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Fast Animals and Slow Kids, a 20 anni «matti fuori controllo», a 35 il disco con l’orchestra

Intervista ai FASK: dallo stage diving ai violini, una vita in bilico come quella di tanti musicisti, «però felici per le persone che ci hanno ringraziato, abbracciato, hanno pianto, si sono tatuate le nostre canzoni»

Foto: Francesco Rampi

Un’intervista ai Fast Animals and Slow Kids è più un simposio che un dialogo. Nel rispondere alle domande Aimone Romizi, Jacopo Gigliotti, Alessio Mingoli e Alessandro Guercini parlano prima di tutto tra loro. Si rivolgono l’uno all’altro, si guardano, discutono come se dovessero prima di tutto trovare un punto comune e poi riportarlo a chi cerca di raccontarli. Sarà per il patto “R.E.M.” fatto sin dall’inizio, che alla fine è un patto di amicizia ed equità, o per il fatto di essere, ancora prima di una rock band, un gruppo di amici che fa ancora le vacanze insieme dopo 15 anni di «siamo i Fast Animals and Slow Kids e veniamo da Perugia».

Quando suonano sono una band, quando parlano sono un coro. Con pure l’orchestra, adesso, visto che hanno deciso di fermare su disco l’esperienza fatta dal vivo la scorsa estate con La Corelli diretta dal maestro Carmelo Emanuele Patti (già collaboratore della band per le parti orchestrali degli ultimi album) pubblicando l’album live Fast Animals and Slow Kids dal vivo con orchestra. Il tutto dopo che anche in primavera, reduce da un tour acustico, la formazione aveva calcato i palchi al fianco di un’orchestra da camera di sei elementi.

Ci avete preso gusto a suonare con l’orchestra, ormai?
Aimone Romizi: Un po’ sì, ma chi è che non ci prenderebbe gusto? Per qualunque musicista immaginare di suonare le canzoni che faceva in saletta da solo in provincia con 32 professionisti è un traguardo parecchio interessante.

Riflettendoci Cavalli, il vostro primo album, l’avete inciso per avere materiale da suonare dal vivo, canzoni da portare sul palco. Questa volta avete fatto il contrario: prima i live con l’orchestra, riarrangiando i vostri brani, e poi la cosa vi è piaciuta talmente tanto che avete deciso di farci un disco.
Aimone: Sì è vero, credo dipenda semplicemente dal fatto che nel mezzo è passato un sacco di tempo. All’epoca di Cavalli non sapevamo nemmeno cosa fosse uno studio di registrazione, io non avevo nemmeno una chitarra e per registrare il disco me l’avevano prestata. Stavamo scoprendo la musica, mentre con questo album dal vivo con l’orchestra è stato un discorso di rinnovamento, voglia di cambiare e migliorarsi, cercare nuovi stimoli emotivamente forti.
Alessandro Guercini: A me però dispiace che non sia finito nessun pezzo di Cavalli nel disco. Perché è bello ascoltare questo album e sentire tutti i nostri pezzi insieme, come se fossero allo stesso livello anche se appartengono a epoche distanti.
Alessio Mingoli: Forse l’unico punto in comune tra questi due percorsi, quello che ci ha portato al primo album e quello che ci ha portati a questo, è la centralità della dimensione live, che continua a essere fondamentale per noi. E l’idea dietro ai live con l’orchestra è stata anche la sfida di portare a un nostro concerto anche chi magari non ci era mai venuto.

È ironico che siate passati dagli strumenti suonati dei vostri primi dischi ai synth e alle batterie elettroniche dei lavori successivi e infine, per il vostro primo album dal vivo, a un’intera orchestra. Sentivate la mancanza degli strumenti – sto esagerando, chiaramente non li avete mai abbandonati – ma quelli di una band non vi bastavano più?
Alessio: A dire la verità anche negli ultimi due dischi c’è una parte orchestrale importante, sempre curata da Carmelo Patti. Questo proprio perché questa dimensione orchestrale ci piace da sempre molto.
Aimone: In realtà è tutto molto naturale per noi, il nostro percorso è un fluire armonico, quello che facciamo ci risulta molto spontaneo e normale. A volte è anche una questione di opportunità e di coscienza. Un concerto con orchestra, per esempio, dopo 15 anni di musica possiamo affrontarlo, sappiamo di poterlo gestire, supportare e sopportare anche grazie all’esperienza accumulata nel corso degli anni. Ci ha richiesto comunque un impegno notevole, suonare in un’orchestra non è una roba da poco. Devi provare come un drago perché significa prendere le canzoni che pensi di conoscere, stravolgerle, scarnificarle e poi aggiungere strumenti e persone, imparando a dialogare con loro. Accogliere un grado di rischio così alto è un buon modo per mantenersi freschi e attivi.

