positività al Covid-19, gli scherzi telefonici di Tony Renis, il senso del liscio. A tu per tu con Mirco Mariani

Foto: Manuel Palmieri

Un incontro fortuito è stato l’impulso iniziale per la nascita degli Extraliscio. A fare da trait d’union tra il musicista di lungo corso Mirco Mariani (uno che ha suonato con gente del calibro di Enrico Rava, Vinicio Capossela e Stefano Bollani, giusto per fare qualche nome) e Moreno il Biondo (clarinettista dell’Orchestra Casadei) è stata Riccarda Casadei, la figlia del più famoso Secondo. L’idea di base è reinventare e dare nuova linfa al liscio, la musica da balera, quella delle vecchie Feste dell’Unità che vedono, al centro della pista, le signore con i capelli viola e cotonati ballare col proprio compagno, in una danza ipnotica tra l’odore del friggione e quello dello gnocco fritto.

Il progetto si concretizza quando arriva Mauro Ferrara, la voce di Romagna mia. La formazione ottiene un immediato successo fatto di esibizioni nei locali più in voga. E un interesse che arriva fino a Elisabetta Sgarbi, fondatrice e direttrice della casa editrice La Nave di Teseo e del Festival Internazionale La Milanesiana, che decide di produrli. L’avventura della band punk da balera diventa sempre più grande, tanto che la formazione romagnola è anche protagonista del film Extraliscio – Punk da balera. Si ballerà finché entra la luce dell’alba, diretto dalla stessa Sgarbi e presentato a Venezia 77 durante le Giornate degli Autori.

Il gruppo è tra i big del Festival di Sanremo 2021 con il brano Bianca luce nera insieme a Davide Toffolo, il cantante dei Tre Allegri Ragazzi Morti. Il pezzo anticipa il disco È bello perdersi in uscita il 5 marzo. Mi collego con Mirco che è nella sua casa, in una stanza molto scenografica. Dietro di lui campeggiano, infatti, una serie di tastiere. Scopriremo in questa intervista di cosa si tratta.

Mirco partiamo da È bello perdersi, il brano che dà il titolo al disco: trovo sia un pezzo molto interessante.
La cosa bella di quel pezzo sai cos’è?

Cosa?
Che io vado a carbone, registro le cose ancora su una schedina audio, l’unica tecnologia che ho. Succede che si rompe questa schedina mentre stavo registrando le canzoni, perché per l’album ho scritto i pezzi e poi li ho subito registrati, una cosa mai successa. Insomma, mi ridanno la schedina dopo tre giorni e mi rimane una giornata per scrivere ancora qualche pezzo: l’indomani avremmo registrato il disco. Mi è venuto fuori in un giorno, così, veloce, È bello perdersi. Hai beccato la parte istintiva.

La trovo anche radiofonica. Non so che rapporto avete con le radio…
Non ci capisco niente di queste cose: sono a Sanremo perché, secondo me, hanno spinto il pulsante sbagliato. E siamo finiti al festival.

Ma com’è nata l’idea di partecipare?
Non è mai nata. Ho fatto delle canzoni durante il lockdown: una, GiraGiroGiraGi, è diventata la sigla del Giro d’Italia, altre due aprivano la Milanesiana, il festival di Elisabetta Sgarbi. Proprio lei intuisce qualcosa nel brano Bianca luce nera e mi chiede di arrangiarla, ma senza dirmi il motivo. Io lo faccio e, praticamente, mi dice che voleva provare a farla sentire ad Amadeus.

E tu?
Io non ci ho mai creduto. È un mondo che non conosco. Cioè, lo conosco perché lo guardo in tv, ma non ho neanche mai pensato di andarci, a Sanremo. Mai sai qual è la cosa bella?

Quale?
Che la canzone è arrangiata Extraliscio, per noi, con la nostra visione, senza aggiungere una sola nota per andare al Festival. E questa cosa rispecchia un po’ la nostra anima.

