Elio e le Storie Tese: «Il politicamente corretto è una cagata pazzesca» | Rolling Stone Italia
Elogio dell’assurdo

Elio e le Storie Tese: «Il politicamente corretto è una cagata pazzesca»

Intervista a Elio, Faso e Cesareo dopo il debutto dello spettacolo ‘Mi resta un solo dente e cerco di riavvitarlo’: i motivi della reunion, il pubblico che sa riconoscere la buona musica e chi invece «si accontenta di Lazza», i siparietti su trans e omosessuali. «Di fronte alla satira siamo tutti uguali»

Elio e le Storie Tese: «Il politicamente corretto è una cagata pazzesca»

Elio e le Storie Tese

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Una sensazione di leggerezza accompagna gli spettatori che escono dal Teatro Politeama Genovese alla fine del debutto (dopo la data zero a Salsomaggiore) dello spettacolo di Elio e le Storie Tese Mi resta un solo dente e cerco di riavvitarlo. Hanno tutti il sorriso sulle labbra, si sono divertiti come pazzi ad assistere alle acrobazie di un gruppo di musicisti fuoriclasse che, ognuno con un suo siparietto, hanno dimostrato di sapere anche recitare. Nello show si deride l’Italia intera. Ci si sente simpaticamente ridicolizzati, si ride di noi stessi e dei nostri simili senza vergogna.

Oltre alla sfilza di classici che tutti si aspettavano abbiamo assistito ad assoli virtuosistico-grotteschi (compreso uno di scarpe), a storielle surreali, a momenti nei quali venivano tratteggiate i lati orrorifici del cittadino medio. E ancora, le peggiori dicerie su ebrei e zingari e simulazioni bizzarre di funzioni religiose (con la reiterazione della formula “Nel Cristo”). La “superstar” Mangoni è stato uomo, donna, trans, supereroe, autore di virtuali cunnilingus. Brividi di Blanco e Mahmood e stata schernita e la parola “ricchione” ha echeggiato più volte in brani cantati a squarciagola da tutti. In definitiva siamo stati catapultati in un gigantesco frullatore di sarcasmo, shakerati ben bene fino a capire che la caustica ironia di Elio e Le Storie Tese serve a prenderci tutti un po’ meno sul serio.

Il giorno dopo, in una bella mattinata di sole, intorno a un tavolo Elio, Faso e Cesareo hanno le facce serene e soddisfatte dei supereroi che hanno combattuto per il bene dell’umanità.

È andata alla grande e Genova non è una piazza facile.
Elio: Con noi la città è sempre stata molto calorosa, fin dagli esordi in un teatro assurdo dove c’era scritto solo “Elio” con le lettere tutte storte. Forse a Genova siamo in sintonia con lo spirito un po’ cinico del luogo, Milano e Genova si somigliano come tipo di humor cattivello. E noi cattivi lo siamo, ci fanno ridere le cose un po’… dure. Poi non è da sottovalutare il fatto che il regista Giorgio Gallione è proprio di Genova, lui è stato utilissimo per permetterci di percorrere questa nuova strada.

Superata questa il resto sarà una passeggiata.
Cesareo: Infatti abbiamo già comunicato che va bene così, tour concluso e siamo soddisfatti (risate).

Da amante dei Genesis il finale con Out Into the Daylight di Mike Rutherford è stato il colpo al cuore definitivo.
Faso: Quello è un momento di sola musica che ci concediamo da anni, spezza un po’ il flusso ininterrotto di parole delle nostre canzoni.

Sarebbe bello sentirvi alle prese con un album strumentale.
Elio: Non è detto che non succeda. Già l’idea del teatro è nata proprio per spingerci a fare esperienze nuove, più interessanti. Un album strumentale è una delle cinquanta cose che nella mia testa potrebbero succedere per essere sempre stimolati a metterci in gioco.
Cesareo: Anche perché negli anni abbiamo toccato così tanti argomenti di svariate tipologie che non sappiamo più di cosa parlare, quindi sarebbe una sorta di punto di arrivo, smettiamo di parlare e suoniamo soltanto.

L’ironia tipica di Elio e le Storie Tese unicamente strumentale.
Faso: Esatto, uno ride perché sente una sequenza di accordi (risate).

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Da dove viene il titolo Mi resta un solo dente e cerco di riavvitarlo?
Faso: Da uno dei sogni dei lettori della rivista Astra, dalla quale abbiamo già preso spunto in passato per Esco dal mio corpo e ho molta paura. Erano tutte lettere con descrizioni di sogni che venivano sintetizzate con un titolo, uno magari aveva sognato di perdere un dente e cercava di riavvitarlo ed ecco che il titolo diventava “Ho perso un dente e cerco di riavvitarlo”. Chissà, magari uno di quelli che scrivevano riconoscerà il suo vecchio sogno.

