Ehi, Dave Mustaine, è vero che ti trasferirai in Italia? | Rolling Stone Italia
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Ehi, Dave Mustaine, è vero che ti trasferirai in Italia?

Abbiamo chiesto al leader dei Megadeth della villa e della vigna che ha comprato nelle Marche, ma anche dei cambiamenti nella formazione del gruppo e del bisogno di stimoli sempre nuovi

Ehi, Dave Mustaine, è vero che ti trasferirai in Italia?

Dave Mustaine dei Megadeth

Foto: Enzo Mazzeo

I backstage dei grandi festival non sono l’ideale per condurre un’intervista: c’è casino, ovviamente, non si capisce mai bene dove si può o si deve andare e gli spostamenti sono difficoltosi. Quando poi ci si mette di mezzo anche un caldo infernale, ben superiore alle medie stagionali, si capisce che l’intervista con Dave Mustaine, fissata in concomitanza con la partecipazione dei Megadeth all’Aftershock di Sacramento, in California, non partiva sotto i migliori auspici. Caldo e questioni logistiche a parte, Dave Mustaine è noto per non essere un soggetto particolarmente facile da intervistare. Quando è in vena è anche capace di mettere a suo agio l’interlocutore, ma se non è in giornata, apriti cielo. Diciamo che non è uno che le manda a dire.

L’intervista era programmata da diversi giorni e ci presentiamo all’appuntamento con il suo tour manager in anticipo. L’idea era di farci accompagnare davanti al musicista e, con calma, sottoporgli il questionario accuratamente preparato per l’occasione. Invece all’appuntamento non si presenta solo il tour manager ma anche Mustaine stesso e, a seguire, il resto della band, da poco orfana del chitarrista Kiko Loureiro, sostituito (non si sa quanto temporaneamente) su consiglio proprio di quest’ultimo dal giovane finlandese Teemu Mäntysaari. Giusto il tempo di una stretta di mano e la domanda che ci viene posta è «bastano 15 minuti per l’intervista e le foto con la band?». A parte che la band non doveva esserci e che l’intervista sarebbe dovuta durare almeno il doppio del tempo, la cosa che ci stupisce di più è che vogliono che le foto si facciano a tutti e quattro più che al solo Mustaine. Strano, vista la presenza di un chitarrista che sulla carta è qui soltanto per sostituire il titolare.

Poco male, mandiamo alla malora i piani in tempo reale e facciamo quello che ci chiedono. Mustaine sembra che si sia appena svegliato, continua a passarsi le mani sulla faccia e non vuole saperne di seguire le indicazioni del fotografo, cioè il sottoscritto. Non ha nemmeno troppa voglia di camminare e dunque mi trovo a scattare infilato tra il tendone della stampa e le griglie su cui si preparavano hamburger e carnitas per il pranzo. Il batterista Dirk Verbeuren e il bassista James LoMenzo, affabili e gentili, aiutano a stemperare gli animi. Archiviate le foto, ci dirigiamo verso un tavolo lì vicino e, naturalmente, non appena ci sediamo, su qualche palco nelle vicinanze attacca a suonare una non meglio identificata band pesantissima, con chitarroni e cantante che urla come un matto. La situazione è tragicomica. Mustaine fa cenno al tour manager che vuole andare via da lì e dunque li convinciamo a portarci fuori dall’area stampa, nella zona dei camerini. Mai decisione fu più azzeccata: in pochi minuti ci troviamo nel settore degli artisti, seduti su comodi divanetti e in un ambiente ordinato e relativamente silenzioso. Mustaine sembra meno teso, gli altri tre si accomodano di fianco. Ce la possiamo fare.

Dave, recentemente in rete sono circolate voci che ti vogliono in procinto di trasferirti in Italia. Confermi?
Dave Mustaine: Non a tempo pieno.

Immagino, dunque, tu voglia semplicemente gettare le basi per ampliare la tua produzione vinicola.
Dave: Sappiamo tutti che in Italia la qualità dell’uva è speciale, dunque ho comprato una vigna nelle Marche. E visto che quando andrò a lavorarci avrò anche bisogno di dormire e non posso farlo sdraiato per terra, nella polvere (dice proprio così, nda), ho acquistato una casa che io e la mia famiglia stiamo sistemando. Diciamo che in Italia stabilirò il quartier generale della mia attività ma saranno il mio presidente e vice presidente a passare più tempo dalle vostre parti.

