FKA Twigs, la vulnerabilità è sexy | Rolling Stone Italia
The Rolling Stone Interview

FKA Twigs, la vulnerabilità è sexy

Leggete questa intervista se volete capire chi è la cantante di ‘Eusexua’ e ‘Magdalene’, il suo passato, le sue idee, i suoi talenti, le sue aspirazioni

Foto: Sacha Lecca per Rolling Stone US. Make up: Kabuki

La prima cosa che ha fatto, dopo essersi esibita in un grande festival nei Paesi Bassi è stata andare in un tempio della techno, il posto dove mettono la migliore musica elettronica della zona, o almeno così le avevano assicurato. FKA Twigs non si è neanche cambiata, ci è andata subito dopo il set indossando la giacca rossa e i pantaloni di pelle che aveva sul palco.

«Magari quella roba durante il concerto sembra incredibile, ma giù dal palco mi fa somigliare a una Power Ranger», dice ridendo. Di certo, una volta arrivata al club non ha granché impressionato la tizia che stava alla porta. «Mi fa: “Sei già stata qua?”. E io nel mio completo da Power Ranger: “No”». Interrogata, Twigs non sapeva nemmeno chi era il dj quella sera. «“Allora” mi dice “fatti da parte, leggi le regole del club e memorizza i nomi di tutti i dj».

Twigs lo ha fatto e ha aspettato che la donna tornasse. «E alla fine sono entrata, ma è stato buffo perché mi ha guardata e ha detto: “Tu sei una che è mai uscita la sera”. Non le ho risposto che avevo appena fatto un festival da headliner. L’ho presa con filosofia e ho fatto quel che dovevo fare».

Storie come questa – l’attesa fuori dal club, l’euforia sulla pista da ballo, le ore piccole – hanno dato forma a Eusexua, l’album uscito a gennaio, e a Eusexua Afterglow, che è arrivato a novembre. I due dischi segnano un nuovo capitolo nella storia oramai decennale di Twigs, popstar dalla visione futuristica e dall’immaginazione sconfinata.

Twigs è una che si mette a nudo trasformando in musica traumi, tribolazioni, vulnerabilità, storie che vanno dalle dinamiche sessuali complesse al razzismo fino all’operazione che ha subito per rimuovere dei fibromi. Al di là della musica, ha anche parlato apertamente di una relazione violenta e ha dovuto gestire un problema potenzialmente disastroso – il suo team dell’epoca non aveva ottenuto visti e documenti in tempo, costringendola a cancellare il Coachella e a riprogrammare una serie di concerti – che ne ha fatto quasi deragliare la carriera.

Nonostante tutto, il 2025 è stato un anno di svolta per Twigs che in questa intervista parla di identità, di vulnerabilità e degli ostacoli che ha voluto superare per diventare sé stessa.

Partiamo da Eusexua Afterglow, che è il sequel di Eusexua. Che cos’è che ti ha fatto pensare che il lavoro non era finito, che c’erano altre storie da raccontare?
Sto ancora scoprendo chi sono in quanto artista. All’inizio mi consideravo un’artista visiva o una performer ed è stato quindi interessante e anche un po’ una lotta cercare di far rientrare la mia musica nel formato tradizionale degli album. Mi succede spesso, una volta chiuso un progetto, di vivere una sorta di coda creativa. In quanto alle canzoni di Afterglow, direi che un buon 80-85% sono venute fuori nell’arco di un paio di mesi. Un paio erano idee che avevo da molto tempo come Wild and Alone, che ho iniziato a scrivere dieci anni fa ed era persino uscita di straforo. Ho avuto un problema di leak, sono finiti online 85 demo tra cui quello. Così ho reimmaginato la canzone per cambiarla e quando l’ho finita, ho pensato che era perfetta per PinkPantheress. Anche Stereo Boy è frutto di un lavoro fatto alcuni anni fa, ma il resto è venuto fuori nell’arco di sei settimane di sfogo creativo, ispirazione, libertà, incontri con nuovi e straordinari collaboratori. Tramite un’amicizia comune ho conosciuto il produttore e dj techno underground Manni Dee e assieme ci siamo buttati in una folle maratona creativa, intere settimane in studio a fare solo quello. È stato tutto molto naturale, abbiamo seguito il flusso.

