Gene Simmons: «Giuro sulla Bibbia, i Kiss finiscono qui» | Rolling Stone Italia
L’ultimo bacio

Gene Simmons: «Giuro sulla Bibbia, i Kiss finiscono qui»

Il concerto finale da un milione di dollari, Ace Frehley e Peter Criss come zia Magda, la possibilità che la band vada avanti con altri quattro musicisti. Intervista al demone che sta per gettare la maschera

Gene Simmons: «Giuro sulla Bibbia, i Kiss finiscono qui»

Gene Simmons

Foto: Thomas Banneyer/Picture Alliance/Getty Images

Alle 11 di sera del 2 dicembre, Gene Simmons scenderà dal palco del Madison Square Garden di New York sulle ultime note di Rock and Roll All Nite. Si toglierà per l’ultima volta il trucco da Demon e dirà addio alla band che ha fondato cinque decenni fa. È facile essere scettici giacché quasi tutti i tour d’addio sono falsi, per non dire che questo per i Kiss è il secondo tour d’addio e che stiamo parlando di una band che non si lascia sfuggire possibili occasioni di guadagno. Eppure Simmons garantisce che sarà davvero l’atto finale.

«Giuro sulla Bibbia», ci dice al telefono da una camera d’albergo di Edmonton, Alberta, la mattina dopo un concerto al Rogers Place. «E non prendo il giuramento alla leggera perché è la mia gente che ha scritto quel Libro. Anzi, la mia gente ha scritto anche il Nuovo Testamento. Perciò qui, proprio ora, con la mano sulla Bibbia, dico che sarà l’ultima apparizione dei Kiss col make-up».

È giusto che i Kiss chiudano la carriera al Madison Square Garden visto che si sono truccati per la prima volta 50 anni fa in una sala prove a una decina di isolati da lì. Nel giro di soli quattro anni sono passati dai club ai teatri e poi al Garden. Negli anni ’80, durante un periodo di magra, sono andati in tour senza make-up. La decisione nel 1996 di tornare a truccarsi il volto e di rimettere in piedi la formazione classica ha rivitalizzato il brand, tanto che i Kiss hanno continuato a suonare nei palazzetti anche dopo l’uscita di scena del batterista Peter Criss e del chitarrista Ace Frehley, sostituiti rispettivamente da Eric Singer e Tommy Thayer.

Il concerto finale è sold out (rimangono solo pochi posti per il penultimo show al Madison Square Garden, la sera prima), ma loro, essendo i Kiss, offrono ai fan la possibilità di vedere l’ultimo live in pay per view. Abbiamo chiesto a Simmons se ci saranno anche Criss e Frehley, dell’importanza del Madison Square Garden nella storia della band, dei suoi progetti per il post Kiss. Come sempre, ha un sacco di cose da dire.

Come sta andando il tour?
Alla grande. Stiamo facendo singole serate invece di fermarci in una città per due o tre show. Lo facciamo per i fan. Se rimani fermo in un posto, la gente che sta a migliaia di chilometri non può venire a vederti. Perciò abbiamo cercato di fare tante date da una sera e via: bang, bang, bang, bang! Alla fine, avremo toccato più di 300 città.

Fisicamente come stai?
Benissimo. Aiuta non esserci mai drogati, non avere mai fumato e non esserci mai ubriacati. Il corpo reagisce al carburante che gli fornisci e se un po’ di sabbia finisce nella benzina, l’auto non fila più. Nella band siamo tutti straight edge. Nessuno fuma nemmeno sigarette o beve e, ovviamente, a nessuno è permesso sballarsi.

Naturalmente. Ma passiamo a…
Aspetta. Cosa vuoi dire con naturalmente? Ti riferisci alle rock band?

Intendevo dire che tu sei famoso per non aver mai bevuto o fumato. Ne hai sempre parlato molto.
Be’, non lo facciamo solo per noi. Sentiamo di avere una responsabilità professionale ed emotiva nei confronti dei fan, che sono i nostri capi. Ci hanno consentito di avere una vita meravigliosa. Sarebbe un insulto vedere un perdente che sale sul palco pensando di potersi esibire da strafatto.