Cosa significa per voi tornare on the road non con una normale serie di concerti ma con uno spettacolo teatrale?
Cesareo: Come diceva prima Elio, è la ricerca di nuovi stimoli. Il solito tour, la solita scaletta, il solito modo di porsi non ci interessava, lo trovavamo limitativo. Così ci siamo messi alla prova tirando fuori ognuno le proprie capacità attoriali, oltre che quelle musicali.

Mi ha positivamente colpito la coralità, tutti i membri sono protagonisti, hanno il loro preciso spazio. È bello vedere un gruppo che non fa solo da supporto a un cantante ma nel quale ognuno esprime le proprie peculiarità.
Elio: La cosa viene fuori pensando a quello che ho fatto io, che non sono mica un attore. Ho iniziato per caso, per curiosità. Ventitré anni fa mi avevano chiesto di fare L’opera da tre soldi di Brecht che avevo accettato convinto di dovere cantare, quando poi era troppo tardi mi sono reso conto che avrei dovuto anche recitare, lì mi è venuto il panico, però mi sono buttato, non dico sia stato facile ma è andata. Poi sono stato male tre mesi, mi girava la testa in continuazione e credevo di avere chissà cosa, in realtà era solo stress accumulato.

In seguito ci hai preso gusto: Lina Wertmüller, gli spettacoli su Gaber e Jannacci…
Elio: Mi sono accorto di saperlo fare ed è stato bellissimo, mi si è aperto un nuovo mondo e ho capito quanto fosse interessante. Come quando scopri un cibo che non avevi mai assaggiato e pensi: cazzo, ma è buono! E allora vai avanti, esplori ancora. Quando si è trattato di rimetterci in pista mi è venuto naturale pensare a uno spettacolo che non fosse unicamente musicale.

Quindi il vostro è stato uno scioglimento per mancanza di stimoli, che ora sono arrivati.
Elio: A parte che non abbiamo mai detto ufficialmente che ci eravamo sciolti, quella è stata una forzatura, diciamo che siamo andati in pausa a tempo indeterminato. Per il resto sì, sentivamo di essere entrati in una routine disco-concerto che si ripeteva sempre uguale, e noi siamo tutti troppo esigenti dal punto di vista artistico, curiosi. Quindi ci siamo fermati. Poi una cosa che non è mai stata sottolineata a sufficienza è che non c’è più Rocco Tanica, cosa che personalmente ho patito parecchio.

Era la tua spalla perfetta.
Elio: La band era nata in casa Conforti, viene tutto da lì. Poi lui ha sempre avuto un modo particolare di interpretare il suo coinvolgimento nel gruppo (ridono).
Faso: Tanica non ha mai avuto una grande passione per i live. Se gli dici che c’è da fare un arrangiamento entra in studio oggi ed esce tra una settimana senza andare a letto, felice. Ma quando si tratta del palco non vede l’ora di finire, si stressa in maniera esagerata (Conforti ha parlato apertamente di depressione e attacchi di panico, ndr).
Cesareo: Ricordo poco prima di entrare in scena, ogni tanto diceva: «Sentite, magari togliamo quello o quell’altro pezzo così finiamo prima». Ma che cazzo, facevamo noi, siamo qui per suonare, suoniamo (ride)!
Faso: Quando ci ha detto che non si sarebbe più voluto esibire è stata una botta. La verità è che quando si mette al piano sui nostri pezzi nessuno può fare meglio.
Elio: Il nostro periodo d’oro dei live è stato quando c’era anche Feiez. Lui è morto, poi va via anche Rocco Tanica… è stata dura. Quindi c’era bisogno di ripensare a quello che volevamo fare e come farlo, doveva essere qualcosa di interessante per noi e per il pubblico. Da questo punto di vista le esperienze che ho fatto con Gallione sono state utili, poi a lui piacciono un sacco le nostre musiche, siamo in completa sintonia.
Cesareo: Il 90% dei pezzi in scaletta sono proposti da lui per questo viaggio tra i costumi e i malcostumi italiani che caratterizza il nostro show.