Parlami delle esperienze che hanno ispirato le canzoni, in particolare quelle nei club che sono centrali sia in Eusexua che in Eusexua Afterglow.
Ho una doppia personalità. Da una parte sono una purista assoluta, una che prende molto seriamente il lavoro. Se scopro una cosa, voglio indagarne e anche celebrarne le radici, studio, vado a fondo. E questo è Eusexua. Ho sempre detto che non è esattamente un disco dance, è una lettera d’amore al modo in cui la musica dance mi fa sentire ed è ovviamente influenzato dalla dance. È cristallino, molto HD, molto “presente”. E poi c’è l’altro lato della mia personalità, che è tipo: io la festa te la faccio esplodere, tengo tutti qua fino alle prime ore del mattino. Afterglow parla del momento in cui lasci il club e non vuoi andare a casa. Inizia con Love Crimes per poi entrare in una fase divertente e sexy, come quando ti senti sballata. In quel momento inizi a mettere in discussione la tua vita, mentre le persone iniziano ad andarsene. Sai, quando sei fuori e ti stai divertendo, però poi cambi stanza e ti penti. Le persone entrano nella stanza e senti che l’energia è cambiata. O al contrario la gente esce e tu pensi che c’è bisogno di quelle persone lì, che devi restare con loro tutta la notte. Il secondo terzo del disco rappresenta quel momento in cui fai i conti con te stessa.

Hai detto che Eusexua parla della ricerca di uno spazio euforico in cui trascendere la prorpia natura umana. Perché è importante?
Perché la vita può essere dura, stressante, piena di tensioni. Penso spesso ai giovani che crescono online con tutte le pressioni che questo comporta. Se qualcuno mi pagasse 10 milioni di sterline per tornare ad avere 16 anni, rifiuterei. Non riesco nemmeno a immaginare cosa significhi avere oggi 12 o 13 anni, subire la pressione di creare un io online che resterà indelebile quando cercherai il primo lavoro e ogni posizione politica che hai preso, ogni idea che avevi a 16 anni, ogni persona che hai frequentato, ogni amico che avevi, il modo in cui ti vestivi, le idee che stavi iniziando a sviluppare, tutto è tracciato. Rischi di essere ridicolizzata, fatta a pezzi, giudicata. Anch’io ho sentito quel tipo di pressione.

Eusexua è un disco sull’accettare se stessi e accettare gli altri. Parla di tolleranza, di presenza, di rendersi conto che siamo molto più dei nostri corpi. Siamo luci bellissime. Parlo sempre della luce che ho nel petto. Io non sono FKA Twigs. Non sono nemmeno Tahliah. Sono una piccola luce dentro al mio petto, piena di amore e di possibilità infinite. Voglio entrare in connessione con gli altri. Siamo molto più della pressione che subiamo, molto più delle idee che abbiamo su chi pensiamo di essere. Non sono la prima a pensarla in questi termini, ma forse per la prima volta ci credo davvero.

Eusexua è entrato nella shortlist del Mercury Prize ed è stato candidato ai Grammy. Che effetto ti ha fatto?
Non so se è perché è più popolare di altri miei album, ma mi è capitato di leggere commenti negativi e so quanto possono essere duri con me alcuni miei fan e lo capisco, fa parte del lavoro che faccio. Ma mi ha creato un po’ di confusione prima pensare che forse il disco non era piaciuto e poi andare a un festival e vedere 80 mila persone che canatano le canzoni a memoria. Mi capita a volte di imparare dalla me stessa più giovane. C’è una canzone che ho scritto e che si chiama Figure 8, dice: “Puoi toccarlo? È reale?”. A volte le reazioni a quel che fai non contano proprio perché non le puoi toccare. L’unica cosa sicura è l’intenzione che avevi quando hai creato quella cosa e la gioia che ti dà nel suonarla e nel condividerla con gli altri.