Foto: Getty Images

Facciamo un passo indietro nella storia dei Kiss. All’inizio, quando dal Daisy siete passati a suonare all’Academy of Music e al Beacon Theater, avevate già in mente il Madison Square Garden?
Chiaro. Abbiamo suonato la notte di Capodanno del 1973-74, quarti in cartellone, all’Academy of Music, che era un teatro da 3000 posti. C’erano anche i Blue Öyster Cult, Iggy Pop, una band locale chiamata Teenage Lust, che non aveva ancora neppure inciso un album, e i Kiss, che nessuno aveva mai sentito nominare. I miei capelli hanno preso fuoco e sono finito sulla copertina di Melody Maker in Inghilterra. La notizia ha cominciato a girare velocemente. Mancava un mesetto all’uscita del nostro primo disco. Nel giro di un anno e mezzo eravamo headliner all’Anaheim Stadium, scalzando band che erano in circolazione da 10 o 20 anni. Tutto questo succedeva quando non c’erano nemmeno la segreterie telefoniche, figuriamoci il digitale, e Clark Kent doveva ancora entrare in una cabina telefonica per trasformarsi in Superman. Oggi i giovani non hanno idea di cosa sia una cabina telefonica. Le radio a transistor erano una novità.

Ho appena riletto la recensione del New York Times del primo concerto della band al Garden, nel 1977. Era cattivissima. John Rockwell scriveva che somigliavate a un armadillo diabolico e che lo show era «una copia asettica del tipo di provocazione glitterata tanto popolare, nel cuore dell’America, tra le band più all’avanguardia tre e quattro anni fa». Ha concluso definendolo superficiale e prevedendo che «i fan si accorgeranno presto di questa superficialità».
Io ricordo il primo articolo di Rolling Stone sui Led Zeppelin. Erano definiti un dirigibile sgonfio.

Come metabolizzavi le recensioni della stampa mainstream tipo quella?
Quella roba non ha mai significato nulla. I critici sono una forma di vita inutile sulla faccia della Terra. La mia non è una reazione piccata o infantile. Se i critici scomparissero, la vita sulla Terra sarebbe diversa? Se la polizia, i pompieri o gli insegnanti cessassero di esistere, allora sì che il pianeta ne risentirebbe.

L’ultimo concerto dei Kiss con Eric Carr è stato al Garden, nel 1990 (Carr è mancato un anno dopo, ndr). Cosa ricordi di quella serata?
Be’, Eric Carr, che Dio lo benedica, era un’anima pura, non diceva mai nulla di male su nessuno ed era un polistrumentista: sapeva suonare il piano, le tastiere, la chitarra. Ha anche suonato il basso in un brano dei Kiss, sapeva scrivere canzoni e cantare. Era anche un ottimo batterista. Lavorava come addetto alla pulizia delle stufe, a Yonkers. Arrivava, infilava la testa nella stufa e la puliva. Da lì è passato a fare un provino con noi e, all’improvviso, a girare il mondo. Si chiamava Caravello di cognome: quando tornavamo a suonare a casa, e tutta la sua famiglia veniva a vederlo, era orgoglioso e aveva il sorriso stampato sul volto, perché un pulitore di stufe era finito sul palco del Madison Square Garden

Come ti senti, psicologicamente, sapendo che il tour finirà tra poche settimane?
Quand’ero bambino e andavo a scuola, il mio soprannome era Mister Spock. Non sono mai stato un tipo che si fa prendere dalle emozioni. Ricordo che anche se a zio George volevo molto bene, quando mi sono trovato davanti alla sua tomba ero triste, ma non ho pianto. Le lacrime non mi vengono facilmente. Le poche volte che succede è quando guardo il nostro pubblico e vedo un fan ultracinquantenne che ci segue fin da quando era bambino, truccato da Kiss. E vicino a lui c’è il figlio, tra i 20 e i 30 anni, truccato e, seduto sulla spalla di suo figlio, c’è il nipote di 5 o 6 anni che si trucca come noi. E quel bambino fa il gesto che faccio io con la mano, con le due corna e il pollice in fuori, che nel linguaggio dei segni significa «ti amo» e tira fuori la lingua per la prima volta. Ecco, questo mi commuove ogni volta.

