Egreen: «Non voglio più essere l’antieroe del rap» | Rolling Stone Italia
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Egreen: «Non voglio più essere l’antieroe del rap»

Preferisce pensarsi come «padre». Ad esempio dei rapper giovani ai quali «non frega un cazzo di apparire» e che vuole aiutare «perché non facciano le cazzate che ho fatto io». L'intervista

Egreen: «Non voglio più essere l’antieroe del rap»

Egreen

Foto: Stefano Iannuso

In questi ultimi tre anni Egreen sembrava aver toccato il fondo. Il primo album con una major (Fine primo tempo), andato così così anche a causa del Covid, il viaggio in Colombia ad assistere la madre malata, la fine della relazione sentimentale più importante, la bancarotta. Poi l’uscita di Nicolás, l’album iper-autobiografico, e di nuovo i concerti in giro per vari club italiani.

Oggi lo incontriamo per parlare di Bellissimo, il nuovo album pieno di omaggi rap – da Kaos a Esa, fino a Quentin Miller (ex ghostwriter di Drake) – e di citazioni cinematografiche (Ghost Dog e City of God). «Un album perfino troppo personale come Nicolás non lo farò mai più. Essere stato a lungo da solo in Colombia mi ha aiutato a raccontare sensazioni che non avevo mai espresso in altri dischi. Le sfighe, la lontananza dalla persona con cui ho avuto la relazione più importante della mia vita. Ogni cosa ha contribuito alla gestazione di quel progetto. Bellissimo invece nasce in modo completamente diverso. Io chiuso in casa, qui in Italia, la settimana di Natale 2022. Non ho parenti a Milano e ho cercato di evitare perfino gli amici…».

In La stessa dici: “La fame è la stessa”. Come sei riuscito ad alimentare la tua “fame”, nonostante le “botte prese”?
La fame rimane la stessa quando ti rendi conto che perdendo e subendo sconfitte, rimani ancora in piedi. Per forza di cose non sei appagato e non puoi mai rilassarti un attimo. Ho la stessa fame di dieci anni fa, ma ora sono anche un po’ più maturo. Nella gestazione del disco mi sono accorto che non c’era più tutto quel drive post adolescenziale che avevo anni fa. Provavo però ancora la stessa identica incazzatura di allora. Anzi, anche adesso sono proprio incazzato nero…

In Nicolás ipotizzavi perfino di smettere di rappare. Ci hai pensato seriamente?
Quando ero in Colombia assolutamente sì. Non sapevo quando sarei tornato, non avevo ancora nemmeno i soldi per il biglietto aereo di ritorno. Ero con mia madre e lei non stava bene. Lì mi sono detto: qui devi capire cosa fare da grande, è arrivato il momento di farlo e pure in fretta.

Se avessi davvero smesso di rappare, cosa avresti fatto?
Prima ancora di tornare a Milano ho mandato in giro il mio curriculum a un sacco di aziende. Conoscere le lingue forse poteva darmi un lavoro. Nella mia vita passata avevo fatto un sacco di lavori, dal muratore al gommista, fino al funzionario per una multinazionale tedesca. La mia fortuna è stata riuscire a tornare a Milano e poter ricostruire la mia vita da artista. Realizzare un album e poi promuoverlo. Il 2022 è stato un anno di assestamento molto doloroso. Adesso ho qualche certezza in più.

Bellissimo si apre con l’intro I Owe Him, che riprende e campiona un monologo di Forrest Whitaker in Ghost Dog di Jim Jarmusch.
Quel monologo struggente di Ghost Dog l’ho rivisto e riascoltato dopo tanti anni e mi ci sono rispecchiato. I Owe Him parla dell’essere debitori, fin dal titolo. Io sono debitore a Kaos (rapper e produttore musicale, tra i pionieri del rap italiano, nda), che viene omaggiato nell’album. Facciamo entrambi parte di diverse tribù antiche, però siamo quasi estinti. I nuovi rapper, lasciamo stare…

Come avete lavorato tu e Sick Budd alle sonorità dell’album?
Gli ho dato semplicemente alcuni riferimenti di pezzi iconici di Kaos come Fino alla fine dall’album Fastidio. Lui poi ha trovato i suoni e i beat. Si è creata una collaborazione viva e costante.

