Rolling Stone Italia

Gavin Friday 40 anni dopo il debutto dei Virgin Prunes: «Il primitivismo è la risposta»

Intervista al leader di una delle rock band più estreme d’Irlanda: la ristampa di ‘...If I Die, I Die’, la Dublino anni ’80, l’influenza esercitata sugli amici U2, la musica come espressione di dolore e passione

Foto press

Quando l’appassionato medio pensa al rock irlandese, il primo gruppo che gli viene in mente sono gli U2. In realtà sono solo una faccia della medaglia, il cui lato nascosto è costituito da un’altra formazione di fondamentale importanza: i Virgin Prunes. Gruppo di difficile collocazione, è finito nel calderone post punk per meri motivi temporali. Erano oltraggiosi e provocatori, dal forte impatto visivo, portavano sul palco una specie di teatro della crudeltà in musica a volte non troppo distante da certi esperimenti dei Throbbing Gristle, ma di base talmente originale da fare scuola a sé.

Tra le singolarità della band c’era quella di avere ben tre cantanti: Guggi, Dave Busaras e Gavin Friday, anima e motore del progetto. Lo intervistiamo in occasione della ristampa per il quarantennale del debutto del gruppo, …If I Die, I Die, album di culto per ogni outsider che si rispetti.

Ciao Gavin, come va?
Fammi prendere una sigaretta e un accendino… sono in un hotel a New York ora.

A New York? Cosa stai facendo lì?
Sto registrando il mio nuovo album a nome Gavin Friday. Ci sto lavorando a intermittenza da un paio d’anni, dovrebbe essere finito per Natale.

Beh, innanzitutto grazie per il regalo di compleanno che mi hai fatto. Io sono nato il 4 novembre ed è lo stesso giorno di uscita di …If I Die, I Die.
Conoscevi l’album quarant’anni fa?

No, sono nato nel ’75.
Ah, allora eri un ragazzino nell’82!

Sì, ma poi ho recuperato scoprendolo da teenager. Come mai ci è voluto tanto per convincere la casa discografica a ristamparlo?
Quasi sedici anni fa abbiamo fatto uscire su CD tutto il catalogo dei Virgin Prunes su Mute Records. Il contratto si è estinto, quindi ci sono rimaste le nostre vecchie registrazioni, ma nessuna “casa”. Volevo un’etichetta che riuscisse a ristampare tutto in vinile, rivedere il packaging e promuovere il tutto in maniera pertinente. Ci ho messo due anni per trovare quella giusta, la BMG. È la nostra casa dallo scorso giugno, quando i Virgin Prunes sono passati per la prima volta sui servizi di streaming. Nei prossimi due o tre anni ristamperemo con calma tutto e faremo uscire tante cose che non sono state pubblicate, tra video e registrazioni mai sentite prima. È molto eccitante.

Tutti sono unanimi nel dire che …If I Die, I Die è il vostro capolavoro. Sei d’accordo? All’epoca avevate la sensazione di star registrando una pietra miliare?
Oh no, eravamo solo dei ragazzini folli, non pensavamo troppo. I Virgin Prunes hanno fatto tutto in maniera spontanea, per …If I Die, I Die per la prima volta abbiamo lavorato con un produttore. Eravamo sospettosi nei confronti dei produttori. Ci piacevano le performance crude, improvvisate. Ma Colin Newman era lui stesso era un musicista con i Wire, che noi adoravamo, e ancora adesso li amo. Quindi aveva senso che fosse lì, ci ha insegnato molto sugli arrangiamenti, ci ha detto «non dovete per forza fare una take e basta, potete fare un po’ di take delle voci». Era molto educativo, ma tre settimane dopo che avevamo registrato …If I Die, I Die abbiamo fatto uscire Hérésie, che è effettivamente uno dei nostri lavori più avanguardisti e impro. Quindi non stavamo a ragionare su quello che facevamo. Lo facevamo e basta.