Lo spettacolo di addio sarà trasmesso in pay per view. Avrete degli ospiti speciali?
Come puoi immaginare, abbiamo ricevuto un sacco di telefonate da parte di persone importanti, molto note, che vorrebbero salire sul palco. Finora abbiamo detto no.

Perché?
Perché quando chiami sul palco altri artisti ti dai delle arie. È come se dicessi: «Vedete? Garth Brooks è cresciuto con la nostra musica». Infatti ha registrato Hard Luck Woman con noi, per l’album tributo ai Kiss. «Guarda: c’è Lenny Kravitz. E poi ci sono i Nirvana, Dave Grohl e i Metallica» e così via. Ma quello che facciamo non lo facciamo per noi, mi ci sono voluti anni per capirlo. Mettiamo in scena dei grandi show pieni di effetti pirotecnici, e questo è il migliore che abbiamo mai fatto, lo vedrai: ha una qualità sbalorditiva e costa un sacco di soldi. L’ultimo spettacolo costerà un milione di dollari, solo per dare ai fan qualcosa in più e per autocelebrarci. È una carezza all’ego. Ma, a pensarci bene, tutto questo è per i fan, no?

Quanti pugili sono rimasti troppo a lungo sul ring? Quante band sono rimaste troppo a lungo sul palco? C’è chi è ancora in circolazione. Ma è meglio uscire di scena finché si è al top. Ricorda che noi ci presentiamo dicendo: «Volevate il meglio, avete avuto il meglio, la band più sexy del pianeta, i Kiss». Però, a un certo punto, quelle parole non significheranno più molto quando sarò sulla sedia a rotelle a propulsione a razzo, con un’infermiera sexy che mi spinge.

Foto: Kevin Mazur/Getty Images

Siete disposti a dichiarare in modo definitivo che è davvero giunta la fine?
Sì. Giuro sulla Bibbia. Non ha nulla a che fare con le vendite dei biglietti o altro. C’entrano madre natura e il fatto che, a un certo punto, devi capire che i profitti diminuiranno, per via del tipo di band che siamo. Indosso stivali a forma di drago con zeppe da 15 centimetri, ognuno dei quali pesa quanto una palla da bowling; poi armature, borchie, pelle e tutto il resto, per un totale di circa 20 chili. Devo anche sputare fuoco, volare in aria e tutto il resto. E lo devo fare per due ore.

C’è qualche possibilità, in futuro, di vedervi fare uno spettacolo unico, nel cartellone di un festival o qualcosa del genere? Oppure sarà davvero l’ultimo concerto dei Kiss?
È proprio l’ultimo. Comunque Paul ha la sua band, i Soul Station, e sono sicuro che gli andrà di fare qualche concerto. Io ho la Gene Simmons Band e, prima o poi, potrebbe venirmi voglia di salire su un palco e suonare qualche pezzo. Ma visto l’impegno fisico che richiede suonare nei Kiss, questa è la cosa giusta da fare, nel posto giusto e al momento giusto. B.B. King ha suonato fino a 80 anni, ma stava seduto sul palco. Noi non possiamo farlo: non ci sediamo.

Potrebbe arrivare un disco nuovo dei Kiss o avete chiuso anche con lo studio?
È un’idea che non ci piace. Lo streaming e il download hanno rovinato tutto. I Kiss non sono un ente di beneficenza. Cioè, facciamo beneficenza, siamo filantropi e nel corso degli anni, tutti, me compreso, hanno donato milioni e milioni di dollari a ogni tipo di ente, ma i Kiss sono una impresa che viene pagata per i suoi servizi, come tutte le altre. Non siamo una band hippie di San Francisco.