Con Elisabetta Sgarbi. Foto: Manuel Palmieri

Ho sentito il pezzo sanremese e mi sembra un po’ cupo. O sbaglio?
In quel momento lì, quando scrivi una canzone, non sei sempre uguale. Con il liscio si sta a galla nelle cose, perché vediamo sempre la parte bella, allegra, ballereccia. Magari sono uscite delle emozioni, durante il lockdown – anche se questa canzone non parla di pandemia – in cui si sono lasciate delle cose, che poi non si sono ritrovate più. E questo bianco diventa nero. Si tratta di un brano che riflette nello specchio, ma non fa sempre vedere immagini reali, sono trasformate. Ed è veramente punk.

Come mai?
Sono partito dall’idea della canzone El Negro Zumbón, un bajon che cantava Silvana Mangano nel film Anna. Ho messo il pianoforte tipo Talk Talk e poi, da lì, siamo andati nella nostra balera surreale. Ed è venuto fuori questo disegno, come succede spesso con le nostre composizioni.

Com’è avvenuta la chiamata?
Ero qui, ha squillato il telefono e, dall’altra parte ho sentito «Sono Amadeus!».

Inaspettato eh?
Devo dire la verità, ho tanti difetti, ma un intuito abbastanza forte. Entro in empatia con le persone. Quando abbiamo fatto ascoltare la canzone ad Amadeus, a Roma, vedevo che mi guardava dritto negli occhi. E l’ha voluta ascoltare subito un’altra volta. Ho detto alla Sgarbi: «Betty, non voglio dire niente, ma mi sembra ci sia una vibrazione buona». Non avrei mai pensato fosse vero quello che dicevo.

Ma dimmi com’è stata questa telefonata con Amadeus.
Gli ho detto: «Amadeus, sei sicuro? Perché io sono sicuro di non sapere scrivere le canzoni per Sanremo». Lui mi ha risposto: «L’hai scritta. Ed è anche molto bella». Quando ti dice così, che fai? Ci credi e ti emozioni un attimo. Non ho fatto certo come Mauro Ferrara.

Perché che ha fatto?
È andato al cimitero a piangere davanti alla tomba di suo babbo e di sua mamma.

Ma dai…
Sì, perché lui faceva il saldatore e i suoi genitori – sua mamma soprattutto – l’hanno sempre spinto a fare il cantante. Pensa cosa significa andare a Sanremo per lui, interprete di liscio che ha inciso Romagna mia, e ha come idoli Massimo Ranieri, Domenico Modugno e Claudio Villa. Ha fatto un video in cui parla con i suoi per aver realizzato un sogno inaspettato. È lo specchio di questa esperienza: musicale, ma molto più umana e sociale.

Mi spieghi meglio?
Ho sempre fatto il musicista, vivo con la musica da tanti anni, ma non sono mai riuscito a scavalcare questo recinto. Quando eravamo ragazzini facemmo anche una strafactory per imitare Andy Warhol, ma volevamo strafare, da qui strafactory. C’era il desiderio di diventare famosi, fare successo, ma qui non c’è niente di tutto questo.

E cosa c’è?
Gente che ha dato la vita per far ballare, per divertire, per emozionare. Che, magari, si è esibita sotto neon bianchi e tendoni, con la puzza di piadina fritta. Robe che io, dopo cinque minuti, vado in depressione e scappo. Non lo potrei mai fare.

Perché?
Non sono snob, ma ci vuole una preparazione, una tenuta di mente eccezionale. Loro sono i lavoratori della musica, lo chiamano “il mestiere”. È la loro vita, la loro passione, con la musica hanno comprato la casa, mantenuto la famiglia, non avevano in mente il successo.

Quindi andare a Sanremo con un prodotto così, significa essere davvero punk.
Ci abbiamo scherzato sopra perché nessuno di noi è veramente punk, ma era un modo per rinnovare questa musica. Però ti posso dire che, alla fine, siamo veramente punk.

Anche perché, in pratica, i tuoi compari sul palco dell’Ariston sono i cantanti da Festa dell’Unità…
Sì. E tu conta che, per fare questo disco, mi sono inventato il Mariano Orchestrone: sei strumenti (le famose tastiere che facevano da sfondo, ndr) che riesco a suonare contemporaneamente, in tempo reale, da solo, con i pedali del volume. È una specie di pianobar, di orchestra live.