Per quanto mi riguarda i Virgin Prunes in Irlanda sono l’equivalente di Siouxsie and The Banshees in Inghilterra. Come i Banshees, prima di firmare un contratto ce ne avete messo di tempo, nonostante foste i pionieri di un movimento…
Il gruppo si è formato nel tardo 1977/1978, abbiamo fatto la prima cassetta nel 1980, un piccolo EP di quattro tracce chiamato Virgin Prunes. Sai, vivevamo in Irlanda ed era un Paese molto diverso quarant’anni fa. I Virgin Prunes erano vera avanguardia e molto lontani dalla norma, quindi nessuna etichetta ci avvicinava. Per cui una volta andai a Londra e lasciai un po’ di cassette a tre etichette che mi piacevano: la Factory, la Mute e la Rough Trade. Quest’ultima ci chiamò il giorno dopo e ci disse: «Amiamo questa roba, vogliamo mettervi sotto contratto». Siamo rimasti alla Rough Trade per gran parte della nostra carriera.

Facevate parte del collettivo Lypton Village, nel quale c’erano anche i futuri U2. Se loro erano un po’ i Sex Pistols della situazione, voi eravate i Banshees. Potremmo definire il Lypton Village come la versione irlandese del Bromley Contingent?
Sì, lo era, ma non era qualcosa di pianificato, era tutto molto istintivo. Io sono cresciuto in una strada nella parte nord di Dublino, Cedarwood Road. Guggi abitava a Cedarwood Road, Strongman era di Cedarwood Road e anche Bono. Avevamo creato una gang immaginaria nelle nostre teste, ci piacevano la musica e l’arte, tutto è successo in maniera immediata, spontanea. È più che altro il mito che si è creato intorno, capisci? Ma la cosa folle è che siamo ancora amici. Ancora ci vediamo, ancora lavoriamo assieme. Conosco Guggi da 52 anni.

Virgin Prunes. Foto press

Tutto questo nasce in una situazione sociale ben precisa, quella dell’Irlanda anni ’80: …If I Die, I Die è un disco molto politico.
È politico nel senso che è contro la società, contro le autorità. Parlo del lato con l’etichetta blu, quello che inizia con Baby Turns Blue. L’altro lato è mistico, spirituale. C’erano molte cose contro cui scagliarsi, l’Irlanda era un Paese molto diverso, era represso dalla chiesa cattolica, per essere precisi dalla chiesa cattolica romana, e quindi eravamo davvero arrabbiati. E c’era praticamente una guerra civile. Tutto era illegale in Irlanda: non si poteva abortire, non si poteva essere omosessuali. Tutto era fottuto. Erano tempi duri, non c’erano soldi. La cosa bella è che nel 1976-77 è arrivato il punk-rock che ci ha dato la licenza di dire quel che volevamo. Abbiamo fondato la band grazie al punk.

Ma voi eravate molto oltre il movimento punk: eravate teatrali, performativi, in poche parole sembravate più un gruppo di performance art che una band.
Diciamo che i Virgin Prunes non erano punk, non erano goth… quelle sono etichette che ci hanno affibbiato, io e Guggi eravamo influenzati dal primo glam rock, da Bowie e i Roxy Music.

E immagino anche da Alice Cooper, visto il lato performativo.
In un certo senso sì. In effetti mi piace un grande album di Alice Cooper che è School’s Out. Quando arrivò il punk io e Guggi dipingevamo, ci piaceva l’arte, non volevamo essere soltanto una band, non ci siamo mai visti come una band. Se ascolti la musica è eclettica, non siamo mai stati rock’n’roll.

La cosa interessante è che ci sono moltissimi elementi del folk irlandese nel disco. Forse siete una delle prime band che contamina il folk con la new wave. Mi vengono in mente per esempio gli Skids, o meglio ancora i Big Country in zona scozzese, anche se loro oscillavano tra punk e mainstream. Voi invece flirtavate con l’industrial…
Pensa al modo in cui cantiamo: è un antico modo tradizionale di cantare irlandese, lo sean-nós. Sono quasi dei lamenti, così (canta, nda). Ci siamo ispirati a questo, ma poi lo abbiamo “sfasciato”. In …If I Die, I Die ci sono molte influenze e anche strumenti tradizionali irlandesi come il bodhrán.

