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Elton John, mai stato così felice

La sua etichetta ha rifiutato l’ultimo disco, la madre non gli parla, il passato lo tormenta. Eppure Sir Elton non è mai stato così bene
Dopo una vita a pensare di essere «troppo egoista» per avere figli, ora Elton John è felice di averne due con il marito David Furnish. Foto: Sam Taylor-Johnson

Dopo una vita a pensare di essere «troppo egoista» per avere figli, ora Elton John è felice di averne due con il marito David Furnish. Foto: Sam Taylor-Johnson

Elton John è seduto davanti al gigantesco pianoforte rosso dei suoi show a Las Vegas, e indossa la stessa tuta marrone dell’adidas con cui l’ho visto due giorni fa. È domenica, giorno di prove al Wiltern Theatre di Los Angeles per il primo concerto del tour di lancio del suo 33esimo album in studio, Wonderful Crazy Night. Elton John sta rimproverando la sua crew, perché la voce non suona nel modo giusto e li provoca cantando strofe volgari e per di più non in rima: “You’ll know when my tits / Goes up you ass”. Tutti scoppiano a ridere, compreso il chitarrista Davey Johnstone e il batterista Nigel Olsson, che suonano con lui da oltre 40 anni. Provano il pezzo che dà il titolo all’album. Discutono se fare cinque o sei canzoni dal nuovo disco. Qualcuno dice a Elton che il concerto durerà 90 minuti, lui scuote la testa e dice: «Facciamo due ore». Sa che, se chiede al suo pubblico di stare seduto a sentire una mezza dozzina di pezzi nuovi, poi deve dargli anche un bel po’ di hit. La band si rimette al lavoro, ma dopo poco Elton si ferma: «Qualcuno sa quanto stanno i Packers contro Redskins?». Sono iniziati i playoff della NFL. Gli dicono il punteggio della partita, ma lui quasi non ascolta. La sua squadra sono i Patriots, soprattutto per via della sua amicizia con il proprietario, Robert Kraft, che collabora con la fondazione di Elton per la lotta all’Aids.

Arriva una chiamata di David Furnish, suo compagno e poi marito da 23 anni, che i tabloid inglesi e lo stesso Elton hanno soprannominato Yoko per il modo in cui ha man mano allontanato la cerchia ristretta di collaboratori e ha assunto il controllo degli affari della Elton John Industries, diventandone di fatto il manager. «Ciao tesoro, tutto bene. Come stanno i ragazzi? Fammi dare la buonanotte, lì è tardi».

È tempo di tornare al lavoro, ma Elton deve andare in bagno. Mentre lo aspetto, non posso fare a meno di sentire una voce che viene da dietro la porta: in bagno, Sir Elton John sta cantando una delle sue nuove canzoni, Blue Wonderful. Torna al pianoforte, sorseggia caffè e dice: «Questo è un disco felice, perché io non sono mai stato così felice». “Felice”, nel mondo di Sir Elton John, non vuole dire “tranquillo”. È lui il primo ad ammettere di essere una persona difficile, e ride ricordando una scena girata nel Sud della Francia di Tantrums and Tiaras, il documentario realizzato da David Furnish nel 1995: Elton arriva nella sua stanza d’albergo con il muso lungo, fa chiamare il suo jet privato e giura che non tornerà mai più in quel posto. Perché? Mentre giocava a tennis, una donna lo ha salutato dall’altra parte del campo. Un’altra volta ha chiesto a un amico se poteva far calare il vento fuori dall’hotel.

«Siamo tutti dei fottuti mostri a volte», dice. E recentemente ne ha avuto nuove prove. La sua etichetta storica, la Capitol Records, si è rifiutata di pubblicare il suo ultimo album, costringendolo a portarlo alla Island. Ha avuto due figli da Furnish, Zachary e Elijah, ma ha un rapporto difficile con la sua fan numero uno al mondo, Sheila Farebrother, ovvero sua madre. Recentemente la signora Farebrother ha compiuto 90 anni e ha festeggiato in compagnia di un imitatore di Elton.
«È una cosa che mi turba, ma a essere sincero lei non mi manca», dice Elton nella sua casa di Beverly Hills, «soprattutto quando leggo sui giornali le sue dichiarazioni tipo: “Non parlo con Elton da quando ha sposato quel fottuto stronzo di Furnish”». Scrolla le spalle e cita altri episodi della lunga faida tra sua madre e suo marito. «È stato un brutto colpo». Le ha mandato dei fiori per i suoi 90 anni, ma non l’ha chiamata: «Non odio mia madre», dice, «mi prendo cura di lei, ma non la voglio nella mia vita».