A fine concerto c’è l’annuncio che tutto quello che il pubblico ha sentito è realmente suonato: niente basi, niente Auto-Tune, vero suono live, una cosa mica tanto di moda oggi.
Faso: No, diciamola bene, in realtà l’Auto-Tune c’è ed è regolato fortissimo, il problema è che Elio è talmente intonato che non si attiva (risate).
Elio: Non siamo certo nemici delle innovazioni tecnologiche in musica, anzi, queste sono sempre state utili per la sua evoluzione. Pensa all’invenzione del sassofono, da lì in poi si è scritta musica per quello strumento che ha creato nuovi generi, o il forte piano diventato pianoforte.
Faso: Pensa al distorsore, è stato creato ed è nato il rock. O il sintetizzatore, ha aperto un mondo enorme, pensa come sarebbe la musica di oggi se non ci fosse stata quell’invenzione.
Elio: Quello che però sta accadendo ora è che l’innovazione porta gente senza talento a far finta di sapere suonare. La tecnologia non serve più a fare evolvere la musica, ma aiuta i mediocri a sentirsi veri musicisti anche se non lo sono. La trovo un’umiliazione rispetto alle possibilità di creatività dell’essere umano.
Cesareo: Per tanti la tecnologia è una scorciatoia: non so cantare? Uso l’Auto-Tune. Non so suonare? Metto una base. Invece è una cosa che andrebbe usata per migliorare la creatività, offrire nuovi spunti e stimoli. Pensa a Cher quando ha usato l’Auto-Tune in Believe, lì quell’effetto era al servizio dell’innovazione musicale.
Elio: La verità è che per suonare, per fare belle cose bisogna fare fatica e qui di faticare non ha voglia nessuno.

A una parte del pubblico oggi non interessa sapere se l’artista sappia suonare o meno, se ci sono delle basi o meno, bada ad altro.
Elio: Questo ha a che fare con la poca educazione musicale che c’è in giro e col fatto che le persone si sono abituate a quel tipo di cose. Se uno non sa che c’è di meglio si accontenta della merda.
Faso: Io credo che se hai assaggiato le tagliatelle della nonna, la focaccia al formaggio o i pansoti, per citare cose locali, poi quando vai da McDonald’s sei consapevole che stai mangiando una mezza merda. Se però non hai mangiato dalla nonna, il McDonald’s ti sembrerà buonissimo. Uno pensa che la commedia all’italiana siano i cinepanettoni, poi gli fai vedere i film con Alberto Sordi e lì capisci. L’ho fatto con mio figlio e con un gruppo di ragazzini, ho messo su il film con Sordi dentone e ridevano come pazzi. Non pensavano fosse vecchio, ridevano e basta. Gli stessi che impazziscono per Star Wars, il primo del 1977. Ho chiesto loro: Conoscete Stevie Wonder? Mi hanno risposto che è vecchio, quindi io ho rilanciato: allora Star Wars non lo vedete più! E tutti «nooo». Perché, non è vecchio quello? Se quello è un film della madonna magari anche la musica dello stesso periodo è della madonna.

È un ragionamento che produce un certo effetto?
Faso: A qualcuno viene il dubbio e ascolta. A un gruppetto che allenavo a baseball gli facevo ascoltare Beatles, Genesis, Queen, Earth Wind & Fire. Ora hanno 20 anni e ascoltano queste cose. Chi ha avuto accesso a certa musica si appassiona, gli altri si accontentano di Lazza.
Cesareo: La cosa assurda sono molti nostri colleghi che hanno sempre avuto una grossa identità musicale e che ora si sentono spaesati, quindi cominciano a fare i vari feat con gente lontanissima da loro, hanno paura di stare perdendo un mezzo per rimanere a galla. Invece più fanno queste cose più perdono credibilità. Cazzo, magari hai fatto cose epocali e ti mischi con uno che non conosce la differenza tra battere e levare, o che dice Si diesis.

Magari qualcuno verrà a sentirvi e avrà voglia di imbracciare uno strumento.
Faso: Può essere, ne saremmo felici.

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Mi resta un solo dente e cerco di riavvitarlo fa entrare in una bolla surreale.
Elio: Una bolla di assurdo, un tipo di humour che se ti piace è fantastico.

E in questa bolla come vi ponete nei confronti del politicamente corretto e del cambio di sensibilità? Siete tornati dopo anni nei quali è successo di tutto da questo punto di vista, ma a voi sembra non fregare nulla, sul palco prendete per il culo praticamente tutte le categorie umane.
Faso: Recentemente ho visto lo spettacolo di Ricky Gervais. Parte raccontando di una e-mail a tale Mary che gli aveva risposto di sentirsi maschio e di volere essere chiamata con un nome da uomo. Lui allora dice: «Riconosco di essere magari un po’ vecchio, ma per me, in sintesi, i maschi dovrebbero essere quelli con il cazzo e le femmine quelle con la figa, poi se vuoi farti chiamare in maniera diversa, benissimo, faccio quello che vuoi» (risate).