Però stai dicendo che in futuro potresti fare un tour da solo?
Sì, mi piacerebbe, a patto di non dover portare in giro uno show completo. La Gene Simmons Band è già stata in tour, facendo da headliner in alcuni festival, locali e tutto il resto. Io non porto letteralmente nulla, a parte il mio basso, e la mia backing band porta solo le chitarre. Il promoter affitta tutto il resto in loco e stop. Niente roadie, niente di niente, come faceva Chuck Berry che si portava la chitarra e saliva sul palco, dove ad aspettarlo c’erano un amplificatore e un impianto audio. Così ci si diverte.

I fan hanno apprezzato lo spettacolo da solista che hai fatto con l’ex chitarrista dei Kiss, Bruce Kulick, all’inizio dell’anno. Pensi di fare altri concerti con lui, in futuro?
Perché no? Sono anche stato su un palco con Ace, quando sono andato in Australia, qualche anno fa. Gli ho detto: «Usa la mia backing band. Impareranno le tue canzoni, saliranno sul palco e si divertiranno. Non devi preoccuparti di roadie, amplificatori o altro».

Qualche anno fa, per un breve periodo, ti sei riconciliato con Vinnie Vincent e hai fatto qualche canzone con lui. Poi le cose sono di nuovo andate in malora. Pensi che quel ponte sia bruciato per sempre?
Ho detto tante volte che lui è un ragazzo di talento e lo è sempre stato. Sa scrivere canzoni, sa cantare, è un chitarrista eccezionale… devo stare molto attento alle parole, di questi tempi. Ci ha già fatto causa 14 volte, ma ha perso malamente, e uno dei suoi avvocati è persino stato radiato dall’albo. Poi lui l’ha assunto di nuovo. Roba da matti. Non è una persona con cui vorrei avere ancora a che fare. E comunque, a oggi Vinnie Vincent non ha mai firmato il suo contratto di lavoro che lo lega ai Kiss, nonostante avesse detto che lo avrebbe fatto. Non potevamo neppure assicurare la band perché mancava la sua firma. «Lo faccio domani. Lo faccio. Fammi ragionare su questo punto. Si può aggiungere qualcosa qui? Posso avere un po’ di più là?». E alla fine l’abbiamo lasciato andare.

Si è parlato di una versione futura dei Kiss composta completamente da nuovi musicisti. Pensi che potrebbe accadere?
Sono apertissimo a questa idea. Perché non passare il testimone, cedere il trono a quattro nuovi giovani meritevoli?

Ora tante band vendono i loro diritti di edizione. C’è anche chi ha venduto il marchio, l’intero catalogo e persino la propria immagine. Lo faresti per i Kiss, un giorno?
A che cifra pensavi?

Non dicevo per me, ma per qualcuno che ha le tasche molto capienti.
Sono disposto a parlarne, ma non siamo particolarmente interessati. Ci siamo guadagnati, grazie a Dio, una vita molto agiata. Cosa posso dire? Sono l’uomo più fortunato che abbia mai camminato sul pianeta.

Se mai doveste vendere, non sarebbe strano vedere qualcun altri decidere al posto vostro?
Anche se ciò accadesse, non sarà mai nessun altro a decidere. Questa è la nostra creatura.

Non capisco bene. Se doveste vendere, non sarebbe l’acquirente a decidere?
No.

Vuoi dire che, nell’accordo, fareste in modo di restare tecnicamente al comando?
Per forza. Se lasci guidare la tua auto a tuo figlio piccolo, ci sono buone probabilità che faccia un incidente. Nessun altro prenderà in mano il volante.