Foto: Sacha Lecca per Rolling Stone US

Sei sempre stata un’artista inclassificabile. Ti sembra che le persone abbiano iniziato a capire la tua arte?
È una domanda difficile, perché io sono al centro di tutto questo e quindi non ho la giusta prospettiva. Voglio fare un passo alla volta. Sento vicini quegli artisti che ottengono un successo pazzesco e improvviso, e si esibiscono di fronte a folle immense senza aver ancora trovato un loro equilibrio. Ma quando ti esibisci, quell’equilibrio lo devi trovare. Io ci sono riuscita quand’ero più giovane, quand’ero la cantante del Box, un cabaret di Londra. Era un posto selvaggio. Le persone mi tiravano addosso i drink, urlavano, erano tutti nudi, ma questa cosa mi ha resa più forte come performer. In verità mi piace quando qualcosa va storto sul palco perché mi costringe a pensare come rimediare.

Quand’hai capito che volevi essere una performer? Hai iniziato a esibirti prestissimo…
Non ne ho mai parlato davvero, è una cosa che non riesco a spiegare. Con gli altri bambini ero impegnata in una gara di danza, ma nella mia testa non era quello che stavo facendo. Interpretavo la parte di Pollicina e quando era sul palco, pensavo di essere davvero Pollicina. Nella mia mente c’erano funghi giganti e farfalle enormi. Se stavo facendo un passo, non era: «Ecco uno step-ball-change». Era tipo: «Stai andando di là perché l’erba è alta e devi farti strada». Era un momento magico in cui potevo creare un mondo. (Comincia a commuoversi, nda). Mi emoziona perché è lì che vorrei stare tutto il tempo. È quello che voglio fare con la mia musica: creare un mondo in cui le persone possano immergersi. Ecco cosa voglio.

Hai ballato nei video di Kylie Minogue e di altri. Cosa ricordi di quel periodo?
Lo amavo e lo odiavo, ma ho imparato molto e mi ha preparata a quello che sarebbe successo poi. Tutti i ballerini passano attraverso quel ciclo infinito di provini e casting. Un giorno cercano quattro ragazze sexy che ballino tipo Bollywood e ci fai su un pensierino, il giorno dopo vogliono ballerini con una formazione classica e di una certa età e pensi di provare anche quello. In pratica, tentavo di rientrare in qualche categoria a cui però, in quanto persona di razza mista, non appartenevo mai fino in fondo. Cercavo di assimilarmi a qualcosa che non era al 100% ciò che ero. Lo era… ma quasi. Tra un provino e l’altro mi cambiavo letteralmente nelle toilette della metro o nei bagni pubblici. Ero sempre un po’ frustrata. Ma sono riuscita a lavorare con registi incredibili molto presto nella mia carriera come Romain Gavras e Daniel Wolf. Gavras mi ha scelta per una pubblicità dell’Adidas, c’era anche Little Simz. Valeva qualche migliaio di sterline, ha rappresentato una salvezza. Ricordo di aver fatto il provino di danza e avere pregato: «Ti prego, Dio, se mi concedi questa pubblicità dell’Adidas, diventerò la persona migliore del mondo, gentile, generosa e dolce».

Ci sono altri video o esperienze sul set di quel periodo che ti sono rimaste?
Kylie era fantastica. Non partecipava alle prove, è arrivata il giorno prima: dolce, presente, una piccola creatura adorabile. È arrivata e ha detto: «Ok, dove devo stare? Che movimento devo fare?». E poi: «Ok, fatto». E io intanto pensavo: «Ma come, è una settimana che noi lo proviamo e a malapena lo so fare». Poi abbiamo fatto una prova generale e lei ha eseguito ogni singolo passo alla perfezione. Anni dopo l’ho rivista a una festa. Le ho detto che ero una delle sue ballerine nel video. E lei: «Lo so e mi riempie d’orgoglio».