I Megadeth oggi: Dirk Verbeuren, Teemu Mäntysaari, Dave Mustaine, James LoMenzo. Foto: Enzo Mazzeo

Nel corso degli anni, con i Megadeth ti sei esibito moltissime volte in Italia. Ti è mai capitato di passarci periodi di tempo più lunghi?
Dave: Non quanto avrei voluto. La prima volta che ho avuto l’impressione di aver davvero visitato il vostro paese è stata durante un tour promozionale, moltissimi anni fa. E non abbiamo mai più fatto niente di simile. Non abbiamo mai nemmeno fatto un tour italiano vero e proprio in verità. Adesso comunque abbiamo un nuovo agente, che sta già mettendo in atto dei sostanziali cambiamenti. Cambierà il modo in cui viaggiamo, in cui vengono presentati i nostri spettacoli. Questo è un buon momento per far parte di questa band.

L’attuale line-up è anche musicalmente ineccepibile. Ricordo bene la vostra esibizione all’ultima edizione dell’Hellfest, in Francia. L’energia era incredibile.
Dave: Lavorare con questi ragazzi, con questi professionisti, lo considero un lusso, perché mi stimola a crescere, a suonare meglio. Sono il tipo di persona che ha sempre bisogno di stimoli nuovi e di gente che me li sappia dare. Quando suono con questa band e sento che siamo tutti sulla stessa lunghezza d’onda mi emoziono parecchio. Non c’è davvero sensazione migliore.

Nei Megadeth i chitarristi di grande talento non sono mai mancati, anzi, sembra che l’asticella venga alzata continuamente. Teemu, cosa significa per te far parte di questa band?
Teemu Mäntysaari: Finora è stata un’esperienza travolgente. Sono un fan da parecchi anni e conoscevo già abbastanza bene il materiale e gli stili dei diversi chitarristi che mi hanno preceduto, ma mettermi a lavorare sui dettagli, a imparare la scaletta dei concerti alla perfezione, è stato molto divertente, oltre che una grande responsabilità. Alcuni di questi brani li avevo già suonati in passato, ma chiaramente non a questo livello. Certo, avrei voluto avere più tempo per processare il tutto, invece ho dovuto imparare tanto materiale in pochissimo tempo, prima a orecchio, come sono abituato a fare, e poi guardando diversi video su YouTube, per cercare di capire quello che sarebbe avvenuto su quel palco. Devo dire però che Dave mi ha aiutato molto.

D’altronde è stato lo stesso Kiko a fare il tuo nome. Ci sono novità rispetto alla sua improvvisa fuoriuscita dalla band?
Dave: Kiko ha avuto dei problemi personali e non spetta a me dire di cosa si tratta. Se vuoi approfondire dovresti contattare lui e vedere se ha voglia di parlarne. Noi non lo faremo. Teemu ci è stato appunto suggerito da Kiko, avevamo delle date da portare a termine e lui aveva già familiarità con i nostri brani. Possiede anche una grande etica di lavoro. Tutti loro la possiedono. Molte band fanno l’errore di reclutare degli amici invece che i musicisti più adatti per quel ruolo. Immagina se noi avessimo soltanto un buon bassista e non il grandissimo bassista che è James LoMenzo. Se io avessi timore nel dirgli «ehi, amico, è ora che tu te ne vada perchè dobbiamo assumere James LoMenzo», sarei fottuto. Lui sarebbe fottuto. La band sarebbe fottuta.

Qualche anno fa hai scritto una canzone dal testo molto provocatorio, Post American World, che in un certo senso mette in guardia sulle potenziali conseguenze di un’America meno influente sul piano internazionale. Credi che quelle parole siano ancora attuali?
Dave: Senza dubbio. Sono più attuali che mai. Basta avere delle basilari nozioni di storia, finanza e politica per rendersi conto di cosa stia accadendo. Ci sarà un gigantesco reset delle valute internazionali. I banchieri vogliono eliminare la classe media e le persone come me, che cercano di sensibilizzare la gente a certe tematiche, vengono continuamente attaccate. C’è sempre qualcuno che, nel momento in cui apro bocca, va su qualche sito a scrivere che dico cazzate e che dovrei tenere la bocca chiusa. Molta gente si indigna per quello che diciamo, ma va bene così, perché se piacessimo a tutti vorrebbe dire che staremmo sbagliando qualcosa.

