Enrico Ruggeri: «I cantanti non prendono posizione per paura dei social» | Rolling Stone Italia
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Enrico Ruggeri: «I cantanti non prendono posizione per paura dei social»

E poi, le restrizioni anti-Covid e la accuse d'essere fascista, i danni della didattica a distanza, gli album che non ha più senso fare. E la liberazione di Chico Forti, a cui è dedicato il nuovo singolo 'L'America'

Enrico Ruggeri: «I cantanti non prendono posizione per paura dei social»

Enrico Ruggeri

Foto: Angelo Trani

Un nuovo singolo «per dare una spallata» affinché una vicenda dolorosa possa concludersi al meglio, un romanzo «per il quale non potevo sbagliare un aggettivo» visto che tratta un periodo delicato della storia recente dell’Italia e un atteggiamento punk che in fondo in fondo rimane immutato nonostante il passare del tempo: «Oggi ho più rabbia rispetto a quando avevo 18 anni».

Enrico Ruggeri rimane uno dei pochissimi che non svicolano di fronte a nessuna questione, sia a livello di impegno civile che di esposizione del proprio pensiero. È così che è nato il singolo America (Canzone per Chico Forti) dedicato alla vicenda che da 20 anni tiene in sospeso la vita di un uomo nelle carceri statunitensi, così come il romanzo Un gioco da ragazzi (La Nave di Teseo) in libreria da qualche settimana, in cui una intensa storia familiare si svolge a cavallo fra le contestazioni del ’68 e gli anni di piombo dei successivi anni ’70.

E nel parlare di questi progetti, l’autore di alcuni dei migliori brani della storia della musica di casa nostra non nasconde una certa insofferenza per le restrizioni dovute alla pandemia. Ma nessun negazionismo, perché lo animano soltanto un immutato senso della giustizia e lo sberleffo verso ogni convenzione tipico dei veri artisti: «Perché oggi il potere è più forte che in passato».

Come nasce una canzone impegnata nel 2021, come questa per Chico Forti che è stato condannato all’ergastolo per un omicidio di cui si è sempre dichiarato innocente?
Come sempre, ci sono pulsioni ed emozioni che uno prova nella vita e rimangono da qualche parte. Poi a un certo punto ti metti con un foglio bianco e il pianoforte e riaffiorano. La sua è una storia evidentemente mi ha coinvolto più di quello che pensavo all’inizio.

Hai deciso di incontrare anche suo zio Gianni Forti. Cosa ti ha colpito di più in chi ha portato avanti per 20 anni questa battaglia?
La determinazione. Ho potuto toccare con mano che, a fronte del disinteresse dell’Italia e di una evidente sudditanza psicologica nei confronti dell’America, ci sono ancora delle persone che si battono come leoni e che in tutto questo tempo non hanno mai mollato. Avevo scritto il brano, però non sapevo quando sarebbe uscito, ma quando la vicenda di Chico ha subito una accelerazione ho pensato che fosse il momento ideale per dare una “spallata” in più per il suo ritorno.

Una questione controversa, come ancora rimane controversa l’interpretazione del periodo che dalle contestazioni del ’68 ha portato agli anni di piombo e che hai deciso come sfondo del tuo romanzo Un gioco da ragazzi.
Per concluderlo, il lockdown è stato propizio, cerco sempre di trarre il meglio anche dai periodi negativi. Comunque con questa storia camminavo sulle uova, su 450 pagine non potevo sbagliare neanche un aggettivo, per cui ho dovuto leggere, rileggere, stracciare, rifare, informarmi. Tutte cose che hanno bisogno di tempo. Pensavo di metterci tre anni, invece con il lockdown tutto si è accelerato. Ho lavorato 5-6 ore al giorno, ma prima non avrei avuto tutto quel tempo da dedicargli fra concerti, tv e altri progetti.

C’è un nodo irrisolto di quegli anni che pensi di aver compreso meglio?
Che nella vita non ci sono buoni e cattivi, ma infinite sfumature. I buoni e i cattivi si trovano solo nei telefilm americani, ma la realtà non è così. È un libro che mette di fronte due ragazzi con un grande senso della giustizia e spinti da sentimenti politici che poi, complici le circostanze e le cattive compagnie, prendono due derive terribili.