Com’è cambiata la tua scrittura, quand’è che hai cominciato a mostrarti tanto vulnerabile? In Magdalene parli di interventi chirurgici e dolore fisico in modo molto schietto.
Molto semplicemente, mi piace dire la verità. Devo dire la verità. Da adolescente faticavo a dare un senso alla mia identità, al posto da cui venivo e dove sono cresciuta. Era una zona molto bianca ed essendo una persona di razza mista non è stato facile. Ho conosciuto il mio padre biologico solo dopo, ma avevo un patrigno che mi ha cresciuta ed era nero. Ogni cosa aveva un senso, ma non fino in fondo. Era difficile perché la mia famiglia apparteneva alla classe operaia di Birmingham, ma mia madre mi ha spinta a studiare e ad entrare in una scuola privata nelle Midlands. Mi metteva sotto coi compiti ogni singolo giorno. Sono entrata in quell’ottima scuola grazie a una borsa di studio, mentre gli ragazzi che la frequentavano avevano un sacco di soldi, erano dei privilegiati. Noi invece vivevamo in un appartamento minuscolo, mia madre campava coi sussidi, non avevamo praticamente nulla.

Ho ricevuto una buona istruzione, mi hanno inseegnato l’importanza di esprimersi correttamente, usare bene le parole, scrivere bene. Instillavano fiducia negli studenti, il che è fantastico, ma non la trovavo una cosa reale perché non ero bianca e non appartenevo alla classe media o alta. È stato un periodo strano anche quando mi sono trasferita a Londra, ero una ragazza di carnagione scura della classe operaia che però parlava bene e aveva ricevuto un’istruzione di livello, ma ai miei amici del Croydon College non volevo dire che ero andata in una scuola privata grazie a una borsa di studio. Che non conoscevo mio padre. Che quella settimana a casa non potevamo permetterci di comprare da mangiare. Sono stata protetta durante l’adolescenza affinché potessi adattarmi ovunque andassi, anche se poi di non riuscivo ad adattarmi da nessuna parte. Così, quando sono arrivata ai 20 anni ho scoperto scene alternative e queer…

Spazi in cui potevi essere te stessa.
Oh mio Dio, che sollievo è stato incontrare gente che aveva avuto un’infanzia simile alla mia o che mi somigliava di più, o che la pensava come me. E poi un giorno per puro caso, quand’avrò avuto più o meno, 23 anni, ero in taxi e ho chiesto cosa facesse. E lui: «Sto andando a un seminario di life coaching». «E cos’è un seminario di life coaching?». «È quando qualcuno ti parla di come vivere la vita per migliorarla». Mi sono detta: ok, ci vado anch’io, tanto non sto facendo niente. Ed è stato incredibile. Il tizio che parlava ha detto: «La vulnerabilità è sexy». Ha cambiato il mio modo di scrivere. Ho capito che potevo scrivere di dinamiche sessuali complicate o della ricerca della mia sessualità in LP1, come nella canzone Kicks, scrivendo di masturbazione o altro. Ho cominciato a chiedermi: a proposito quale argomento posso dire la verità? Ai tempi di Magdalene avevo i fibromi e avevo provato un dolore incredibile, operazioni, eccetera. E mi sono detta: “Apples, cherries, pain”, questa sono io adesso.

Foto: Sacha Lecca per Rolling Stone US

Ora che sei un personaggio pubblico, ti capita di non voler condividere certe cose?
In un certo senso sì, perché durante Eusexua sono successe molte cose. C’è stata una tournée folle ed è stato strano perché i fan pensavano stesse succedendo una cosa e invece era l’esatto opposto. Ho avuto a che fare con gente che pensava di sapere tutto di me, ma non era così. A un certo punto ho preso una decisione: «Sai cosa? Non sono affari di qualcun altro, devo affrontare questa cosa, comportarmi da donna adulta, incassare il colpo e sistemare le cose». L’ho fatto e sono orgogliosa di come sono riuscita a gestire la situazione e non cadere nel baratro.