Elton John compirà a breve 69 anni, ed è cambiato molto. Non ha più un assistente personale o un addetto stampa e non ha più l’ossessione verso le classifiche pop (sa che i tempi sono cambiati), anche se l’ha rimpiazzata con la sua attività di consigliere di nuovi talenti, tipo Ed Sheeran. Rimpianti? Qualcuno, soprattutto quello di non essere stato abbastanza in prima linea nella lotta contro l’Aids. Ha eliminato la maggior parte delle sue dipendenze, tranne quella da shopping. Ha un quaderno in cui segna ogni libro, dvd e disco che compra e quando arrivano li spunta con un evidenziatore rosa. Ma il cambiamento più importante è: Elton John non vuole più morire suonando il pianoforte. «Qualche anno fa non avevo niente e volevo morire sul palco perché la musica era tutto. Adesso ho dei figli. Voglio tornare a casa, voglio portarli a giocare a baseball e alla partita di calcio. La mia vita è completamente cambiata». Beh, non completamente. Quando leggerete questo pezzo, Elton John sarà pronto per tornare in tour e suonerà ovunque, dal Michigan a Tel Aviv. Le vecchie abitudini sono dure a morire.

La casa di Beverly Hills è solo una delle sue tante proprietà, che comprendono anche un attico ad Atlanta e una grande tenuta nella campagna inglese. È una casa che riflette il suo stile, che da circa 25 anni è molto meno appariscente. Le pareti sono ricoperte di quadri originali di Keith Haring e fotografie di William Eggleston. Elton si muove con circospezione, zoppicando un po’. Si è operato a tutte e due le ginocchia, risultato di troppe partite a tennis e troppi salti su e giù dal pianoforte. Per essere uno che non ha più singoli in classifica, suscita ancora l’attenzione e il clamore di una popstar di prima categoria. Anche perché non ha mai smesso di litigare. Ha cominciato 10 anni fa attaccando Madonna per il fatto di cantare in playback dal vivo: «Ho detto quello che pensavo, forse ho esagerato con lei, infatti le ho scritto per scusarmi e lei è stata molto carina». È comunque un argomento importante per un cantante che, anche se con gli anni ha un tono di voce un po’ più basso, non ha mai ricorso a nessun aiuto artificiale sul palco: «Le fottute riviste musicali fanno una recensione del concerto di Janet Jackson e scrivono: “Che spettacolo! Quattro stelle e mezzo!”. Canta in playback, cazzo! Non è un concerto! Preferisco andare a vedere uno spettacolo di drag queen. Vaffanculo!».

Non si scusa nemmeno per aver criticato Billy Joel, spesso suo compagno di tour, per il suo problema con l’alcol: «È uno dei più grandi autori americani, ma mi ricordo quando anche a me dicevano: “Stai buttando via la tua vita”. Io rispondevo: “Vaffanculo”, e non parlavo con quella persona per due anni. Billy si è arrabbiato e io lo capisco. Ma questo vuol dire forse che non gli voglio bene? Ovviamente no».

Tutte queste cose le dice con una risata e un sorriso sereno, ma non per questo sembra meno tagliente. Lui attribuisce la sua tendenza a scandalizzare alle origini britanniche: «Gli inglesi hanno qualcosa dentro che non gli fa vedere l’ora di travestirsi da donna. Mi sento fortunato a essere cresciuto in Inghilterra, perché ho assorbito tutto il letale e maligno humour nero britannico».