Dopo questi ultimi live con la formula orchestra per i prossimi pensavate di proporre qualche altra novità o tornerete alla vostra formula più classica di schitarrate e stage diving?
Aimone: Eh, questa domanda è tricky.
Alessandro: Diciamo che questa esperienza ci ha lasciato addosso parecchi spunti di riflessione per il futuro. Però a volte è anche bello fare il contrario di quello che hai appena fatto.

Si può sempre tornare indietro, insomma.
Aimone: (Ride) Si può, si può. Avanti e indietro, come ci pare. La musica è un viaggio nel tempo. Ci stiamo ragionando ma ci sono idee matterelle per i prossimi live.

Se faceste parte di un’orchestra voi che strumento vorreste suonare?
Aimone: Il timpano, probabilmente.
Alessio: Il fagotto.
Jacopo Gigliotti: Il gong.
Aimone: Una volta sola ma epocale!
Alessandro: Io non ne ho idea, non ne ho proprio idea.
Aimone: A dire la verità il mio strumento preferito è il corno francese, ho una passione per quella timbrica là. Ci provo a ogni disco a inserirlo ma sembra una nave che attracca quindi me lo bocciano sempre.

Foto: Francesco Rampi

È la prima volte che pubblicate un album che non sia un album in studio d’inediti. State iniziando a ragionare da band di successo che pubblica i greatest hits, gli album live, le ristampe?
Aimone: Ci stai dando dei vecchi, oh!
Alessio: In molti in effetti ci hanno detto che sembra un po’ una forma di autocelebrazione, ma in realtà per noi è più un regalo che ci siamo fatti, un’esperienza che ci siamo regalati.
Aimone: In realtà era già da diversi anni che volevamo lavorare con un’orchestra ma fortunatamente l’abbiamo fatto adesso che siamo più maturi. Se ci pensi a livello di registrazione puoi sempre avere un’orchestra, digitalmente hai accesso a qualsiasi tipo di timbro nel momento esatto in cui lo vuoi. Per noi però non si trattava di un disco, si trattava di vita. L’idea era che quello che le persone avevano visto dal vivo sarebbe stato poi quello che avrebbero potuto anche ascoltare su disco.

Il prossimo album in studio invece quando? Avete già iniziato a pensarci?
Aimone: Eh, si vedrà. Però sì, ci pensi sempre, dal giorno in cui esce il disco inizi a pensare a quello nuovo. Noi poi abbiamo questa regola che entro un mese dall’uscita del disco nuovo dobbiamo scrivere almeno un pezzo inedito.
Alessandro: Se no ci sciogliamo, finita per sempre.
Aimone: Aggiungo che noi vediamo la musica anche come qualcosa che ha a che fare con la costanza e con l’impegno. Scriviamo canzoni meno belle nel momento in cui scriviamo meno canzoni. Più roba fai più a un certo punto arriva la magia, l’ispirazione, che magari arriva da una giornata uggiosa e si trasforma in magia all’interno di una canzone. Ma se nel frattempo non stai scrivendo magari non hai neanche la sensibilità di coglierla. Per noi la musica deriva da un insieme di sensibilità nei confronti di quello che ci sta accadendo e da un grande lavoro.