Quanto frequentavi l’università (Giurisprudenza) hai anche insegnato in una scuola media di Milano come supplente, italiano e latino. Credi che la didattica a distanza abbia fallito?
Ho due figli, uno di 15 e un altro di 10, oltre a uno di 30, e ho sotto gli occhi ciò che subiscono. Tutto quello che noi siamo per l’80% ci deriva dalla nostra adolescenza, per cui stanno facendo dei danni a questi ragazzi che lasceranno segni per decenni. Bisognava tornare prima a scuola, perché andarci non è solo per la socialità o imparare concetti, ma anche emozioni, per confrontarsi con gli insuccessi, l’amicizia, la complicità, le ingiustizie, tutto quello che ti prepara ad affrontare il resto della vita.

Non ti sei mai tirato indietro nel prendere posizione, recentemente anche contro le restrizioni anti-Covid. Ti sei mai pentito?
Tutte le volte, perché in realtà sarebbe meglio non dire cosa pensi. Se guardiamo l’esposizione dei cantanti italiani è pari allo zero, o vanno dove troveranno un facile consenso. Non si espongono, non rischiano, perché poi il mondo dei social è terribile. Appena dici una cosa fuori dalle righe, ti arrivano, come è accaduto anche a me, minacce di morte, mi dicono «speriamo che ti venga il Covid», oppure «mi auguro che ti intubino». Probabilmente quelli con un carattere più conciliante o fragile hanno paura di trovarsi di fronte a questa ondata. Però è vero che fa effetto quando arriva.

Quindi non è questione di soldi o perdere occasioni?
Come Alessandro Manzoni faceva dire a don Abbondio: il coraggio, uno, se non ce l’ha, mica se lo può dare.

Già nel 1978 cantavi “Che bello, il lavaggio del cervello!”. Mi pare attualissima…
Ancora più di ieri, soprattutto a causa dei social. Rispetto alla tv è cambiato solo il mezzo. Oggi i social sono il Vangelo, tanto che se costruisci un sito con un nome di fantasia, dici una balla, trovi trenta persone pronte a condividerla, alla fine diventa una verità.

Da sinistra ti accusano di essere di destra, da destra di essere di sinistra. Cosa non sopporti della destra e della sinistra?
La divisione in tifoserie. Oggi fondamentalmente si è creato questo cortocircuito, per cui a sinistra vogliono le mascherine e a destra no. Strano, perché magari c’è anche in giro uno di destra che ha paura e vuole metterla e uno di sinistra che non ne può più di questa situazione. Poi è curioso che la difesa della libertà venga da quella parte politica che, proverbialmente, dovrebbe essere meno libertaria. Mi fanno ridere quando mi scrivono “fascista” perché non voglio la mascherina o perché voglio uscire di casa. Puoi darmi dell’anarchico, dirmi che non capisco niente di virologia, ma “fascista” non ha senso.

Non è che in fondo in fondo sei rimasto un punk?
È probabile, per lo spirito ribelle, per un senso esasperato della giustizia e lo sberleffo di fronte alle convenzioni. Sicuramente ho più rabbia oggi di quando avevo 18 anni.

Come mai?
Perché oggi il nemico è più potente.

Dove lo individui questo potere?
In un pensiero comune per il quale determinate cose diventano dei dogmi che vanno seguiti ad ogni costo, con tutto un treno al seguito che si muove a loro favore.

Ho saputo che non hai impellenza di fare uscire l’album, nonostante il singolo per Chico Forti. C’è un motivo particolare?
Perché oggi non ha più senso fare un album. Sai, io sono un signore d’altri tempi, che se deve realizzarlo va in studio per mesi a strutturare qualcosa di articolato e sensato. Dopo averne fatti 35 so bene che lavoro c’è dietro. Ma oggi c’è il rischio che quando hai finito arrivi Fragolina2003 e ti scriva su Facebook che non le è piaciuto…

Mentre in tv, dopo l’esperienza di Una vita da cantare, c’è qualcosa in vista?
Televisivamente mi sembra che il vento tiri verso altre direzioni, soprattutto in Rai, per cui non penso che potrà accadere a breve.

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