Elton John è stato nel mirino della stampa scandalistica per molto tempo e ha anche denunciato il Sun per aver pubblicato una serie di pettegolezzi su di lui, da quelli veri (come quella volta che ha affittato dei gigolò per una festa) a quelli più assurdi (tipo che avrebbe fatto operare il suo cane per farlo smettere di abbaiare). Il Sun ha pubblicato una smentita e lo ha anche risarcito con un milione di sterline. Oggi Elton guarda ai tabloid con più gentilezza e rispetto. «In un certo senso li ringrazio. In America le star sono trattate come se fossero dei re e gliele fanno passare tutte. Elvis Presley non sarebbe mai potuto esistere in Inghilterra, non sarebbe mai riuscito a nascondersi come ha fatto. Michael Jackson, Anna Nicole Smith, gli inglesi avrebbero detto loro: “Riprendetevi, cazzo!”. Non te la fanno passare liscia. Se Brian Wilson avesse vissuto in Inghilterra, non avrebbe mai avuto a che fare con gente come il Dottor Eugene Landy (lo psicologo che lo aveva in cura, accusato di plagiarlo e di averlo allontanato dalla famiglia nel 1992, ndr). Mentre dice queste cose, Elton John indossa occhiali da sole con le lenti rosa anche se ci vede benissimo.

Ha passato anni perso dietro alla cocaina, all’alcol e alle feste in cui si presentava vestito da Maria Antonietta. Oggi ammette di essersi comportato in modo discutibile e si assume le sue responsabilità, ma dice che probabilmente è anche colpa dell’educazione che ha ricevuto. Erano gli anni ’50 e, nell’Inghilterra appena uscita dalla guerra contro i nazisti, i padri erano duri e distaccati. Quello di Elton era un ufficiale della Royal Air Force: «Gli uomini di quella generazione non erano affettuosi, non ti prendevano in braccio. Io avevo paura di mio padre. Camminavo sulle uova tutto il tempo cercando di ottenere la sua approvazione. È morto da molto tempo, ma ancora oggi io cerco la sua approvazione». In che senso? «Quando faccio qualcosa mi dico da solo: “Papà, questo ti sarebbe piaciuto”». Suo padre è morto nel 1997 senza averlo mai visto suonare dal vivo. E l’unico contatto fisico che aveva con lui era quando lo picchiava. «Mia mamma dice sempre: “Era così che si faceva a quel tempo, e non hai avuto nessuna conseguenza”. E io: “Cosa stai dicendo? Le porto addosso tutti i giorni!”».
Non è una coincidenza allora che Elton John sia stato spesso amico di personaggi ai margini come Axl Rose o Eminem e che si sia fatto vedere al loro fianco nei loro momenti peggiori.

Dal punto di vista creativo non cambierebbe niente di quello che ha fatto, nemmeno l’album Victim of Love del 1979, il suo tentativo di seguire l’onda della disco music: «Non era una brutta idea, peccato che la moda della disco fosse già finita». Fa una pausa e poi dice: «Beh, a pensarci bene, un rimpianto che ho è quello di aver preso droghe per tutto quel tempo».

Rimpiange anche di non aver fatto abbastanza quando negli anni ’80 è scoppiata l’emergenza Aids: «Ho fatto il disco benefico con Dionne Warwick e Stevie Wonder e Gladys Knight, ma non sono stato onnipresente come dovevo e mi sento molto in colpa per questo». Negli ultimi anni, Elton John ha raccolto milioni di dollari per la ricerca contro l’Aids e si è impegnato molto in favore dei diritti gay, attaccando anche la Russia per le sue leggi preistoriche e brutali contro l’omosessualità. Per questo, quando ha ricevuto una telefonata da Vladimir Putin non era scioccato. Peccato che non fosse Putin, ma un dj radiofonico russo che gli aveva fatto uno scherzo, che è poi finito su tutti i giornali. Oggi Elton ci ride sopra: «Sono contento, perché ho risposto alle domande in modo molto intelligente». C’è stato anche un secondo capitolo: il vero Vladimir Putin lo ha chiamato per scusarsi e gli ha detto di avvisarlo quando sarebbe arrivato a Mosca, in modo da potersi incontrare per parlare dei diritti degli omosessuali. «Mi ha parlato in inglese e aveva un tono veramente dispiaciuto», racconta Elton incrociando le braccia con soddisfazione: «Gli ho detto che ero onorato della sua chiamata».