Ora che non siete più esattamente degli esordienti vi capita mai di avere uno sguardo come potrebbe essere stato, per esempio, quello di Andrea Appino degli Zen Circus nei vostri confronti quando è diventato produttore del vostro primo album? Cioè di iniziare a sentire la responsabilità di poter fare da viatico per la carriera di altri artisti?
Aimone: Mmmh, il concetto di mentore e di guru a noi non piace per niente. Appino con noi era tutto fuorché un guru. Era semplicemente un grande, un preso bene, carichissimo per noi. Ci ha insegnato un sacco di roba ma non voleva farlo, siamo noi che abbiamo rubato da lui, è diverso. Per lui dovevamo fare semplicemente quello che volevamo. Ed è giusto così, mai fidarsi di chi ti dà consigli su come migliorare la tua musica. Zero. Per quanto ci riguarda vai avanti da solo e se spacchi faremo di tutto per spianarti la strada, aiutarti e dirti, per esempio, di non firmare un contratto fatto così. Dritte quasi più burocratiche alla fine.

Ve lo chiedevo pensando per esempio ai Santi Francesi che hanno aperto il vostro concerto al Fabrique a Milano nella primavera dello scorso anno e che vi hanno coinvolti nel loro brano Spaccio.
Aimone: Nei loro confronti abbiamo provato solo orgoglio, ma non abbiamo mai voluto essere dei guru. Lui (Alessandro De Santis, nda) ci ha raccontato che si ricorda perfettamente un concerto dei FASK in cui era venuto a vederci e si era messo a piangere in mezzo al fango. Si è anche tatuato un pezzo nostro. Sono due persone connesse a noi in maniera emotiva e personale, lungi da noi consigliare loro qualsiasi cosa che possa andare a intaccare la loro purezza musicale. Spaccano e dal vivo sono meravigliosi. Quello che possiamo fare è dire a tutti di ascoltarli ma sicuramente non interferire nella loro musica.

A proposito di spacciare rock’n’roll, come cantano i Santi Francesi nel pezzo con il vostro featuring, il tipo di musica che suonate è storicamente associato a un immaginario spesso fatto di eccessi e trasgressioni. Vi ci sentite vicini?
Alessandro: No, per nulla. Veniamo da ascolti che non so quanto siano legati all’eccesso. Adesso sto leggendo la biografia di Lou Reed, che è super bella, super rock, molto interessante e burrascosa, però sono anche belle le storie di band normali. Mi vengono in mente gruppi che ascoltavamo da ragazzini come i Jimmy Eat World, per esempio, band abbastanza semplici, che non puntano molto su quell’aspetto lì.
Aimone: C’è tutto un mondo di controcultura in cui l’eccesso era semplicemente la musica stessa. Spesso se ne parla in modalità gossip ma l’eccesso può essere anche follia creativa e da questo punto di vista possiamo dire di averlo sempre cercato.
Alessio: Poi diciamo che la nostra vita non è proprio normale, è una vita molto disgregante. Anche se la normalità è un concetto strano.

Ci sono fan che pensano che grosso modo da Animali notturni in poi siate diventati più commerciali e mainstream. Visto che si tratta di espressioni molto utilizzate nel mondo della musica, ma anche molto vaghe e generiche, voi come le interpretate? Sono termini e concetti sui quali vi capita di ragionare oppure è l’ultimo dei vostri pensieri?
Aimone: È già complesso trovare una sintesi tra queste quattro teste che sono le nostre. Se dopo che l’abbiamo trovata dobbiamo metterci in sintonia con il mondo intero diventa un casino. Possiamo solo accettare che il mondo ci tiri dietro limoni o trofei, interrogarsi troppo su questo ti fotte il cervello. È normale che ci sia stata un’evoluzione, anche solo il tema dell’età per me è totale.

Cioè?
Aimone: A vent’anni ero un matto fuori controllo, adesso mi sento perlomeno una persona leggermente più tranquilla, anche rispetto a velleità che avevo e che non ho più. Pensa che per i primi quattro dischi non ho mai detto la parola amore. Questa roba era un blocco psicologico pazzesco. Non mi sentivo intellettualmente forte, non mi sentivo capace di poter sorreggere una parola di quel tipo lì o semplicemente mi immaginavo di essere un po’ troppo banale nel dirla perché mi sembrava abusata. Questa roba è tutta merda che nascondi nel cervello e la devi buttar fuori prima di subito. Poi la nostra musica, e non è scontato, attinge alla nostra intimità, che non è immutabile. Per ogni disco che suoniamo io so esattamente dove sono e so quale Aimone, Alessandro, Jacopo e Alessio stanno suonando in quell’istante.

