La musica di Frah Quintale è diventata adulta. Ne è la prova il suo ultimo album Amor proprio, quasi un concept sulla consapevolezza delle emozioni, distribuite con eleganza e leggerezza su un pentagramma pop mai banale. Sono canzoni che raccontano la ricerca di equilibrio, il bisogno di lasciar andare e vivere il presente, senza troppe ansie da prestazione. Che l’equilibrio l’abbia trovato, si capisce dal karma gentile con cui Frah Quintale mi accoglie in una sala riunioni di Warner allestita come la copertina del disco, con tanto di divano e dipinto realizzato da lui medesimo: è contento della musica che ha fatto, pronto a suonarla dal vivo con un tour nella primavera del 2026, e ha un sorriso pacificato ma determinato di chi ha imparato a guardarsi dentro, senza dimenticare cosa sta succedendo là fuori (spoiler, nel mondo va tutto a pezzi).
Amor proprio è un disco che scalda, saranno il soul, il funk e l’r&b, sarà il karma di Frah, o sarà davvero che mentre tutto il mondo va a pezzi c’è bisogno di colonna sonora per star bene almeno un’ora, solo con noi stessi.
Hai parlato di questo nuovo album come la fine di un processo di guarigione. Di cosa ti eri ammalato?
Mi sono trovato in una relazione finita in modo abbastanza dirompente. Ho dovuto ricostruire delle cose usando la musica come terapia: è stata una valvola di sfogo e l’inizio non solo del processo di guarigione, ma anche di un percorso in cui ho imparato a conoscermi meglio. Stare da solo mi ha dato l’opportunità di dedicarmi a me stesso, di slegare dei nodi.
Spesso il processo artistico avviene in solitaria…
Questa volta il processo di scrittura è stato condiviso con la band, alcune tracce sono nate durante sessioni in Toscana e in Liguria. Ma è stato tutto quello che c’è stato prima a segnare il percorso: viaggiare in solitaria, anche per un mese, camminare di notte.
Oltre all’amor proprio che dà il titolo al disco, c’è molto amor gentile, rispettoso, progressista: A prescindere è una canzone che parla di quanto sia importante fare un passo indietro, lasciar andare una persona alla fine di una relazione, rinunciando con consapevolezza all’amore. Una rarità rispetto all’idea di possesso implicita in molte canzoni pop…
Ho imparato sulla mia pelle che quando un amore finisce può rinascere sotto un’altra forma, e che è sbagliato trattenerlo, non puoi forzare qualcosa che è in mutamento.
I testi di Amor proprio mostrano una certa maturità. Anche la tua musica è cresciuta, è diventata più adulta?
Sono un po’ più cosciente di quello che voglio, anche a livello di suono. La vera differenza è stata quella di lavorare a un’idea per un intero disco, quasi fosse un concept, più che scrivere traccia dopo traccia. La tracklist è una bella montagna russa di emozioni ed è quello che cercavo di restituire a chi ascolta.
Oltre ai featuring di Joan Thiele e Colapesce, hai collaborato nella scrittura con Coez e Franco 126. Hai fatto gruppo con i nomi consolidati dell’indie? Possiamo ancora chiamarla musica indie? Spotify ti indicizza così…
Direi più musica italiana. I nomi che hai citato sono quelli di persone che mi sono state vicine in questi ultimi dieci anni, dall’inizio del mio percorso solista nel 2016. L’anno prossimo saranno dieci anni e questo disco rappresenta la chiusura di molti cerchi.
Abbiamo parlato del percorso di autoanalisi che ha contribuito alla costruzione di questo album. Forse è per questo che nel disco manca il “fuori”, uno sguardo su quello che succede nel mondo. A parte alcuni passaggi in cui canti di un mondo che va a pezzi…
Sono come le suocere di quartiere: mi affaccio alla finestra, guardo fuori e poi torno dentro a scrivere. E vedo che fuori non tira una grande aria. Sicuramente nel momento della scrittura ero più concentrato a risolvere i miei guai.
Oggi molti artisti dicono che non si può non parlare di quello che succede in Palestina…
Si possono anche fare intendere, senza per forza dire per filo e per segno cose specifiche. Quando canto “questo mondo cade a pezzi come fai a viverci bene”, il primo rimando che ti viene comunque è la Palestina. Basta veramente anche una sola frase in una canzone per farti anche capire come vedo le cose, come interpreto l’attualità.

Frah Quintale sarà al Forum di Assago, prima data del tour di sei date nei palazzetti, il 13 aprile 2026. Foto: Carmen Colombo
1 ora d’aria 1 ora d’ansia (con il featuring di Tony Boy) parla di depressione, anche come malattia della società dello spettacolo…
In questa società super performativa non tira una bella aria, però il pezzo dice anche che chi ti ama sarà lì ad aspettarti. Una delle mie fortune è aver combinato qualcosa nella musica a 28 anni, anziché a 18, quando già sapevo selezionare quello che mi faceva stare bene e quello che no. Poi c’è anche il fatto che sono molto testardo, e quando trovo qualcosa di tossico sul mio percorso faccio di tutto per sbarazzarmene.
Il dipinto che c’è nella cover è tuo. Come convivono e si parlano queste due espressioni artistiche, la musica e la pittura?
La scrittura è la mia terapia, la pittura è la mia meditazione, mi aiuta a svuotare la mente.
La cassetta degli attrezzi che hai dipinto è una metafora…
È una metafora dell’essere aperti: quando tu apri una cassetta di attrezzi è super disordinata, ed è un po’ come quando finisci una relazione e sei confuso, disordinato, però sei in grado di imparare a riconoscere quali sono i tuoi strumenti, le tue forze e le tue debolezze,. Dopo questo disco — preciso, non è che sono Dalai Lama – ho trovato un equilibrio, per il me di adesso.
Ti sei aggiustato.
Ho sistemato delle cose, ma c’è sempre bisogno di fare manutenzione.

È un disco più analogico dei precedenti…
Sì, ho lavorato di più sui pezzi a livello embrionale, ho cercato di farli stare in piedi anche senza grosse produzioni. Uno dei miei pezzi preferiti del disco è Chiodi, una canzone che nasce chitarra e voce, a cui poi ho aggiunto altro ma che sta in piedi anche nella versione iniziale.
Uno dei pochi rappresentanti della nuova scena con cui hai collaborato è Tony Boy. Potrebbe essere lui il nuovo Frah Quintale?
È una bella penna, ci siamo frequentati quando è arrivato a Milano. Abbiamo un’attitudine simile, è uno che sa dove vuole andare, umilmente, a testa bassa.
C’è un disco che ha influenzato più di altri Amor proprio?
Never Enough di Daniel Caesar. Lui è un cantante canadese r&b, e il suo album del 2023 l’ho consumato: mi è servito per capire delle cose su di me, sia a livello artistico che personale.