Elton John ha sempre lavorato con il suo paroliere Bernie Taupin, a parte per un breve periodo negli anni ’80. Il loro metodo poco ortodosso è forse la ragione di una collaborazione così lunga. Elton dice a Bernie che è pronto per fare un nuovo album, Bernie scrive dei testi ed Elton non li guarda fino al giorno in cui entra in studio e si siede davanti al pianoforte. Per anni Elton è stato ossessionato dal successo commerciale. Poi ha ricevuto un aiuto dal suo vecchio amico Bob Dylan: ha ascoltato il suo album Modern Times del 2006 e il suo mondo creativo è cambiato.

«Un disco favoloso dell’artista che forse rispetto di più al mondo, che continua a fare la sua cosa, non si interessa mai ai singoli e alle classifiche, perché lui è sempre stato Bob Dylan». Da allora Elton ha fatto tre album: The Union in collaborazione con il suo eroe Leon Russell, l’introspettivo The Diving Boards e ora Wonderful Crazy Night, tutti e tre prodotti da T Bone Burnett e registrati con il suo tipico metodo di lavoro, dal vivo e in analogico. «Io cerco di farlo sentire a suo agio», dice. «Lui è uno di quegli artisti come Dylan, non fai altro che indirizzarlo sulla strada che stava già prendendo».

Come sempre, anche stavolta Elton John non ha pensato alle canzoni fino al momento in cui era in macchina, diretto allo studio di registrazione: «So che sembra folle, ma leggo i testi e mi viene l’ispirazione. È come scrivere la colonna sonora di un film mentre lo vedi sullo schermo». Per Wonderful Crazy Night ha chiesto a Bernie Taupin dei pezzi allegri, e lui ha messo su i dischi più vivaci di Van Morrison per cercare l’ispirazione: «Ho ascoltato Wild Night e (Straight to Your Heart) Like a Cannonball molte volte», racconta.

Elton è molto fiero del suo disco, ma la sua etichetta, la Capitol Records, non lo era altrettanto, quando l’ha ascoltato la prima volta. Lui ha capito subito che c’era qualche problema, perché non aveva avuto più notizie dal capo della Capitol, Steve Barnett. Alla fine è arrivata la chiamata: «Steve ha detto a David: “Sai che amiamo Elton, ma non vogliamo questo disco”», racconta. All’inizio si è arrabbiato molto: «Gli avrei spaccato la testa. Poi mi sono calmato, Steve è un ottimo discografico. E David mi ha detto: “Queste cose non succedono per caso”». Suo marito aveva ragione: hanno portato il disco alla Island, che l’ha fatto uscire immediatamente. Alla fine, dice Elton, suo marito ha ragione su un sacco di cose.

a pensarci bene, un rimpianto che ho è quello di aver preso droghe per tutto quel tempo

La sera prima dello show, Elton torna al Wiltern Theatre per fare un mini concerto per Radio Sirius e rispondere a un po’ di domande degli ascoltatori in un incontro moderato da David Fricke di Rolling Stone USA. È in gran forma, sparla di Mick Jagger e Keith Richards per il fatto che non scrivono più canzoni nuove («Credo che non vadano molto d’accordo», dice) e racconta del suo tentativo fallito di far lavorare Jagger con T Bone Burnett: «Mick mi ha detto: “No, usa tutte quelle vecchie apparecchiature”». Parla della morte di David Bowie con dolore e ammirazione per il modo in cui ha vissuto, praticamente il contrario del carnevale che è stata la sua vita privata: «Conosciamo il cantante David Bowie, il performer stravagante, ma non sappiamo niente di lui. Dovrebbe essere sempre così». La band suona i pezzi nuovi e una versione funky di Bennie and the Jets, uno dei suoi classici preferiti.