Quella situazione ti ha spinta a prendere in mano la tua carriera. Cosa ha significato per te?
Se dovessi dare un consiglio a un artista, sarebbe di cercare di capire quel lato fin dal principio. Soprattutto se si tratta di una ragazza di colore. Quando ho iniziato, l’idea era: «Fai la tua cosa, falli applaudire, e via con una pacca sul sedere mentre sali sul palco». Sei lì a fare il tuo numero e non capisci che c’è un business enorme, mostruoso, e che il mondo ti offre infinite possibilità e puoi creare di tutto. E intanto gli altri fanno i soldi su di te. È stato incredibile colmare questo divario. Il mio patrigno è stato fantastico, ha lavorato in finanza e mi ha spiegato tante cose, ha controllato, ha partecipato. E anche il mio compagno mi ha aiutata a sentirmi protetta e a comprendere certi meccanismi. Sto ancora imparando. Non ho idea di cosa sto facendo. Dentro, sono ancora la bambina di 7 anni su quel palco che crea funghi giganti nella sua testa e saltella in campi d’erba immaginari, ma ora la posta in gioco è altissima.

Hai anche recitato ad esempio The Carpenter’s Son con Nicolas Cage. Qualche aneddoto su di lui?
Sul set si parlava di uscire la sera con la truccatrice. Eravamo ad Atene. «Chissà se troviamo un rave o qualcosa nel weekend», ci chiedevamo. Nick è un tipo cool. Volevo parlare un po’ di più con lui, ma sta sulle sue e quindi ho deciso di rispettare il suo spazio. Ma ha origliato la nostra conversazione e ha detto: «Uscite stasera, ragazze?». «Sì, vorremmo fare qualcosa nel weekend». «Andate a tirar fuori gli ya-yas?». E io: «Tirar fuori gli ya-yas?». Da allora mi è rimasto dentro. Ogni volta che esco penso: «Andiamo a tirar fuori gli ya-yas».

Siete riuscite a convincerlo a venire con voi al rave?
Assolutamente no. Nick credo abbia il sistema di de-rigging più veloce che abbia mai visto. Il de-rigging è quando ti togli il costume di scena. Non facciamo in tempo a finire di girare la scena che lui è già tornato dalla famiglia. Mi ispira. Nick è anche uno che si concentra subito, è ok fin dal primo ciak.

In Eusexua fai rappare North West in giapponese.
Ye ha aiutato a organizzare la cosa tramite un amico, all’inizio. E poi Kim è stata molto disponibile e gentile e ha aiutato a chiudere la cosa. Abbiamo fatto il video ed è una delle prime volte in cui l’ho vista lasciarsi andare un pochino. È cool, dolce, coi piedi per terra. Era giocosa e brillante, non l’avevo mai vista così. C’è qualcosa di incredibile in quell’età, dai 10 ai 15 anni, quando ti incoraggiano a fare una cosa che ami. Sono grata di aver collaborato con lei. È strano perché quella canzone l’ho scritta quando avevo anch’io 12 o 13 anni.

L’anno prossimo ti esibirai finalmente al Coachella. Cosa ti emoziona di più di questa seconda opportunità?
Saranno dieci giorni folli perché suono al Coachella, che ovviamente è un sogno per chiunque, e poi allo show annuale della Martha Graham, per poi tornare al Coachella. Sono due facce della mia identità. Da una parte esibirmi a Coachella e a Los Angeles, questo festival incredibile, carico di magia e divertimento; dall’altra venire a New York in un teatro per celebrare i 100 anni della Martha Graham e interpretare uno dei loro pezzi originali. Poi di nuovo sull’aereo per tornare al Coachella per il weekend. È divertente. Chissà come mi sentirò in quelle due settimane, è la congiunzione tra due aspetti della mia identità.

E poi cosa ti piacerebbe fare?
Sto pensando molto all’opera. Non vedo l’ora di invecchiare perché voglio ballare come donna non più giovane. Voglio mettermi alle spalle la sessualizzazione che deriva dall’essere donna in una certa fascia d’età. Non vedo l’ora di avere la pelle raggrinzita, indossare un vestito e svolazzare in giro.

Da Rolling Stone US.

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