Edda, la coscienza incosciente del rock | Rolling Stone Italia
Profanatore di luoghi comuni

Edda, la coscienza incosciente del rock

«Faccio di tutto per essere scanzonato, ma la vita è una tragedia greca». Intervista alla vigilia dell’uscita di ‘Messe sporche’: il rock a 62 anni, i testi strambi, i drammi, la fede, la famiglia, i Ritmo Tribale

Edda, la coscienza incosciente del rock

Edda

Foto: Andrea Caracciolo

Messe sporche è un disco che sanguina, ride (amaramente), bestemmia e prega nello stesso tempo. Un nuovo capitolo di una vita che non si è mai ripetuta, dove la musica non è nostalgia, è sopravvivenza. Dopo l’intimismo di Illusion, Edda torna con un album (che uscirà domani solo in formato fisico, a parte due singoli sulle piattaforme) con un suono carnale, pieno di chitarre, citazioni tra l’alto e il basso e ironia. Nove tracce che tengono insieme sacro e triviale, fede e corpo, vecchiaia e giovinezza. E non si può ascoltare distrattamente, visto che ti arriva addosso come un pugno o una carezza. Perché, come direbbe lui: «Sta mano po’ esse fero o po’ esse piuma. Oggi è stata rock».

A 62 anni Stefano Rampoldi, dopo averne passate di tutti i colori (come ci spiegava qui), ci ha raccontato di sentirsi comunque un giovanotto: «Noi sessantenni ci chiamiamo ragazzi», dice ridendo, «l’anima è di un sedicenne, anche se il corpo non è più come prima». In Messe sporche, invece, l’anima è di un profanatore di luoghi comuni: «Non volevo farlo, ma Luca Bossi mi ha costretto. È accaduto il miracolo». Ne emerge l’Edda più viscerale, “biblico” e sfrontato: quello che canta “Fedez non è Hegel” (Belisotta), che in Family Day prende a schiaffi il moralismo cattolico («ma la famiglia è importante») e in Ezechiele chiede solo «qualcosa che mi difenda». Dietro la provocazione, però, resta la spiritualità: «Mi hanno detto che è una coperta di Linus. Sarà una difesa, solo che per me è meglio averla». In Macchia, l’ultimo brano, sfoggia un acuto clamoroso e riecheggiano i Ritmo Tribale, ma il passato è un cassetto per il momento chiuso: «Tornare nell’identico modo sarebbe anacronistico». Poi abbassa la voce: «Faccio di tutto per essere scanzonato, ma per me la vita è una tragedia greca».

Per il momento non ci resta che accontentarci del nuovo disco, la sua messa laica in onore dei sopravvissuti. E lui, ancora una volta, nei panni dell’officiante scandaloso ma necessario.

Edda già dal primo pezzo, La Diavoletto, volevi dimostrare in questo disco che si può fare rock anche a 60 anni?
Ho 62 anni e ricordo che quando ne avevo 20 guardavo ai sessantenni come a persone molto vecchie. Invece, ti assicuro, oggi non mi sento vecchio. Non lo dico con orgoglio, al massimo sono rincoglionito. Ma ti assicuro che i sessantenni, tra loro, si chiamiamo tutti ragazzi. Perché dentro, te ne accorgerai, nonostante il corpo non sia più giovane, l’anima rimane di un sedicenne. Insomma, sta mano po’ esse fero o po’ esse piuma. Oggi è stata rock!

La musica aiuta a fermare, o almeno a rallentare, il tempo?
La musica è un mondo infinito. Anche per questo mi sono rimesso a studiarla, anche se faccio ridere i polli, compresi i miei musicisti. Non arrivi mai alla fine. E quello che hai, se non suoni per due mesi lo perdi. Tanto che, a un certo punto, ti viene voglia di mollare. Però è meglio continuare a farla e continuando a farla, forse, è davvero un ottimo anti-aging. Andrés Segovia da anziano sicuramente suonava meglio di come suonava da ragazzo, no?

