Intervista a Ghali: «Prima mi buttavano fuori, ora i locali mi pagano» | Rolling Stone Italia
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Ghali: «Prima mi buttavano fuori, ora i locali mi pagano»

Il suo ‘Album’ è pieno di politica nonostante lui voti "Boh..": abbiamo incontrato l'artista-imprenditore che sogna collaborazionI con Jovanotti, Stromae e Manu Chao

Ghali assieme alla sua crew nelle strade di Milano. Nelle foto scarpe adidas Originals NMD. Foto di Alvise Guagnino, We Are Social

Ghali assieme alla sua crew nelle strade di Milano. Nelle foto scarpe adidas Originals NMD. Foto di Alvise Guagnino, We Are Social

Ghali viene a trovarci in redazione a pochi giorni dall’uscita del suo primo album. Karma e Coolness sono sempre le due bodyguard del nuovo ragazzo d’oro del pop rap. Seduti a un tavolo, il nostro sfoglia l’ultimo numero di Rolling, quello con in cover Fabri Fibra. Legge ad alta voce lo strillo – “Sono il rapper più odiato dai rapper” – e mi chiede che vuol dire. Gli leggo come continua il discorso nell’intervista a Fabri: “Il rapper italiano è una bruttissima persona, vive nell’ombra di quelli americani, è come il ragazzino che nel campo da calcio vuole imitare Messi. Poi esce dal campo e dice: ‘Sembravo Messi, eh?’. Ma tu non devi essere Messi, devi essere te stesso!”.

Scarpe: adidas Originals NMD. Foto di Alvise Guagnino, Wearesocial

Che ne pensi? Ha ragione Fabri Fibra?
Sì. Però ora questa cosa si è spezzata, i rapper vogliono essere se stessi.

Da cosa lo noti?
Dall’originalità di stile della scena. È una consapevolezza nuova delle proprie capacità, ognuno di noi sa che ha da raccontare qualcosa e che può essere di esempio per gli altri.

Roberto Saviano ha appena fatto su Facebook un post in cui dice: “Ghali è uno dei maggiori poeti di lingua italiana, un poeta rap… Mentre le polemiche sulle Ong, permeate di razzismo ottuso, occupano le news, l’Italia si sta trasformando e i suoi cantanti rap raccontano la realtà in maniera assai più approfondita e complessa dei suoi politici, giornalisti, commentatori”.
Non lo conosco personalmente – conosco quello che fa – ma è stato un grande, bellissime parole.

Cosa conosci del suo lavoro?
Evitiamo di parlarne.

Perché?
Non parlo di politica…

Già, c’è un brano del tuo disco, Ricchi Dentro, in cui dici “Voto Boh”…
Non mi interessa la politica, non ne parlo neanche con i miei amici, a parte qualche volta.

Però hai parlato di consapevolezza… Dovresti sapere quanto quello che fai è politico, no?
L’unica nostra politica è la musica. (Segue un lungo silenzio, un filo di imbarazzo sotto un sottile nuovo strato di diffidenza, a questo punto reciproca, nda).

Parliamo del tuo disco. C’è un pezzo, Lacrime, che inizia con un pianto. È il tuo?
Sì, è un pezzo teatrale, quasi burlesque. La prima strofa la dedico a un mio figlio immaginario, dico: “Questo pezzo è per te che arriverai da un giorno all’altro, l’avrò già messo nell’album, l’avrò già suonato sul palco”. Cerco di consolarlo in una giornata triste. La seconda strofa è dedicata a me che, nonostante abbia realizzato il mio sogno, ho dovuto rinunciare a molte libertà. Comunque, anche in questo caso, niente “lacrimucce”. La terza e ultima strofa è per una donna che ho dovuto lasciare, dico che tutto andrà bene, non piangiamo, ché la speranza è un passepartout per la felicità.

In tutto il disco sei molto “figlio”. All’improvviso in Lacrime c’è un cambio di prospettiva. È stato difficile immaginarsi padre?
Tutti ci pensiamo a diventare padre.

Dici? Dei ragazzi della tua età non so in quanti abbiamo questo pensiero, già raro tra i miei coetanei quarantenni…
È una cosa che può capitare quando meno te lo aspetti.

Siamo nel 2017, se non vuoi non capita.
Non è che se non vuoi una cosa, allora non capiterà. Quando succede, succede.

C’è una canzone d’amore, Habibi, la cui cifra è la dolcezza, in contrapposizione alla ruvidezza spesso dominante sul tema nell’hip hop…
È sincero, ho ammesso a cuore aperto molte cose in questo album. È autobiografico, racconta quello che mi sta attorno.

Tipo?
Ora d’aria è un brano di denuncia.

E poi mi dici che non parli di politica! Lì canti “o siamo terroristi o siamo parassiti”…
Appunto, ascolta la canzone. Non c’è bisogno di parlarne.

Nel video di Happy Days, girato in Sudafrica, c’è la sensazione del salto, del voler abbandonare il vecchio Ghali from Baggio, Milano.
È un’evoluzione, un video girato con regista e attori locali, i ballerini sono quelli di One Dance di Drake. Non capisco perché ti faccia strano che io faccia un video così.

Boh, forse perché di solito, quando i musicisti italiani girano video all’estero, sembrano dei turisti. Andiamo avanti. Hai fatto uscire un video di ringraziamenti. Ci sono un sacco di nomi, pochi musicisti (Sfera, Izi, Rkomi e Tedua) e molte dediche: una è per tua madre: “Questo disco è la mia laurea”…
Quale madre non desidera che suo figlio si laurei? Io ho avuto la fortuna di scoprire e coltivare una passione, molti miei coetanei non sanno cosa vogliono e rimangono immobili.

