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Elton John: «Questo disco è la chiusura di un cerchio»

Mr. Rocketman racconta le 'Lockdown Sessions' che usciranno venerdì, 16 duetti a distanza con star che vanno da Dua Lipa a Eddie Vedder. «Non ero ispirato, ero troppo angosciato, ma poi...»

Foto: David M. Benett/Getty Images for the Elton John AIDS Foundation

La prima cosa che colpisce, quando Elton John si manifesta, è l’aria poco cerimoniosa, molto pratica e dinamica con cui vuole parlare di The Lockdown Sessions. Collegato con una quantità imprecisata ma controllata di giornalisti in tutto il mondo, non si presenta come il Rocket Man, la leggenda vivente. Di quello che all’apparenza è un progetto su grande scala, una gran parata di collaborazioni, dice: «A questo album non avevo mai pensato, non era in programma». Insiste che «durante il lockdown non ero ispirato, ero costretto a casa come tutti, a Los Angeles, e non avevo voglia di comporre. Era un periodo troppo incerto, c’era troppa angoscia per potersi concentrare su un nuovo grande progetto come questo. Queste canzoni sono venute da sole, in modo quasi sempre accidentale. E mi hanno ricaricato. Non sono mai stato così eccitato dalla musica come ora».

Un low profile inedito, sapendo che è reduce da un film sulla sua vita, un’autobiografia di successo, una raccolta intitolata (con discrezione) Diamonds, e un tour d’addio iniziato nel Pleistocene (il 2018) e destinato a concludersi nel novembre 2022 – anche se c’è la sensazione che non saranno i suoi ultimi show. Malgrado ciò, quello che vediamo seduto su un’anonima poltroncina in uno studio sembra un musicista che non vuole inciampare nel suo mantello di supereroe. Anche se con i 75 anni dietro l’angolo, sembrerebbe destinato a ritornare, come mezzo secolo fa, ai primi posti delle classifiche che contano. Era un po’ che non succedeva, e potrebbe succedere con un album in cui fa da padrone di casa ma non da star.

«Non sono stato io a volere The Lockdown Sessions, sono loro che hanno voluto me», dice. Ed è così che presenta 16 canzoni nelle quali al suo fianco ci sono nomi decisamente eterogenei: Dua Lipa, Gorillaz, Eddie Vedder, Charlie Puth, Stevie Wonder, SG Lewis, Stevie Nicks, Rina Sawayama. Se per qualcuno parla di «chimica immediata», anche l’espressione «mai avrei pensato che un giorno…» ricorre con una certa frequenza, sia che parli di alcuni nomi coinvolti (come Young Thug, Nicki Minaj, Lil Nas X) o di certe canzoni in particolare: su tutte Nothing Else Matters dei Metallica, che lo vede co-protagonista un po’ incredulo di una versione cantata da Miley Cyrus insieme a Yo-Yo Ma, Chad Smith e Robert Trujillo.

La videoconferenza comporta un fiume di domande da colleghi di tutto il giorno, la selezione sega la nostra domanda (una cosa blandamente tecnica sul pop attuale, Elton John e il mondo sopravviveranno benissimo), in mezzo a quelle che chiedono un parere sul presidente del Brasile o “«a vera storia del pene di marmo di Ed Sheeran». Almeno una ventina di domande sono: «Verrai in tour da noi?». Il giornalismo musicale è un mestiere difficilissimo e leggere il calendario con le date è terribilmente difficoltoso. La maggior parte delle domande scelte sono quindi su come sono nate alcune singole collaborazioni.

«Grazie anche al mio radio show sono diventato amico di un sacco di artisti, e di tanti lo ero già. Sono amico di Brandi Carlile, di Charlie Puth che è un mio vicino di casa, di Rina Sawayama, mentre a dire la verità di Stevie Nicks non sono amico quanto vorrei, ma la amo da tanto tempo, i Fleetwood Mac sono stati fortunati ad avere due grandi voci femminili come quelle di Stevie e Christine McVie. Quasi tutte le collaborazioni sono nate da incontri semicasuali: Lil Nas X mi ha consegnato un premio, Dua Lipa mi ha intervistato su Instagram Live… Niente di programmato, ma è stato bellissimo. C’è un sacco di gente con cui mi piacerebbe cantare, ma ora sento soprattutto il desiderio di lavorare con artisti giovani. Mi stimola davvero, in questa nuova generazione sanno tutti cosa vogliono ed è incredibile vederlo alla loro età. Da parte mia, ricordo bene che quando tanti anni fa sono venuto in America i musicisti americani mi cercarono e mi diedero una mano, da Leon Russell ai Beach Boys, e da allora ho sempre cercato di fare come loro».

Una delle cose più interessanti è che insiste di essere rimasto un passo indietro. Certo, magari non per quell’”I think it’s gonna be a long, long time”, sorta di meme sonoro personale che sta contribuendo a rendere Cold Heart con Dua Lipa una hit mondiale. Tuttavia assicura: «Tutti questi pezzi così diversi che mi portavano fuori dalla mia comfort zone, mi hanno riportato una sensazione familiare. Mi sentivo come quando a inizio carriera mi guadagnavo da vivere come session man e suonavo sui dischi di Tom Jones o degli Hollies: dovevi essere pronto a fare di tutto, ad accontentare gli altri e non fare il prezioso con il tuo contributo. Lavorare con gli artisti delle Lockdown Sessions è stato così, ho amato ogni minuto».

Gli sottopongono la domanda di un collega russo chiede quale sia l’artista che ha sentito più vicino, e la risposta è un pochino inattesa. «Penso che sia Damon Albarn: non è un artista giovane, ma è uno spirito libero come me, quello con i Gorillaz è uno dei miei pezzi preferiti. Però è stato fantastico vedere Young Thug fare freestyle al microfono, e SG Lewis lavorare con l’elettronica, e collaborare con una voce grandiosa come Eddie Vedder. Ho imparato da tutti – e a 74 anni è grandioso, non sono mai stato così eccitato dalla musica come ora… Ogni settimana su Spotify ci sono 30 mila canzoni nuove quindi c’è un sacco di roba da ascoltare. E poi continuo a comprarmi i miei CD e i miei vinili, è sempre emozionante entrare in un negozio di dischi, appena posso ancor oggi ci vado».

Ammette che avrebbe voluto anche fare qualcosa con Billie Eilish ma per ora non si può: l’entourage, pare di capire, è molto scientifico sulle mosse della malinconica 19enne: «Capisco ci possa essere un problema di sovraesposizione», commenta da esperto. Con Eddie Vedder, meno problemi: «Sul suo prossimo album ci sarà un altro pezzo insieme».

Ha davvero parole buone per tutti, e ovviamente dobbiamo fare un po’ di selezione anche noi, ma in tutto questo slancio giovanilista non dimentica il tributo a un artista della generazione precedente alla sua, Glen Campbell. «Quando uscì il suo ultimo album dissi che mi era piaciuto molto, e quando morì la famiglia mi disse che aveva apprezzato molto le mie parole. Sono sempre stato un suo fan, perciò ho pensato di provare a fare I’m Not Gonna Miss You. L’ho incisa nello studio di Abbey Road in cui avevo suonato, da pianista, per He Ain’t Heavy, He’s My Brother degli Hollies. Tante cose in questo disco chiudono un cerchio».

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