Perché Mariano Orchestrone? Tu di cognome fai Mariani…
Volevo fare arrangiare questo disco a Detto Mariano, un grandissimo arrangiatore, quello di Prisencolinensinainciusol di Celentano. Un gigante che è morto, all’improvviso, con la prima ondata di Covid-19. Mi è rimasta la voglia di fare questo progetto come se fosse live, come si faceva una volta.

Perché?
La musica è come la gente, se la pettini troppo vuol dire che devi mascherare qualcosa. Invece, se prendi una canzone scritta e poi registrata, si crea vita, si crea verità. Perché il liscio è così. Quello di cui parlano adesso, nelle balere, è un liscio deviato, alla deriva, con il karaoke e i balli di gruppo. Le orchestre che fanno ancora unicamente liscio sono pochissime.

E quali sono?
Mauro Ferrara, Fiorenzo Tassinari e Moreno il Biondo sono quelli che, il liscio, continuano a farlo veramente. Però devono anche un pochino imbruttirsi per poter lavorare, per stare in piedi con un’orchestra così grande. Ho cercato di fare questa cosa qua che rappresenta un omaggio a Detto Mariano, musicista immenso che se n’è andato. Magari non ne ha parlato nessuno, ma ha fatto la storia della musica italiana.

Ma gli hai mai parlato?
Gli ho detto che avevo il sogno di un disco come una volta, in uno studio grande, con l’orchestra. E che avrei voluto lui a dirigere, come faceva con Celentano, Battisti e tutti questi qua.

E lui?
Mi fa: «Sì, sì, bene. Ma io non faccio più dischi. Ho fatto solo una canzone un anno fa, per la Russia, perché mi hanno dato una cifra esorbitante. E soprattutto, sai cosa c’è? Che il liscio mi fa veramente schifo».

Ma come?
Lui aveva una casa a Cervia, stava componendo la colonna sonora del film Il ragazzo di campagna, quello con Renato Pozzetto. Era entrato in vena, aveva trovato le melodie giuste, ma fuori c’era un’orchestra che suonava il liscio. Ha chiuso tutto, le tapparelle, ma questa musica entrava lo stesso e lui non ne poteva più. Se avesse avuto una pistola sarebbe uscito e avrebbe sparato al clarinetto.

Insomma, lo hai convinto alla fine?
Ci siamo sentiti due o tre volte, perché s’era incuriosito. Mi ha ribadito il concetto che non voleva fare più dischi, ma mi ha detto che, se avesse dovuto farne uno, sarebbe stato di liscio.

Be’, una bella soddisfazione come quella di andare al festival. Cosa vi aspettate?
Non voglio fare il fighetto, ma abbiamo già vinto. Questo, per noi, è un regalo inaspettato. Ma ti rendi conto? Poi è vero che uno, quando ha la bicicletta vuole il motorino, quando ha il motorino vuole l’aeroplano. È naturale. Però abbiamo una bella bicicletta e, in discesa, va anche se non pedali.

E in salita?
Con calma ce la faremo. Però è la prima volta che una musica così va sul palco più importante d’Italia. Che devo dirti? Non lo nego, ci sentiamo abbastanza unici. Siamo fuori moda, ma unici e, per questa cosa qua, può succedere di tutto. Ci saranno persone che intuiranno qualcosa in noi e chi dirà «Ma cos’è ‘sta roba qua?». Però se mettono il premio bellezza lo vinciamo sicuro.

Quando avete saputo della presunta positività di Moreno il Biondo che è successo?
Ci hanno fatto uscire subito fuori. Ho visto Moreno prendere il clarinetto – che dopo sua moglie e le sue figlie è l’elemento più importante della sua vita – per buttarlo contro la strada. Poi ci ha ripensato e lo ha sbattuto addosso a una vetrina. Era distrutto. Perché con una cosa del genere ti vedi già fuori. Mauro lo guardava, cercava di dirgli qualcosa, ma non ce la faceva.

