Gianluca Grignani: «I numeri della musica sono gonfiati, ma nessuno dice niente» | Rolling Stone Italia
La musica che gira intorno

Gianluca Grignani: «I numeri della musica sono gonfiati, ma nessuno dice niente»

Negli anni ’90 si è ribellato alla fabbrica di plastica della discografia e quindi capisce i più giovani che oggi si sentono fragili e si fermano. Alla vigilia del tour nei club dice la sua: i sold out finti, il successo effimero, il potere nelle mani di pochi, la salute mentale. «Aiutiamo questi ragazzi, la musica fatta così non ha futuro»

Gianluca Grignani: «I numeri della musica sono gonfiati, ma nessuno dice niente»

Gianluca Grignani

Foto: Ste Brovetto

«Scusa eh, non ce l’ho con te, è che sono arrabbiato». Gianluca Grignani si riscalda parlando di musica. Non la sua, ma quella che gira intorno, quella che c’è, quella che vorrebbe ci fosse. A 52 anni d’età, con trent’anni giusti giusti di carriera discografica alle spalle, sente che è il momento di parlare di certe cose: le storture del sistema, la salute mentale dei cantanti che ne escono stritolati, i numeri gonfiati, il potere decisionale nelle mani di pochi. Il risultato è che la musica italiana «è piena di casi, ma non di talenti».

Dice queste cose alla vigilia d’un tour nei club che s’intitola Residui di rock’n’roll proprio come (e questa è una notizia) il suo prossimo album. Il titolo mi pare un bel modo per dire che alla sua età qualcosa è rimasto dell’epoca scapigliata, lo spirito libero e indipendente, ma non gli stravizi peggiori. Ci sta che provi empatia per i ragazzi stritolati dal sistema: è stato uno di loro. Quando nessuno si sognava di parlare di salute mentale, lui veniva lanciato sull’ottovolante della fama e messo di fronte al plotone di esecuzione dei media (Internet non c’era, che fortuna), subendo anche l’ostilità della sua stessa etichetta discografica e di chi ne curava gli interessi. Non solo: era un ventenne a cui davano del drogato, del maledetto, del selvaggio. Ha patito anche lui, come tutti, anche se non lo dava a vedere.

Di paternalisti e vecchi saggi magari un po’ tromboni non c’è alcun bisogno. Lui è più uno scapestrato di mezza età che sa due o tre cose su come gira il mondo della musica perché le ha vissute. È diventato negli ultimi anni amico di cantanti più giovani di lui che lo stimano anche perché è «passato dalle gambe del diavolo», come ama dire lui. Si sente finalmente compreso e quindi nella posizione di dire la sua. I residui di rock’n’roll non sono solo nocivi alla salute, c’è anche del buonsenso.

«A Sanremo» dice subito «ho sentito molti ragazzi lamentarsi perché faticano a sopportare il meccanismo della discografia dal quale vengono fagocitati. Li comprendo, perché vengono presi giovanissimi, buttati in questo ingranaggio, tritati e ritritati. Era ovvio che prima e poi questo problema sarebbe venuto fuori. Però mi chiedo: e quando è successo a me? Sono stato zitto, ma è ora di parlare. Quando sono uscito io, sono stato bistrattato. Sai quali danni puoi fare a un ragazzo di 20 anni dicendogli che è un maledetto? È una cosa che mi sono portato dietro per anni. E non è una cosa normale. Ora basta, è arrivato il momento che qualcuno dica certe cose. È il momento che la musica si faccia un esame di coscienza».

Di sicuro il mondo della musica è cambiato radicalmente da quando hai cominciato tu nel 1994.
È cambiato sì, ma in peggio. Se un tempo mi riconoscevo poco nel sistema-musica, oggi per niente. Un tempo firmavi un contratto per tre, quattro dischi, dovevi andare in pari rispetto all’investimento che veniva fatto, ma avevi il tempo e la possibilità di fare qualcosa, di costruirti un’identità, di provare il talento che avevi, se ce l’avevi. Oggi vieni preso e usato ancor più di quanto sono stato usato io. Il risultato è che oggi i cantanti alla fine manco sanno chi sono.

Oggi la fabbrica di plastica è basata sui numeri, sono lì, esposti, magnificati, misura spietata e istantanea di tutto: numero di stream, numero di biglietti staccati, numero di dischi d’oro. Sono la misura del successo.
Ma è una misura effimera e fasulla. È effimera perché il talento di un artista non lo vedi da un singolo che 100 mila ragazzini sentono a ripetizione su TikTok, diventando un caso. Il risultato di questo sistema è che siamo pieni di casi, ma non di talenti. Nell’arco di tot dischi e tot canzoni abbiamo capito il valore di, faccio un nome a caso, Francesco De Gregori. E oggi?