Uno dei pezzi più potenti è Fallito, in cui dici “Sto coi falliti che fanno crollare i miti”. Com’è nato il pezzo?
Dal 2015 al 2019, non ho mai smesso di fare il rapper, ma in quei quattro anni ho visto che la parabola della mia carriera era sempre più in declino. Il colpo di grazia è arrivato con il Covid. Quando i nodi di questi ultimi quattro anni sono venuti al pettine, con un fallimento dietro l’altro, tutto è andato a puttane.

Poi?
La “fenice” risorta dalle ceneri del disastro è stato il disco Nicolás. Con la presa di coscienza in un pezzo come Fallito mi permetto di dire che non voglio più giocare a fare l’antieroe, non voglio più fare il nemico.

Nella tua ultima intervista a Rolling parlavi anche del fallimento economico.
Non ho mai avuto una preparazione economica e fiscale. Quando ho fatturato diversi soldi per via della burocrazia con la major non avevo chiari alcuni meccanismi su quanto avrei dovuto mettere da parte. Per molti anni quando entrava 1, io spendevo 3. Così mi sono ritrovato sul groppone svariate migliaia di euro di debiti. Questa è la grande favola dei rapper.

Spesso anche dei rapper americani.
Se vai negli Stati Uniti con il loro sistema di tassazione, trovi tanti rapper che hanno problemi con le tasse. Io non avevo buchi di centinaia di migliaia di euro, ma avevo comunque debiti che mi hanno fatto fallire. Ero in bancarotta. È stato tosto venirne fuori, ma ci sono riuscito.

Sempre in Fallito parli di uno “scenario a dir poco inguardabile”. C’è qualcosa che ti dà speranza per il futuro della scena rap?
Mi fa ben sperare vedere che, dopo tanti anni, ci sono ragazzi giovani ai quali non frega un cazzo dell’apparire. Ragazzi che vogliono solo rappare. Lo sanno fare bene e sono affezionati alle sonorità dalle quali provengo anch’io. Sto lavorando per aprire un’etichetta indipendente e pubblicare alcuni di loro.

Cos’altro puoi dirmi dell’etichetta?
Abbiamo in mente un nome, che richiama un gruppo storico hardcore romano, e un logo che però non posso ancora rivelare. Il logo l’ha fatto un writer milanese, un carissimo amico. Voglio aprire una realtà veramente indipendente, basandomi sui modelli di business americani di fine anni ’90 tipo Rawkus Records, Tommy Boy, la Def Jam degli inizi…

Hai già dei giovani rapper da lanciare?
Ho adocchiato diversi rapper davvero bravi. Questa è la prima volta nella mia vita da artista che non sento competizione o invidia, sentimenti dominanti nel rap, ma solo voglia di fare bene insieme. Ovviamente non punto a fare un vivaio da mandare a Sanremo.

Ma se li invitassero o ti invitassero andresti a Sanremo?
Certo che sì, anche se improbabile. Comunque, mai stato un cazzo di snob.

Che cosa vorresti per questi rapper?
Vorrei riuscire a dare loro voce e spazio. Sono artisti di talento che fanno un certo tipo di rap, sono dei mini Egreen. Anzi no, questa definizione mi pare troppo egoriferita e sminuente nei loro confronti. Intendo giovani rapper che come me fanno old school rap. Per questi ragazzi vorrei essere la figura di riferimento che io non ho mai avuto.

Ovvero?
Sono cresciuto praticamente senza un padre. L’ho perso presto, a 14 anni. Ho sempre avuto la mancanza di un vero mentore anche nella musica. Ho dovuto fare quasi tutto da solo. Voglio che questi ragazzi possano avere una figura che dia loro consigli, perché non facciano le cazzate che ho fatto io.