Un uomo dall’aspetto curatissimo con pizzetto e abito gessato sta in piedi in disparte e scrive sul suo telefono. È impassibile, a parte un sorriso contenuto sul volto. È David Furnish. Di nuovo a casa, Elton mi parla di lui, lo chiama Yoko con orgoglio e dice che ha salvato la sua vita dal punto di vista economico. «Negli ultimi due anni è stato molto impegnato a fare pulizia intorno a me. C’erano un sacco di persone che guadagnavano un sacco di soldi senza fare niente», racconta. «Prima, in questo periodo dell’anno, mi ritrovavo sempre a non avere i soldi per pagare le tasse, adesso invece li abbiamo già messi da parte. A David non importa essere Yoko Ono, ma lo fa per conto mio». L’obiettivo è mettere via abbastanza soldi nei prossimi due anni per mantenere il suo stile di vita lussuoso e passare più tempo con i due figli. Il percorso per riuscire ad averli è stato lungo e difficile. Nel 2009, durante una visita in un orfanotrofio per bambini positivi all’Hiv in Ucraina, lui e David si sono affezionati a un bambino di nome Lev che veniva da una famiglia disastrata. Il padre è in galera, mi racconta Elton. Hanno provato ad adottarlo, ma il governo li ha giudicati troppo vecchi e, soprattutto, troppo gay. Oggi lui e Furnish continuano a mantenere Lev e suo fratello: «Siamo riusciti a farlo affidare alla nonna e provvediamo a lui in segreto». A Natale, Furnish ha chiesto a Elton se voleva fare un passo avanti. Ti senti pronto per fare una famiglia? Il breve periodo trascorso con Lev aveva cambiato la loro vita. «Prima dicevo sempre di no, perché sono troppo vecchio, troppo preso dalle mie abitudini, troppo egoista. È uno stile di vita che non fa per me», dice Elton, «ma poi ho pensato che quel bambino che avevo conosciuto stesse cercando di dirmi qualcosa del tipo: “Stronzate! Puoi essere un padre, guarda quanta gioia ti ho dato io in un’ora e mezza”». Suo figlio Zachary è nato da una madre surrogata nel 2010 e nel 2013 è arrivato Elijah. Elton fa un sorriso gigante: «Dio, è stata la decisione migliore».


Il concerto al Wiltern Theatre, con biglietti che costano fino a 600 dollari, è un flashback del vecchio Elton. Lui è vestito in modo sobrio per i suoi standard, con una giacca nera di paillettes e una camicia azzurra. La band lo conosce alla perfezione e lo segue in modo quasi telepatico tra i pezzi nuovi e vecchi con precisione e vitalità, una caratteristica che spesso manca nelle band che accompagnano una vecchia gloria. Elton salta persino sul piano durante Bennie and the Jets. Nonostante quello che ha detto, è ovvio che suonare dal vivo resta la sua grande passione. Prima che un autore di canzoni o un attivista LGBT, Elton John è soprattutto un intrattenitore.

«Sono ancora in attività, amo suonare più che mai», mi dice, «collaboro con musicisti fantastici, non c’è niente nella mia vita di cui possa lamentarmi». Fa una pausa e scrolla le spalle, «Ma amico mio, qualcosa la trovo sempre».Negli ultimi anni Elton è diventato una specie di vampiro, si mantiene giovane collaborando con artisti che hanno un terzo dei suoi anni, tra cui Lady Gaga. Succede anche durante il concerto al Wiltern; i tre momenti più deboli sono quando lo raggiungono sul palco tre nuove stelle della Island Records. Shawn Mendes viene surclassato in Tiny Dancer, Demi Lovato balla in modo scoordinato in Don’t Go Breaking My Heart e Patrick Stump cerca di fare il duro in una versione inutile di Saturday Night’s Alright for Fighting. Eppure, anche se non sono un successo, i duetti sembrano rivitalizzare Elton: la sua mano sinistra vola sul piano per un tributo a David Bowie, con una versione strumentale di Space Oddity che diventa Rocket Man. Il concerto si chiude con Your Song, il pezzo definitivo di Bernie Taupin ed Elton John, e nel pubblico la gente dai 7 ai 70 anni si perde nella musica. E se qualcuno pensa che con l’età Elton si sia intenerito, basta aspettare il momento in cui presenta la sua band, ringrazia Bernie Taupin, seduto nel pubblico a godersi lo spettacolo, e poi dedica il concerto a suo marito: «Questo è per il mio amato David, che ha eliminato tutte le persone orribili dalla mia vita». I fan si guardano e non capiscono, ma al pianista non interessa. Elton John fa un inchino, saluta e scende lentamente dal palco. Ci sono ancora un po’ di interviste da fare e qualche foto promozionale da scattare, ma presto avrà finito.

È ora di tornare a casa dai suoi figli.

Questa intervista è stata pubblicata su Rolling Stone di aprile.
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