Ghemon ha capito che la vita è come la Parigi-Dakar | Rolling Stone Italia
Interviste Musica

Ghemon ha capito che la vita è come la Parigi-Dakar

Nel singolo 'Questioni di principio' il cantautore racconta i suoi alti e bassi e dimostra che non bisogna rifugiarsi nel malessere per scrivere cose belle. «Se ogni cosa che vivo la mettessi sui social farei un disco di merda»

Ghemon ha capito che la vita è come la Parigi-Dakar

Ghemon. Foto di Jacopo Ardolino

È uscito ieri Questioni di principio, il nuovo singolo di Ghemon. Arrivata dopo un periodo di silenzio discografico, la canzone anticipa il nuovo disco in uscita a marzo. E proprio nel silenzio Ghemon ha ricaricato le batterie per scrivere e produrre i nuovi brani e per tornare sulle scene dopo Rose viola e la partecipazione al Festival di Sanremo 2019. Per lui un palco inedito, arrivato dopo anni di lavoro e di trasformazioni. Con il nuovo pezzo, che ha un testo che racconta senza troppi giri di parole la difficoltà e l’importanza di poter scegliere chi essere, si apre la nuova fase che ci siamo fatti raccontare.

Questioni di principio è una presa di coscienza chiarissima. Nel testo leggo tanta fatica, quella che serve per vivere bene, per migliorarsi.
È un pezzo a cui tengo molto, scelgo sempre accuratamente i primi estratti dai miei album, rinunciando magari a singoli che potrebbero essere più radiofonici. In questo ultimo periodo ho capito che la vita è come una Parigi-Dakar: non è tutta in pianura, non è tutta in salita e neanche tutta in discesa. Ci sono i periodi, ed è faticoso fare su e giù. Ma ho maturato la coscienza di dire: «sono succube di quello che dicono gli altri?». Se li ascolto non sono io, se non li ascolto sono egocentrico. Il senso del pezzo è capire il potere delle scelte, di dire no quando ci va. Non è una cosa facile.

Per niente. Credo che sia una delle cose più difficili da capire, c’è gente che impiega anni di terapia.
È un concetto che viene da tante sedute del genere. Il passaggio a questo disco è avvenuto anche grazie quello che ho imparato in terapia e che sto applicando.

Nel testo dici: «È la folle idea che il dolore sia quasi un mio comfort. È un banale cliché». Per te o per gli altri?
Entrambi. In maniera diversa. Mi hanno giudicato in passato anche come uno malinconico e basta, ma è arrivato il momento in cui ho capito che, appunto, nella vita ci sono tanti momenti diversi. Quando ho pubblicato Mezzanotte mi dicevano: «Stai attento a parlare troppo dello stare male, dei tuoi disturbi. Potresti rimanerci intrappolato». Un po’ come l’attore che ha interpretato Luke Skywalker. Questo è un cliché. Non mi vado a rifugiare nel malessere per scrivere cose belle, ci sono tanti altri momenti in cui posso fare riflessioni altrettanto intense.

In un video che hai pubblicato su Instagram hai detto che hai scelto di raccontare la tua vita in un disco e non sui social, dove ci sono persone che hanno sempre qualcosa da festeggiare, dischi d’oro, sold out, vacanze. Nella logica dei social media non è facile fare un passo indietro.
È una faticaccia, soprattutto per una questione di ego. Guardavo le persone che avevo davanti, andavano spedite, facevano cose belle che raccontavano ogni giorno. Io registravo il disco, completamente sotterrato dalle informazioni. Ti poni domande tipo: «La gente si dimenticherà di me? Devo intervenire? Far vedere che esisto?». È un equilibrio difficile, ma non ne conosco un altro. Se ogni cosa che vivo la mettessi sui social probabilmente farei un disco di merda. Non saprei raccontare chi sono, le cose che mi sono capitate.

Cosa ci sarà nel nuovo album, Scritto nelle stelle, in uscita a marzo? Dopo Mezzanotte l’aspettativa è alta.
È il disco della vita dopo. Non è un disco felice, non è un disco triste. È il disco di un’altra vita. Con tutta la sua normalità, con le cose belle e quelle brutte. La sfida grande era raccontare la vita di tutti i giorni e quello che continuo a desiderare: essere vario. Volevo avere una tavolozza di colori da poter scegliere.

Un anno fa eri a Sanremo con Rose viola. Ti sei classificato 12esimo, esattamente a metà. Il pezzo però ha girato parecchio e probabilmente ti ha aiutato a farti conoscere da molte persone in più. Dopo un anno cosa ti è rimasto di quell’esperienza? La rifaresti?
Rifarei Sanremo cento volte. Come l’ho fatto l’anno scorso, con un pezzo mio al 100%. Per me è stato coraggioso, fino a cinque anni fa non ero neanche considerato un cantante, né da me, né dagli altri. Ho portato me stesso su quel palco. È stata una settimana bellissima, avevo appena cominciato con la mia nuova etichetta. La gavetta mi ha aiutato a gestire quei giorni pienissimi con gioia. Ero felice, non capita mai di avere una così grande attenzione su se stessi. Dopo un anno ho capito che la posizione del pezzo in classifica conta poco. Rose viola è andato bene, non posso che essere felice.

Quest’anno guarderai il Festival?
Certo, poi ci sono alcuni amici che sono curioso di sentire tipo Diodato e Levante. Lo guarderò sicuramente.

Tutte le serate?
Ecco, magari non proprio tutte. Ma lo vedrò.

Queste le date del tour 2020:

03 04 // Napoli // Common Ground
04 04 // Roma // Orion
10 04 // Firenze //Flog
11 04 // Bari // Demodè
17 04 // Treviso // New Age
18 04 // Brescia // Latteria Molloy
24 04 // Bologna // Estragon
29 04 // Torino // Hiroshima
30 04 // Milano // Alcatraz

Altre notizie su:  Ghemon