Cosa farai per il decennale de Il cuore e la fame?
L’anniversario esatto cadrebbe a maggio. Non è però esattamente un disco estivo. All’epoca eravamo tutti un po’ acerbi e facevamo uscire i dischi alla cazzo. Abbiamo deciso perciò di posporre il lancio a settembre. Ci sarà un remaster del vinile e del CD con tracce bonus, un digipack nuovo con altre grafiche realizzate per l’occasione. Infine, un tour commemorativo con un ospite speciale.

Quell’album ha rivelato la tua scrittura. Come lavori sui tuoi testi e alle tue rime?
Pochissima rielaborazione. Sempre tutto il giorno a pensare a un verso. Bellissimo, in particolare, l’ho scritto al 70% nella settimana di Natale, solo con me stesso. Per esempio, la prima barra che ho fatto per la title track “’sta roba non è nata per far balletti in cassa dritta” si rifà semplicemente sempre alla figura di Kaos. Il leit motiv di Bellissimo non è il disco Fastidio di Kaos, quanto piuttosto il fastidio che Kaos provava verso qualsiasi cosa di esterno e diverso dalla sua visione alla disciplina.

Parla di una precisa generazione di rapper.
Sì, quella rima parla di me e di tutti quelli della mia generazione del rap, i nati tra l’83 e l’89. Siamo la generazione che ci ha “rimesso” di più, schiacciati fra due cicli storici dell’hip hop italiano. Siamo arrivati poco dopo la golden age in cui Neffa con Aspettando il sole vinceva il disco d’oro, i Sottotono andavano in giro in limousine e gli Articolo 31 andavano a fare il loro video a New York. Noi siamo arrivati subito dopo, in un periodo in cui non c’era più niente economicamente. Poi nel 2006 sono arrivati i primi contratti delle major. Della nostra generazione di “perdenti” pochissimi sono rimasti a galla.

Eric B. & Rakim in Paid in Full dicevano: “Carta e penna, uno stereo o una cassetta o…”. Pensi sia ancora vero?
Penso sia ancora vero. Forse è però sempre più difficile per un ragazzo che fa rap oggi identificarsi in un concetto del genere. Io scrivo ancora con carta e penna.

Carta e penna ovunque, anche sull’autobus, tipo Eminem in 8 Mile?
Quasi. Molti di noi hanno letteralmente spalato e mangiato merda prima di riuscire ad avere uno stipendio da metalmeccanico con la musica. Io ero quello che saltava la pausa pranzo perché sapevo di dover chiudere un pezzo, spesso sul furgone di lavoro. Varie cose mie de Il cuore e la fame e di Bricks & Hammers sono nate così. Ma non sono l’unico che avuto quel tipo di esperienze.

Per esempio?
Molti anni fa ero in Piemonte. Facevo il tuttofare per un’azienda di forniture industriali nel Varesotto. Arrivo al mattino dal cliente, appoggio i materiali, alzo lo sguardo e vedo… Ensi. All’epoca faceva il consulente tecnico per macchine taglio laser. Eravamo già amici da diversi anni. Quelli della nostra generazione hanno fatto di tutto, prima di riuscire a campare di musica.

Nel singolo Il mondo, uscito poco prima di Bellissimo, hai campionato L’oro del mondo di Al Bano.
Abbiamo potuto utilizzare il campione grazie a Oyez, l’editore. Al Bano ha sentito il singolo e l’ha approvato. Il suo ok era fondamentale. Il procedimento per liberare un campione è sempre complicato. Pare gli sia piaciuto.

Cosa c’è in questo momento nella tua playlist?
In questi giorni c’è pochissimo rap. Ascolto molto Piero Ciampi, gli Smiths, i Bull Brigade e Colombre. Ah, fino a pochi giorni fa c’è stato Bellissimo di Egreen (ride). Non mi piace ascoltarmi e non lo faccio mai. Ma dovevo imparare bene l’album a memoria per il primo live di Milano.

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