Attenzione che Santana ha dovuto chiedere scusa per molto meno.
Faso: Secondo me la battuta grassa non offende il pianeta terra, da parte nostra non c’è uno slancio offensivo o denigratorio, sono barzellette e non puoi fare la barzelletta etica, non fa ridere, la battuta crea un contrasto forte. Sempre Gervais dice: non posso essere alle elementari e prendere in giro il mio compagno un po’ sovrappeso dicendogli «ehi ragazzo sovrappeso», quando ero alle elementari si diceva «ehi ciccione». È chiaro che è tutto sbagliato, ma è anche tutto giusto, se le cose vengono dette in maniera non aggressiva, non violenta, anche la battuta grassa non è offensiva, a volte è molto peggio una cosa detta bene. Sento dichiarazioni dei nostri politici che sono molto peggio.
Cesareo: Rispetto a colleghi molto schierati noi paradossalmente siamo ancora più schierati, anche se non lo dichiariamo. Per dire, tanti vanno al Primo Maggio senza avere coscienza del significato di quella data, noi invece siamo stati realmente scomodi, come quando la Rai ci censurò nel 1991
Faso: Prima di Fedez (risate)!

Mi ricordi cosa successe?
Cesareo: Invece di proporre brani del nostro repertorio leggemmo in musica un’inchiesta in cui si faceva riferimento a mazzette, corruzione e malaffare in politica, facendo nomi e cognomi dei coinvolti, tra cui quello di Andreotti. Questo poco prima che scoppiasse Tangentopoli. Potevamo bruciarci ma abbiamo detto le cose senza peli sulla lingua, e così facciamo nei confronti del cosiddetto politically correct.
Elio: Secondo me il politically correct è una cagata pazzesca (risate).
Faso: Novantadue minuti di applausi!
Elio: È un grandissimo errore, specie quando si parla di espressione artistica, nel comico non può esistere, non è ammesso. Il suo eccesso porta con sé il rischio di arrivare a un punto nel quale non si può più muovere un dito. Questo non vuol dire che non si debbano rispettare le persone, ma un conto è la vita, un conto è l’espressione artistica, soprattutto la satira la cui chiave è l’estremizzazione, se togli quella finisce tutto.

Avete mai subito attacchi?
Cesareo: Una volta ho messo su Instagram una nostra foto truccati da Earth Wind & Fire, quindi con le facce pittate di nero, il cosiddetto blackface. A un certo punto mi scrive Shorty accusandoci di body shaming. Io gli ho risposto in privato: ma proprio a noi dici una cosa del genere? Ma ci sarà almeno nel mondo dell’arte il diritto alla finzione, un attore che interpreta una persona di colore va lapidato? Come se mi mettessi un naso da clown e arriva l’associazione clown e mi dice che non posso metterlo perché non lo sono.

Non pensate che ad esempio gli omosessuali potrebbero sentirsi offesi da certi vostri pezzi?
Cesareo: Proprio noi che abbiamo fatto pezzi sull’omosessualità parlandone con leggerezza? Levando ogni discriminazione proprio perché ne abbiamo parlato come qualsiasi altra cosa che caratterizza il genere umano? Prendendo per il culo i gay proprio come prendiamo per il culo tutta la razza umana? Nel nostro universo c’è assoluta parità da sempre.

Parlando con alcuni giovani presenti al vostro concerto ho scoperto che si sono fatti grandi risate, nonostante alcuni di loro abbiano una sensibilità diversa dalla vostra.
Elio: Questo lasciarsi andare secondo me contribuisce anche a far sì che certe barriere cadano, quando tutti vengono presi in giro allo stesso modo non ci sono più la minoranza o la maggioranza, come diceva Cesareo siamo tutti uguali.
Cesareo: Poi vogliamo parlare dei contenuti nei pezzi di certi rapper? Noi in confronto siamo dei chierichetti.

Cosa ne penserebbe il vostro idolo Frank Zappa?
Elio: Direbbe: «ascoltiamo, parliamo, confrontiamoci». Non «censuriamo». Perché tra l’altro così facendo si dà in mano a chi è veramente razzista o omofobo un’arma potentissima, si fa il loro gioco accentuando le differenze e creando scontro sociale. Per questo chiedo agli amici del politically correct di fermarsi e di pensarci seriamente, prima che sia tropo tardi.

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