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Ghali: «Tutta Italia mi conosce, ma voglio tornare a vivere le emozioni degli esordi»

Abbiamo intervistato il rapper (che sta registrando un nuovo disco) per farci raccontare la sua vita da produttore dell’album ‘No Regular Music’ di Sadturs e Kiid: «È una rivoluzione, mi ricorda ciò che ho passato con Charlie Charles»

Foto: press

La sensazione, chiacchierando da giornalista con Ghali, è che io gli stia facendo perdere tempo. Ma lui è troppo gentile ed educato per farmelo notare. È sempre proiettato in avanti, a quello che verrà dopo, che è nella sua testa e deve essere ancora realizzato: un viaggio, un film, un disco, suo o di altri artisti, come nel caso di No Regular Music dei giovanissimi Sadturs e Kiid che Ghali ha prodotto da poco ed è la ragione del nostro incontro. Ci troviamo in una sala di registrazione – sì, sta lavorando al nuovo album! – del Moysa, la navicella spaziale dei rapper milanesi pronti al lancio sul pianeta dei palazzetti sold out e dei milioni di streaming, l’hub, un po’ The Circle di Dave Eggers e un po’ un NH Hotel che se la tira.

Mentre osservo al bar manager e artisti che mangiano bowl di verdure e poké penso che Ghali non abbia bisogno di questa Enterprise un po’ zarra per il suo viaggio, lo vedo meglio in sella a un unicorno magico volare verso il suo prossimo obiettivo a ritmo di rap. Ha già fatto molta strada e ne farà molta ancora, perché continua a trovare nuovi stimoli sul percorso, a creare comunità, a stare in mezzo alle persone. E a dire quello che sente giusto, anche oggi prendendo posizione su quello che succede in Palestina, senza paura di essere divisivo e perdere fan. Perché è stato lui stesso fan, e ora sogna di tornare sulla rampa di lancio, come ai suoi inizi, come Kiid e Sadturs oggi. A noi non resta che aspettare il decollo (e l’unicorno!).

Tu hai fatto il produttore di questo progetto. C’è stato nel tuo passato uno che ha creduto in te come tu hai creduto in loro?
Sì, c’è qualcuno che ha creduto in me, ma il discorso è più ampio. Prima di far parte di questo mondo, ne sono stato fan, sono partito da sotto palco guardando Emis Killa, Fedez, i Club Dogo e noto ora che c’è una ciclicità nell’hip hop: ogni tot si formano delle community e dei nuovi gruppi. Da fan ho l’occhio e l’orecchio per capire quando qualcuno ha il fattore X e appena ho avuto i mezzi per spingere qualcun altro, l’ho fatto: già dal 2016, l’anno del mio debutto, ho creato subito una label, Sto Records, che ha prodotto il primo disco di Capo Plaza, Johnny Marsiglia e altri.

Adesso il panorama è cambiato, un giovane rapper di talento ha molti più occhi addosso. Tu cosa dai di più e di diverso ai ragazzi che vengono a lavorare con te?
Ho un grande istinto di protezione per chi si affaccia per la prima volta a questo mondo, cerco di farli lavorare con tranquillità. Firmando Digital Astro e Axell è successo di collaborare con i loro produttori: Sadturs e Kiid sono tra i più giovani in classifica, hanno lavorato con Anna e Artie 5ive per Anelli e Collane. Siamo una famiglia, una squadra, ognuno dà qualcosa all’altro. Come è successo nel 2016, o ancora prima quando c’era il Muretto, poi il Lido, o la scena di un parchetto tra Primaticco e Bisceglie a Milano che frequentavo, dove c’erano Rkomi, Sfera, Ernia, Tedua che arrivava da Genova. Ho sempre cercato di creare connessioni. E in No Regular Music ci sono 26 rapper, è tipo una classe di scuola, una super connessione.

E che identità ha questa nuova connessione che hai creato e di cui fai parte?
Stiamo tanto tempo insieme, ragioniamo e parliamo di musica, c’è uno scambio di energie, abbiamo gusti simili. E poi è una realtà mega inclusiva: ci sono artisti di tutte le ragioni, da Napoli alla Sardegna e per la prima volta ragazzi di seconda generazione che sono cresciuti, rapper scuri, rapper bianchi, nel 2016 non era così.