Nel documentario a episodi che avete diffuso su YouTube un paio d’anni fa dicevate che vivere di musica a livello economico è sempre una scommessa e che non ci si può mai considerare arrivati, tranquilli. Tu Aimone usavi l’espressione «sei sempre nel vento». Lo pensate ancora?
Aimone: Assolutamente sì. Tieni conto intanto che noi siamo una band vera e propria e indipendentemente da chi scrive dividiamo tutto per quattro. Questo da sempre e per sempre. Quindi già gli incassi personali non sono gli stessi magari di un cantante solista.
Alessio: Ma anche nel caso di un solista la scelta di vivere di musica difficilmente è una scelta sicura, eterna, tutto il castello può crollare in tre secondi. Anche quando le cose vanno benissimo sai che sei lì in quel momento e potresti non esserci più il giorno dopo.
Aimone: È vero, per un musicista la via della cicala è totalizzante. Non c’è un attimo di formica, la formica non è mai arrivata.

Total cicala, suona bene.
Aimone: Completamente, stai lì con le braccia alzate a ballare tutta l’estate. È questa la grande verità. Allo stesso tempo penso che ci sia una sorta di sicurezza che non ha a che fare con la musica ma con la tua vita. Nel senso che sono sicuro che quando tutto questo finirà, qualsiasi tipo di lavoro andrò a fare, lo farò con un sorriso gigantesco, con la serenità di aver investito gli anni migliori della nostra vita nel tentativo di fare la musica più bella che ci veniva in testa, con persone che ci hanno ringraziato, abbracciato, hanno pianto, si sono tatuate le nostre canzoni. È questa la nostra sicurezza.

Quando avete iniziato c’è qualche promessa che vi siete fatti? Al di là dell’obiettivo di vivere di musica, c’è altro? Penso magari a una sorta di codice etico, a un patto tra voi e con il mondo.
Aimone: Sì, c’è un momento specifico in cui abbiamo sigillato un patto, l’abbiamo chiamato il patto R.E.M., una band di cui siamo molto fan. In pratica abbiamo visto un’intervista di Michael Stipe in cui raccontava che loro si erano accordati sin dall’inizio sul fatto che qualsiasi cosa fosse successa ognuno di loro quattro avrebbe sempre avuto lo stesso peso degli altri in qualunque discussione sulla band. La band stessa, spiegava, andrà avanti solo fino a quando non capiterà che qualcuno farà qualcosa di stronzo, di emotivamente crudele, nei confronti degli altri. Ecco questa cosa, il nostro patto R.E.M., ci tiene in piedi. Sono tanti anni che suoniamo insieme e andiamo in vacanza insieme perché abbiamo un profondo rispetto l’uno dell’altro.

Ma dopo 15 anni di musica, sei album, un sacco di collaborazioni e pure l’orchestra e l’album dal vivo il vostro posto del cuore è ancora la casa sul Lago Trasimeno?
Alessandro: Eh, come band sì, ancora oggi è probabilmente la casa sul lago, il Macchione. È il posto dove abbiamo registrato i primi tre dischi ed è una dimensione spazio-temporale a sé, spazio e tempo si fermano.
Aimone: L’ultima volta erano due giorni che fuori infuriava una tempesta assurda e solo al secondo giorno di bufera ci siamo accorti che fuori pioveva. Magari esci da là dopo quattro giorni e il risultato è una canzone, ma è una canzone all’interno della quale hai galleggiato per quattro giorni. È oggettivamente un posto magico, non so perché. Dopodiché c’è il mondo, perché in tutto questo non bisogna dimenticare che viaggiare è fondamentale. In alcune cose che stiamo facendo ci sento l’Argentina, la Patagonia, che è stato l’ultimo grande viaggio che ho fatto. Quello però è più privato, come sistema band è la casa al lago. Macchione forever.

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