E i caratteristici tin whistle.
Nel 1982 per una band d’avanguardia fare una cosa del genere era inaudito. Volevamo spogliarci di tutti i vestiti, di tutta la musica e tornare ad essere primitivi. Gli irlandesi, prima di diventare cristiani, erano pagani.

Nello stesso tempo eravate capaci di cose pop, ad esempio Baby Turns Blue era potenzialmente una hit.
Sì! Amavamo la musica, non mi è mai piaciuta l’idea di fare un solo tipo di musica, riflettevamo quel che ci piaceva. Baby Turns Blue è una specie di canzone pop-punk, ma allo stesso tempo parlavamo di cose come il suicidio tra i teenager, overdosi di eroina, autolesionismo, follia, tematiche molto cupe. La gente non voleva si parlasse di cose del genere, lo facevano i Virgin Prunes che cantavano di problemi di salute mentale e di fluidità di genere nel modo in cui ci vestivamo, che è molto attuale. Se guardi la copertina dici: o Gesù, c’è un uomo vestito da donna! Ma non era roba new romantic tipo Boy George. Era diverso, era molto più aggressivo e dirompente.

E concentrato soprattutto su dolore e passione.
Assolutamente sì, dolore e passione. È questa la grande cosa dei Prunes. La musica divenne un rifugio, uno scudo, qualunque cosa per esprimere la nostra rabbia e il nostro dolore.

E anche la vostra gioia in fondo, perché soprattutto nelle performance live c’era uno humour nero davvero spassoso.
Molto! Penso che molta gente non abbia capito che i Virgin Prunes avevano un grande senso dell’umorismo (ride).

C’è una canzone nell’album in particolare che ritengo profetica, come se parlasse del 2022. Si tratta di Caucasian Walk. Il testo recita: “come un cantante pazzo in una band che ha perso le parole”. Sembra la descrizione del mondo attuale.
Quella è stata una delle prime canzoni che abbiamo scritto. Dissi al bassista, al batterista e al chitarrista di scrivere le loro parte non l’uno davanti all’altro, ma separatamente. Le parole del testo erano rubate da conversazioni, da cose che avevo sentito, da cose che avevo visto, era un cut-up stile Burroughs, e di base era tirare fuori tutte le cose che odiavamo nel mondo. Abbiamo messo tutto insieme ed è uscita fuori questa folle espressione artistica. È l’unico pezzo dei Prunes che faccio nei miei concerti solisti. E dopo quarant’anni suona ancora rilevante.

Perché probabilmente, come dicevano i Depeche Mode, “we are going backwards”…
È molto deprimente… Voglio dire, sono rimasto scioccato dalle vostre recenti elezioni. Oh mio dio, che cosa faranno dopo? Quando la prima cosa che il nuovo leader del tuo Paese dice è «siamo contro l’aborto» o «non vogliamo i matrimoni gay» dici: cazzo, ma stiamo andando indietro?

Quindi cosa pensi della situazione mondiale?
Penso che il mondo sia impazzito.

Voi all’epoca in reazione a tutto ciò vi buttaste nel neoprimitivismo. Di cosa si trattava?
Eravamo giovani e stavamo scoprendo il mondo, quindi avevamo una filosofia molto semplice. Io ho sempre creduto che i bambini non sanno tutte queste cazzate, non sanno nemmeno di essere innocenti, ma reagiscono in maniera primitiva. E noi volevamo allontarci dalle regole imposte dalla religione, dall’educazione, dalla politica. Il primitivismo è stato il modo di trovare il nucleo di quello che era vero, di quello che ci piaceva.

E di cosa credi abbiamo bisogno oggi?
Oh mio dio, non so di cosa abbiamo bisogno. Magari di una pausa. Appena sono uscito dalla pandemia mi sono detto: forse il mondo migliorerà per il fatto che abbiamo visto concretamente quanto tutto sia fottuto, ma adesso è ancora più fottuto di prima. Trump ha dato il via libera alle altre destre, sono tempi pericolosi. Non so, probabilmente i prossimi due anni saranno difficili per tutti.