Foto: Enzo Mazzeo

Quella di oggi è l’ultima data di un lungo tour che vi ha visti esibirvi, come al solito, sui palchi di mezzo mondo. Vi divertite ancora a viaggiare continuamente, condividere gli spazi, partecipare a festival come questo?
Dave: I festival no, non mi piacciono.
Dirk Verbeuren: Viaggiare è parte di quello che facciamo, e non potrebbe essere altrimenti. A volte preferiremmo essere a casa, perché passiamo davvero tantissimo tempo on the road, ma in generale cerchiamo di considerarne i lati positivi. Ecco perché ogni sera saliamo sul palco e diamo tutto quello che abbiamo, perché altrimenti che senso avrebbe tutto questo viaggiare? Il segreto sta proprio nel cercare di dare un senso a ogni cosa. I Megadeth sono sempre stati una band molto determinata, fin dal principio. Una band con una precisa visione. E mi piace pensare che anche noi siamo qui oggi a proseguire in questa missione.

Nel periodo post-pandemia, molte band hanno dovuto affrontare problemi crescenti nell’organizzazione dei tour, tanto è vero che ne sono stati cancellati parecchi. Voi avete avuto problemi del genere?
James LoMenzo: Viaggiare per il mondo è diventata un’esperienza orribile, anche al nostro livello. A volte ci capita di dover cercare un bus, o un camion per trasportare la strumentazione. E non è facile. Certe cose che prima davamo per scontate sono diventate gradualmente sempre più difficili. Ecco perché, per proseguire il discorso che faceva Dirk, abbiamo fatto gruppo intorno alla band, cerchiamo di passare il tempo insieme in modo da darci manforte ed essere il più costruttivi possibile. Il punto d’arrivo è quel palco e credo che la gente se ne accorga. I genitori portano ai concerti i loro bambini, che a un certo punto diventeranno nostri fan. Insomma, vuol dire che qualcosa di buono l’abbiamo fatto (ride)!

Una band dalla carriera lunga e prestigiosa come i Megadeth ha chiaramente un arsenale di classici che non può fare a meno di riproporre nei live. È però altrettanto vero che ogni nuovo disco potrebbe avere al suo interno brani di altrettanto valore, delle potenziali hit che qualche anno fa avrebbero magari trovato lo stesso spazio delle varie Countdown to Extinction, Hangar 18 o Holy Wars e che invece è già tanto se verranno mai suonate dal vivo. Non è frustrante questa cosa?
Dave: Hai centrato il punto. Lo è. Molto. Devo però dire una cosa: da quando Kiko ci ha comunicato che non sarebbe stato in grado di finire il tour e Teemu è venuto ad aiutarci, abbiamo gradualmente inserito in scaletta brani che con Kiko non avevamo mai suonato prima o avevamo suonato poco. È stato un processo organico, molto naturale, ci siamo trovati a suonare con una persona nuova e quindi abbiamo cambiato un po’ anche la scaletta. Ogni giorno provavamo un nuovo brano di catalogo e presto ci siamo trovati a suonarne una decina, poi 12, poi 13. Se oggi non fosse l’ultima data del tour probabilmente ne staremmo provando qualcun altro.

Come vi rapportate con la questione dell’intelligenza artificiale, di cui si discute sempre più anche in ambito musicale? Quanto ci vorrà affinché un computer sarà in grado di scrivere un perfetto brano dei Megadeth?
Dave: Vuoi sapere cosa ne penso io? Che si tratta di una moda passeggera, destinata a venir messa da parte. La regolamenteranno, la svilupperanno, ma presto l’intelligenza artificiale diventerà soltanto un’altra app. Noi, dal canto nostro, continueremo a scrivere musica originale, perché nel momento in cui esisterà, appunto, musica dei Megadeth creata con l’intelligenza artificiale, faremo vedere che la musica dei Megadeth scritta da Dave Mustaine è una cosa completamente diversa.

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