Aspetta però, non è cambiata solo la discografia, è cambiato il mondo. De Gregori, De André o chi vuoi tu erano figli del loro tempo, delle suggestioni che ricevevano, della loro cultura.
Io invece credo che dietro ci sia anzitutto il menefreghismo totale delle case discografiche nei confronti degli artisti, che vengono glorificati e poi massacrati. L’arte fagocitata in questo modo non diventa cultura, ma qualcosa di distruttivo. Per non dire di quanto vengono pagati gli streaming. Quanto prendo non te lo so dire nemmeno io che ho quattro milioni e mezzo di ascoltatori mensili su Spotify senza avere fuori un disco. E non lo dico per me, io guadagno lo stesso anche senza streaming. E guarda che non ho nulla contro questa generazione di ragazzi che fanno musica, anzi, vorrei che il sistema li aiutasse a esprimersi. Ma che stimolo può avere un ragazzo se sa che l’unica cosa che va al momento sono le canzoni fatte, rifatte e replicate secondo un certo modello? Le cose devono cambiare. Gettare fumo negli occhi non aiuta i ragazzi, aiuta solo le persone che stanno sopra di loro.

Foto: Ste Brovetto

A proposito di gettare fumo negli occhi, dicevi che i numeri sono anche una misura fasulla.
È fasulla perché non li puoi verificare quei numeri, non sai quali sono veri. Sono gonfiati, ma nessuno dice niente. Lo dico io, perché non ho paura. Potrei anch’io far finta di fare lo stadio, come fanno in tanti.

Ovvero svendendo i biglietti a 5 euro pur di fare il pienone e distribuendoli gratis a questa o quella categoria, com’è successo.
Funziona così. Ma quando uno arriva a farlo non è più un artista o forse semplicemente non è un artista al livello che dico io…

Dici che l’artista lo sa quando succedono certe cose?
Lo sa sempre, te lo assicuro. Un artista si può disinteressare di tante altre cose, ma non dei numeri dei concerti, perché suonare davanti a 100 o a 100 mila persone non è la stessa cosa. Non voglio dare colpa all’artista, che viene usato. Dico che chi ha una certa carriera potrebbe esprimersi su quel che succede, eppure non lo fa. In questo sistema, e lo dico sapendo che questa cosa mi si ritorcerà contro, programmi televisivi ed eventi vengono affidati a una sola agenzia, che chiama ovviamente solo i suoi artisti. Che cos’è questo? È monopolio. Io per un’agenzia così non ci lavorerei, ma posso permettermelo perché ho 52 anni, sono passato dalle gambe del diavolo, ora finalmente la gente mi riconosce del valore, sono stato fortunato o bravo. E non dico queste cose perché voglio oggi quello che ieri non ho avuto. Vorrei semplicemente che gli artisti fossero messi nelle condizioni di dimostrare quanto valgono veramente, e senza contratti capestro. I numeri che fanno non sono frutto della loro arte, ma di un sistema che prende, gonfia e poi getta via. Oggi i cantanti sono pesci piccoli che vengono gonfiati come balene per poi ritrovarsi di nuovo ad essere pesciolini e finire psicologicamente a terra. Guarda quello che è accaduto a me, che io sia ancora qua vivo è un miracolo.

Addirittura?
Sono stato lasciato solo, nessuno mi ha accompagnato nel mio percorso e ti assicuro che un artista ha paura di essere tale, perché è pieno di dubbi e deve avere qualcuno che lo aiuta a comprenderlo. E se non c’è, devi arrangiarti da solo, come ho fatto io. Dopo Destinazione paradiso hanno cominciato a dire che ero un maledetto, persino che ero morto di overdose. Avevo 20 anni, a consigliarmi non avevo né padre, né madre, nessuno. Quindi sì, se non sono morto come un tossico per strada è un miracolo. Molte delle mie scelte seguenti sono dipese probabilmente anche dal peso di questa cosa. Se lo dico adesso è perché quelle scelte me le sono messe alle spalle.

Un tempo non c’era una coscienza condivisa circa l’importanza della salute mentale.
Cerca le mie vecchie dichiarazioni, troverai che io l’ho sempre detto che, dato com’è il sistema, sarebbe stato un problema per i ragazzi che facevano musica e oggi stiamo vedendo il risultato. Io ci sono passato attraverso, la gente mi dava del drogato senza chiedersi che cosa provassi io o più di recente che cosa provassero i miei quattro figli adolescenti leggendo certe cose sui social, che sono un Far West.