Hai anche talento, cosa che non tutti hanno, pur sapendo cosa desiderare.
Il mio è un talento che nasce da una frustrazione, l’ho scoperto tornando a casa da scuola arrabbiato perché ero stato bullizzato. Ho preso un foglio e ho iniziato a scrivere.

Sempre nei ringraziamenti dici: “Perdono mio padre, il cancro e il diabete”.
Di mio padre ne abbiamo parlato l’altra volta (Rolling Stone, novembre 2016, ndr). Mia madre si era ammalata di cancro, è stato un momento terribile, per fortuna con un lieto fine.

Torna spesso nel disco il tema dell’essere lasciato fuori dai locali, perché non ti facevano entrare. È quasi un tormentone.
Mi rode un sacco. Chi era quella gente per dirmi di non entrare?

Dei cretini?
Ho conosciuto anche buttafuori gentili. Solo che avevamo questa energia da ragazzi di periferia per cui erano sicuri che avremmo fatto casino. E io dovevo ingoiare, sognando il giorno in cui mi avrebbero pagato per stare nei club e avrei potuto decidere io chi fare entrare e chi no, vestito come gli pare.

Quel giorno sembrerebbe arrivato, la festa la fai tu con la tua musica. Questo album mi sembra ok per un party…
Sì, un party riflessivo.

Riflessivo perché affronti temi autobiografici. Hai un grosso seguito tra i ragazzini, senti la responsabilità di quello che canti quando lo scrivi? (Gli mostro un video di mia figlia, 3 anni, che mangiando un gelato canticchia “Buono sa di mango, mango”, ovvero quello che dice Ghali in “Ninna Nanna” anche se lui non si riferiva a un gusto da gelateria, ma alla ganjia, nda).
Sì, ma non mi censuro mai, trovo solo il modo migliore per dirlo.

A che argomenti presti più attenzione?
Alla guerra, al razzismo. Cerco sempre un modo divertente per raccontarle, sdrammatizzando. Ma il messaggio alla fine arriva.

La copertina è un’opera di Ozmo rivisitata con elementi scelti da te. A quali sei più legato?
Al Duomo di Milano. Tutti rappresentano qualcosa per me, ci sono le contraddizioni da cui nasco, c’è l’abete e c’è la palma.

Ti piacciono le palme in Duomo?
Un sacco. L’avevo predetto in un mio pezzo, Cazzo Mene (una vera hit, nda): “Pianterò palme nel mio vicolo”.

L’album è pieno di influenze musicali diverse, c’è il reggae, c’è il pop, c’è addirittura un pezzo latineggiante come Vida.
Io e Charlie Charles, che ha prodotto tutti e 12 i pezzi, ci siamo chiusi in studio per un sacco di tempo. C’erano giorni in cui non registravamo neanche, passavamo il tempo su YouTube, lasciandoci ispirare da pezzi arabi anni ’70, dal baile funk, da Cesária Évora… È un disco “suonato”, con i mezzi che ci potevamo permettere (una tastiera e sequencer), senza una vera band.

Un solo produttore e neanche un featuring. Molto ambizioso per un disco hip hop.
Questo è il disco di Ghali. Deve essere pulito. È il mio biglietto da visita per il futuro.

Con chi ti piacerebbe collaborare?
Sogno una figata, un pezzo Jovanotti, Stromae, Manu Chao e io.

Manu Chao credo che i tuoi coetanei non sappiano neanche chi sia.
Forse lo conoscono per qualche pubblicità. Lui mi ha ispirato tantissimo, tutto il mondo per Manu Chao parla una lingua sola.

Senti, siamo quasi alla fine. Voglio essere sincero. Si percepisce una sorta di diffidenza verso il tuo interlocutore, io nel caso specifico.
Diciamo che non mi divertono le interviste. Mi spiego meglio con la musica.

Potresti farne a meno. Anzi già lo fai, usi i tuoi canali, i social e YouTube, sbattendotene abbastanza dei media tradizionali.
Possiamo fare tutto da soli! Se uso i miei canali, ho la percezione reale del mio feedback, dei miei fan.

Farai una festa per l’uscita del disco?
Festeggiare? Non c’è tempo.

Eh? Non te lo vuoi godere questo successo?
È questione di ambizione. In realtà non c’è niente da festeggiare, voglio solo migliorare sempre di più. Bisogna rimanere schisci e avere quella fame che ti porta a cercare di migliorare.

Mah, non è più divertente esagerare un po’, almeno ogni tanto?
Sì, ma non è da imprenditori.

Adesso tu saresti un imprenditore? Pensavo fossi un artista…
Sono un artista del 2017, quindi anche imprenditore. E non vengo dall’hip hop, non sono un anarchico figlio di ricchi.

Gira voce nell’ambiente musicale che ci sia qualcuno che ti scrive i testi.
Magari, ma non è così. Non sarebbe un disco autobiografico se mi avesse scritto le canzoni qualcun altro.

Siamo alla fine. Sei sempre così riflessivo e tranquillo? Non sbrocchi mai?
Sono uno tranquillo, soprattutto sono molto timido.

Hai messo tranquillo pure me.
Grazie, lo prendo come un complimento.

Lo è.

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