Forse, vista la situazione, è il momento per rivedere i Virgin Prunes al completo su un palco…
(Ride) Non abbiamo piani in questo senso. La cosa bella quando sei giovane è che non ti fermi tanto a elucubrare. Quando diventi più vecchio arrivano le responsabilità, la famiglia, i figli… e la vita si trasforma. Pensi molto di più. Da giovane sei più libero, sei libero dalle forme e non te ne frega un cazzo di niente. Quindi a noi non interessava fare una hit single, volevamo solo fare quello che volevamo fare, senza compromessi. Era tutto così bello e libero, e non credo che potremmo mai riconquistare di nuovo una simile attitudine.

Torniamo alla ristampa di …If I Die, I Die. Ci sono un sacco di cose grandiose, canzoni che non erano nell’album, molte rarità, outtake e via dicendo. Qual è il brano inedito che ti piace di più?
È stranissimo, io ho sempre avuto queste demotape di Pagan Lovesong e non volevo pubblicarle, ma l’etichetta mi ha detto che la gente le avrebbe amate perché mostrano il modo in cui lavoro e scrivo. E io: sul serio?! (Ride) Ma mi piacciono molto i mix alternativi, volevo dare ai fan cose nuove o cose mai sentite, masterizzarle e avere un artwork degno, perché eravamo molto visuali, spendere soldi per fare un ottima copertina dà una bella sensazione, è veramente bellissimo.

Credo che tutti ti facciano domande su Bono.
Non è un problema, semplicemente dico: sì, grande, i Virgin Prunes e gli U2 sono amici. Non parlo mai tanto di questa cosa, c’è già molta pubblicità per Bono, non c’è bisogno di fargliene altra, capisci cosa intendo, no?

Chiaro, anche se è evidente che il suo personaggio di MacPhisto è un omaggio proprio a te e ai Virgin Prunes, visto quanto ti somiglia quando andavi in scena.
C’è molto dei Virgin Prunes e di Gavin Friday in MacPhisto, ma è perché siamo cresciuti insieme, siamo come fratelli, lo ying e lo yang, il bianco e il nero.

A questo proposito, Dik Evans è il fratello di The Edge e come chitarrista non ha nulla da invidiargli, anzi…
Assolutamente! Il modo in cui suona la chitarra in …If I Die, I Die è notevole. In Bau-Dachöng, l’ultima traccia del lato A… cazzo… è come un sogno psichedelico, e lui è il fratello maggiore di The Edge, è lui che gli ha insegnato a suonare.

Ma è vero che gli U2 all’inizio erano membri dei Virgin Prunes?
Sì, è vero. La prima volta in assoluto che i Virgin Prunes hanno suonato in pubblico c’eravamo io e Guggi, Dik che all’epoca era proprio negli U2, che avevano due chitarre, lui e The Edge. Poi Dik ha scelto di unirsi ai Virgin Prunes. Ma la prima volta che abbiamo suonato dal vivo era circa marzo 1978 e c’erano tutti gli U2: The Edge, Adam, Larry e Dik. Avevano questi cappotti bianchi, reti sulla faccia, nessuno sapeva chi fossero e facevano da backing band a me e Guggi per una canzone sola che era lunga 40 minuti. Dopo quell’episodio Dik entrò nei Virgin Prunes e il resto è storia.

E non c’è una registrazione di questa performance epocale, magari nascosta in qualche cassetto?
No, nel ’78 non c’erano telefonini o robe del genere.

Tornando al materiale nel cassetto: nel ciclo di ristampe che avete previsto ci sarà finalmente la pubblicazione del mitico album mai uscito Sons Find Devil?
Mentre aspettavamo di fare quell’album abbiamo fatto uscire un video e l’ho chiamato proprio Sons Find Devil… Comunque il prossimo anno tireremo fuori i primi due EP in vinile e A New Form of Beauty come un box set e poi The Moon Looked Down and Laughed. Ecco, Sons in un certo senso lo troverai fra le tracce di The Moon Looked Down and Laughed.

Beh intanto ti auguro buon lavoro per il nuovo album.
Grazie, il prossimo anno verrò a Roma per esibirmi live. Magari ci facciamo un drink?

Ok, anche se è difficile battere voi irlandesi al bancone.
Sì, assolutamente (ride).

Iscriviti