Come ci si sente a stare dentro questo meccanismo? Pensando poi che oggi passa tutto dalla rete, comprese crudeltà, pressioni, offese.
Non so dirti cosa succede nella testa degli artisti giovani che ci sono dentro oggi. Forse quelli che stanno peggio sono i veri artisti, quelli che vorrebbero dire qualcos’altro rispetto alla musica che fanno. Nel mio caso, è stato doloroso. La mia risposta, ovvero tutto quello che ho fatto e suonato è stata la mia personale forma di marketing, che non è certo quella di oggi. Uno psicoterapeuta mi ha detto che la mia grande fortuna è che non sono stato influenzato dal successo, ma non vale per tutti, ognuno è diverso. Il successo ti fa sentire qualcuno e oggi tutti pensano di poterlo ottenere facilmente, ma tornare giù non è mica semplice.

Hai consigli da dare a questi ragazzi?
Non ho consigli, sono solo preoccupato per come vanno le cose, il marketing sta distruggendo i ragazzi. Se non cambia qualcosa, la musica è destinata a prosciugarsi. Si dice che con la rete gli artisti parlano direttamente alla gente, al popolo, ma non è così, ci sono tanti di quegli intermediari che non si vedono e che agiscono senza che la legge ne regoli il comportamento. Finché sarà così, saremo nel Medioevo. La fabbrica di plastica è diventata ancora più grande. Ma la sentite la musica che viene fuori? È sempre la stessa. È musica che non ha futuro, come cantava Fossati.

Foto: Ste Brovetto

Non è che dici queste cose perché non hai più il successo d’una volta? Non è cioè lo sfogo di uno che è fuori dal sistema, fuori dal tempo?
Lo dico non perché sono fuori dal tempo, ma perché so come mi vedono questi ragazzi. «Sei una leggenda», mi dicono. A me fa ridere, ma qualcosa vuol dire. Le case discografiche mi stanno cercando, anche se non ho ancora firmato con nessuno. E quindi non lo dico per recriminare, ma perché sono preoccupato. Se l’avessi detto qualche anno fa mi avrebbero massacrato. Dici che è una questioni di numeri? Io credo di avere dei grandi numeri, di avere creato qualcosa che altri non hanno creato, di dovere dare ancora tanto, e non mi preoccupa stare fuori da un sistema. Per restare Gianluca Grignani non mi sono mai infilato in quel tipo di agenzia, in quei meccanismi, in quei giochi. Anzi, non solo non mi ci sono mai infilato, ma loro mi hanno sempre tenuto fuori, questa è la verità. Tutto quello che ho fatto viene dalla capacità di restare a galla ed essere me stesso. Se qualcuno ha dei dubbi, lo invito a vedere che cosa succederà col tour.

Ecco, con questo tour che si chiama Residui di rock’n’roll parti dai club.
Ho scelto di fare le cose in modo differente rispetto al sistema del live di oggi di cui stavamo parlando. Potrei osare di più e magari le persone se lo aspettano. E invece voglio che la gente cominci a vedermi nei club e poi vedremo cosa succede, ma non importa se alla fine farò o non farò uno stadio, è semplicemente il modo giusto di fare le cose. L’importante è che le persone siano sicure che quello che viene detto loro sia vero. E quindi faccio le cose in controtendenza, invertendo i tempi, è il mio modo particolare di fare marketing oggi: prima i concerti, poi un nuovo libro che uscirà prima dell’estate e infine un disco che, lo dico qui per la prima volta, si intitolerà Residui di rock’n’roll. Non posso dire ancora quando uscirà, se non che è la prima parte della trilogia Verde smeraldo di cui parlo da tempo. Non ho deciso se Residui di rock’n’roll sarà il titolo e Verde smeraldo 1 il sottotitolo o viceversa.

Che concerti saranno?
La scaletta sarà diversa da quella degli ultimi live e, chi lo sa, potrei suonare anche qualche canzone da Residui di rock’n’roll. Faremo fuoco e fiamme nel verso senso della parola: al mio chitarrista Salvatore Cafiero, che è matto, è venuta un’idea e gli ho detto facciamolo, ci sarà del fuoco vero. Ma la cosa importante è che con me ci sono musicisti che non salgono sul palco se non suonano bene. E non suonano col click. Suonerò tanto perché in questi anni ho studiato tanto la chitarra elettrica. È un concerto in cui mi metto in gioco, ma non posso dirti come sarà esattamente: sarà una storia ogni sera un po’ diversa. Venite a vedermi. Io ci sono, sono pronto.

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