Che è successo dopo?
La mattina seguente Moreno, prima di fare il tampone molecolare, ne fa uno rapido e torna negativo. Chiamo subito i miei amici dottori che mi tranquillizzano. Infatti il molecolare è risultato negativo. Però è stato un momento duro.

E tu? Come hai reagito?
È venuto fuori il mio carattere contadino. Sono fatalista, in ogni caso era stato bello uguale, ma se vedevi la faccia di Moreno…

Amadeus ha detto qualcosa per consolarvi?
Ha fatto una bellissima dichiarazione a Radio2 Social Club sottolineando che c’era tempo per poter riprendere. Abbiamo fatto una prova in meno e, quando prendi parte a una manifestazione così grande, non sarebbe stato male farne una in più…

Ma c’avete il mestiere.
Infatti non ci fanno paura ‘ste cose.

Il disco È bello perdersi ha un sacco di influenze e alcune mi ha ricordato composizioni di Yann Tiersen ai tempi del Favoloso mondo di Amélie. Che dici?
È un musicista che conosco pochissimo, ma so che sguazza nel mio stesso stagno di pesciolini fatto di manopole, nastri e dischi che girano. So che lui va a prendere da lì. Diciamo che, alla base, c’è la stessa impronta sonora. Poi lui andrà per un canale e io per un altro.

Nell’album ci sono pure brani della tradizione romagnola.
Nel disco A ci sono tutti pezzi inediti cotti e mangiati, mentre il disco B è arlecchino con canzoni mie, sia strumentali che cantate, e classici della tradizione.

Mi ha colpito molto Mia cara gioventù.
Una canzone del 1966, di Secondo Casadei, che è uno shake. Per farti capire quanto già a quei tempi erano punk. Diciamocela chiara: non ci si inventa niente. Magari c’è chi fa un giro contrario per fregarti, ma non è facile saltar fuori con delle cose totalmente nuove.

Com’è venuto in mente, a Secondo Casadei, di fare uno shake?
Questi ritmi arrivavano dall’America, come il mambo e il cha cha. È una canzone bellissima che dà il senso alla nostra voglia di rinnovare un qualcosa che era già nuovo.

Dopo Sanremo, voi che vivete di live, che farete?
Visto che Elisabetta Sgarbi ci ha abituati a sognare, visto che siamo il gruppo più sconosciuto e più anziano del festival, speriamo che, con questo vaccino, le cose vadano verso la normalità: il mio desiderio sarebbe fare un tour nelle balere.

Bello.
Dove il pubblico, dal nipote alla mamma, fino alla nonna, sta insieme. Perché la musica è unione, è canto, ballo, divertimento e spensieratezza. E la balera come il teatro, come il cinema, come i luoghi dove ci si incontra, sono posti sacri. La balera è come il liscio, è in periferia, ma la gente va lì per ballare e vive di questa musica. Sarebbe bello portare l’aspirazione di far ripartire questo genere di musica anche nei confronti di chi, fino a ieri, ne parlava male.

Sanremo inizia già a dare i suoi frutti? È cambiato qualcosa?
Due giorni fa mi ha chiamato Tony Renis, che non conoscevo, e mi ha fatto uno scherzo telefonico.

Ah sì?
Mi ha detto: «Dimmi chi sono. Voglio vedere il tuo orecchio fin dove può arrivare». Non avrei mai pensato che mi potesse chiamare Tony Renis e, a un certo punto, gli ho detto: «Ma sei Guido?», perché mi sembrava un amico. Siamo andati avanti con ‘sto giochino per un po’ e poi si è svelato.

E che ti ha detto?
Mi fa: «Io sto con voi, perché fate la musica come si faceva una volta. Per me la musica deve nascere dalla pancia e voi la fate nascere dalla pancia». È una frase bellissima. La musica è come un bambino che cresce e nasce nella pancia. È da due giorni che ci messaggiamo in continuazione, non so cosa può essere successo con Renis. Gli ho fatto ascoltare le nostre cose e, quindi, abbiamo questo fan importantissimo. Cosa vuoi di più da Sanremo? Andiamo a far due salti, due capriole.

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