Foto: Sven Hoppe/Picture Alliance via Getty Images

Negli ultimi anni ho visto nei club dei gruppi rock davvero straordinari e innovativi. Alcuni mi hanno lasciato a bocca aperta. Quasi nessuno, però, ce la fa a uscire da quel giro. Perché? Perché oggi sembra esserci una specie di tetto massimo per il numero di gruppi rock che prima non c’era?
Be’, non si è mai chiamata solo musica, si è sempre parlato di business della musica. Certo, poi c’è anche la parte romantica, cioè l’arte di scrivere canzoni, fare le prove, di trovare le persone giuste, l’intesa e tutto il resto. È difficile. È difficile trovare la band giusta. E c’è la regola delle 10 mila ore: più tempo dedichi a qualcosa, più migliori.

Certo. Negli anni ’70, ’80 e ’90, molti gruppi rock si sono impegnati per quelle 10 mila ore e la cosa ha dato buoni frutti. Oggi non funziona più così.
Stai perdendo di vista il lato economico della faccenda, ovvero il fatto che i nostri migliori amici allora erano le case discografiche. Quando ti scritturavano, ti davano soldi, tanti soldi. E non dovevi restituirli, anche se l’album faceva un buco nell’acqua. Ti promuovevano, compravano pagine intere di pubblicità su Rolling Stone e tutto il resto. Le case discografiche pagavano tutto. Ti davano supporto per i tour. Affiggevano poster ovunque e la gente comprava la tua musica spendendo soldi. Tutto questo non esiste più. Niente più contratti discografici. I fan possono scaricare il tuo materiale per una frazione di centesimo di dollaro, quindi non puoi permetterti di mollare il tuo lavoro. Abbiamo una band che apre per noi, qui in Canada. Sono fantastici: due ragazzi, niente basi preregistrate. Si chiamano Crown Lands. Dovreste andare a vederli. Ma non avranno mai le chance che abbiamo avuto noi.

Parlami dei tuoi progetti per l’anno prossimo, visto che la band chiuderà bottega.
Sono socio fondatore di Rock and Brews: abbiamo ristoranti in tutta America, tra cui due all’aeroporto di Los Angeles. Abbiamo anche dei casinò Rock and Brews. Ho una società cinematografica chiamata Simmons/Hamilton. Proprio in questi giorni sono in corso le riprese di due nostri film, in Nuova Zelanda. Uno si chiama Deep Water, con Ben Kingsley e Aaron Eckhart, per la regia di Renny Harlin che ha diretto anche uno dei film della serie Die Hard. Nell’altro ci sono il grande Laurence Fishburne e Bella Thorne, è un thriller. Entrambi hanno sceneggiature solide. Ne arriveranno altri. Ho anche MoneyBag Vodka, che sta crescendo a passi da gigante, e MoneyBag Soda. Abbiamo cinque gusti, li trovi in tutti gli States. Sono tutte cose divertenti, ma non c’è niente di meglio che stare su un palco.

A questo proposito, molti sperano che Ace e Peter salgano sul palco per l’ultimo concerto. Lo sai che i fan sognano quel momento, no?
L’ho chiesto più di una volta ad Ace e Peter. La loro risposta è stata no.

Pensi ci sia ancora qualche chance?
Ne dubito. Non vogliono. La porta è aperta, ma non potranno portare il trucco. Hanno perso il diritto di farlo dopo essere stati allontanati dalla band per tre volte. Chi ha la fortuna di avere più di una possibilità? Che tristezza. Non so come altro dirlo, ma non c’è dubbio che i Kiss non sarebbero esistiti senza Ace e Peter, all’inizio. Ma sono anche abbastanza convinto che i Kiss non sarebbero durati, con dentro Ace e Peter. Non tutti sono fatti per correre le maratone. Far parte di una band non è facile. I matrimoni finiscono. Lennon e McCartney si sono separati, Jagger e Richards idem. È difficile.

Per loro la porta sarà aperta fino all’ultimo momento, nel caso decidano di partecipare allo show?
Faranno sempre parte della famiglia Kiss. Ma quanto spesso vedi zia Magda, anche se fa parte della famiglia? Quando è stata l’ultima volta che sei andato a casa di tua zia per la cena del Ringraziamento, anche se è una di famiglia?

Da Rolling Stone US.

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