Anche i testi sono inclusivi?
L’inclusività è una cosa che noto io, loro sono solo ragazzi col la passione del rap che hanno talento e vogliono svoltare. Quando ho conosciuto Sadturs e Kiid erano minorenni, abbiamo dovuto parlare con i loro genitori, erano timidissimi, Lo sono ancora, ma viaggiare e fare team building in giro li sta facendo crescere molto. Vanno avanti dritti per la loro strada e ogni cosa che arriva non se l’aspettano.

Cosa ti sta dando lavorare con loro?
Sto vivendo l’esperienza della rampa di lancio una seconda volta. Loro ancora non si accorgono di quello che stanno facendo, sono in quella fase in cui ogni cosa che toccano diventa oro, stanno vivendo in prima persona una rivoluzione. Con Sadturs e Kiid vedo un’altra volta quello che è successo con Charlie Charles anni fa, quell’alchimia in studio quando c’è un movimento di squadra dietro.

Di solito invece la sensazione è che il rap game sia un gioco molto individuale dove ognuno cerca di guadagnarsi spazio sugli altri.
Non è così, sono tutti interconnessi, anche senza volerlo, ragionano sulle stesse cose, sempre con una sana competizione. E come era successo alla mia generazione, a questi ragazzi non frega nulla di quello che c’era prima, sono solo sicuri che il pubblico fuori sta aspettando loro e nient’altro. C’è un’evoluzione e si nota anche se sta veramente in poco: Virgil Albloh diceva che basta il 3%! Prendi una cosa che esiste già, ci aggiungi il 3% di novità, e allora è davvero nuova. È sottile, una sfumatura, ma si vede, e loro stanno facendo, non è per nulla facile o scontato. Le loro reference sono davvero fresche, si ispirano al 2010.

Nel disco c’è sia il club rap che quello più street, di solito c’è una divisione abbastanza netta nel rap di oggi.
Questo perché si ispirano a un genere in America che fa entrambe le cose, strada e club, la wave di Chicago e Detroit, anche nomi piccoli e di nicchia che in pochi conoscono. Quelli con cui lavoro sono ragazzi che vivono la strada, hanno fame, vogliono svoltare.

No regular music è un disco molto rap e nella intro anche tu sei tornato a rappare. Hai messo in pausa il pop?
No, sto lavorando a entrambe le cose. Anche se ora sono decisamente focalizzato sul rap. Ho viaggiato tanto, ho esplorato cose nuove e ora ho capito cosa voglio fare, come e con chi. Ho un nuovo team musicale: ci sono Kiid e Sadturs, c’è Nick da Los Angeles e in questi giorni sto lavorando con Draganov, cantante e produttore numero uno in Marocco. Stiamo preparando la mia nuova musica, ce ne sarà per tutti i tipi, sia per riconfermarsi in Italia, sia per il prossimo passo verso il mondo, con un percorso coerente. In questi anni pregavo di poter risentire quel profumo di rampa di lancio e ora finalmente lo sto facendo per la seconda volta. Tutta Italia mi conosce e ora voglio la cosa più difficile in una carriera musicale, tornare a vivere il momento di quando sbocci.

Tutti ti conoscono e tu sei una persona molto ascoltata anche sui social. In questi giorni hai scritto di come Instagram stia togliendo voce a tutti coloro che condividono post e informazioni su ciò che sta accadendo in Palestina e sul genocidio in atto. Scrivi anche: “Vedo gente che di solito prende posizione per qualsiasi cosa che questa volta ha orecchie coperte”. A chi ti riferisci?
Siamo divisi tra popolo e potere, tra persone e potere, c’è un distaccamento che non c’è mai stato. C’entra anche il mio nuovo approccio con il rap: io sto rappando perché mi sento parte di qualcosa, tornare a rappare è tornare in mezzo alle persone. Tra potenti (economici, di informazione) e persone non c’è una via di mezzo, si sta o da una parte o dall’altra, in mezzo è solo un campo di battaglia. Ho due milioni di follower e cerco di far vedere a tutti quelli che mi seguono che è un massacro, che ci sono dei bambini di mezzo. Non c’entra la religione o altro.

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