In questo album sembri fare a pezzi la società attuale, per poi ricomporne a piacimento i brandelli, tra gioie e dolori, sangue e trash, spiritualità e bestemmie.
Ogni volta che qualcuno ascolta un disco ci vede e sente quello che ci vuole vedere e sentire. Perché, onestamente, so soltanto di aver fatto un disco rock. Sono nove tracce, tra le quali una ballata e un pezzo lento, mentre gli altri sette brani sono veloci. Era quello che volevo, con il linguaggio che sento più vicino a quella che è la mia sensibilità, e forse è l’unico che sono sicuro di riuscire a fare. Per quanto riguardo i testi bisognerebbe, prima o poi, sfatare un mito.

Cioè?
Che i miei testi non vogliono dire assolutamente niente.

Hai scritto pensieri a cavallo tra la filosofia e la psicoanalisi. Da “Fedez non è Hegel” (Belisotta) a “Per fare un tradimento ci vuole un sentimento” (Dixan).
Non è un patchwork, ma l’esigenza di trovare delle parole o delle frasi che possano stare bene dentro una melodia. E che possa cantare il tutto in italiano. Siccome, oltre a cantare, ho una bella fantasia, probabilmente escono bene. Ma non mi sono mai messo a tavolino a scrivere il testo di una canzone. Al massimo parto da una frase, e poi da quella si sviluppa il resto.

Ti consideri un cantautore?
Lo dicono, però credo di giocare meglio a bocce. Considero la parola è un suono, più che un significato. Visto che è difficile scrivere un testo per me. Non sono completamente un deficiente, un po’ di spessore umano penso di averlo, ma il tutto è espresso in modo istintivo. Quindi è vero che i testi riflettono delle mie emozioni e dei miei vissuti. E a volte ci becco.

Un po’ come la tua voce, che utilizzi come uno strumento musicale.
Sono convinto che si tratti del primo strumento musicale. Anzi, tutti gli altri strumenti sono nati dal tentativo di imitare o estendere le sue possibilità. Non è un pensiero mio, se non ricordo male lo sosteneva già Demetrio Stratos. Si parte da quello che si ha e si va avanti.

Che musica ascolti oggi?
Non ascolto più musica dalla fine degli anni ’90, a parte quelli più noti per rimanere aggiornato. Fabri Fibra, Ghali e Madame li ho ascoltati, ma il genere che facevamo noi non lo fa più nessuno. Ci sono stati i Måneskin, solo che ora Damiano David si è spostato sul pop.

Torno al passo “Fedez non è Hegel” in Belisotta, perché oggi lo definirebbero un dissing. Ma non penso che sia stato questo il tuo intento. O sbaglio?
Ma figurati, Fedez è un ragazzo che fa musica, l’influencer, l’imprenditore, fa tante cose, è anche uno che ha problemi e soffre. Lo conosco perché è famoso. Il verso non è per sminuirlo, perché Hegel – sono convinto – non capiva nemmeno lui ciò che sosteneva. Intanto citarlo vuol dire che per me esiste ed è importante, a suo modo. E poi, considerandolo intelligente, non credo si prenda totalmente sul serio. Per cui non è un dissing, una critica o una provocazione, ma proprio uno di quei momenti in cui devo incastrare la parola giusta.

Insomma, è entrato nel tuo flusso di coscienza.
Molto flusso e poca coscienza. Viene fuori una coscienza molto incosciente. Non sono certamente un intellettuale o un filosofo, sono uno che cerca un testo e gli ho fatto un tributo.

Neanche tu ti prendi troppo sul serio, però in questo disco citi anche parabole bibliche, come in Ezechiele: “Prima di uscire da sotto terra voglio qualcosa che mi difenda”.
Beh, oltre alla musica la mia grande passione è la religione, da sempre. Non voglio dire quale nello specifico e perché ho cambiato, ma ci ho investito tanto nella ricerca della spiritualità.

Se ricordo bene eri un devoto di Hare Krishna.
Non più, sono andato oltre. La mia compagna mi critica molto su questo aspetto della mia vita ed è motivo di diverse discussioni, ma se non avessi questa fede non sarei quello che sono adesso. Ce l’ho da quando ho compiuto 19 anni e non l’ho mai mollata, nonostante non sia più un tossico, un pontista, un cantante di band di successo come i Ritmo Tribale. È cambiato quasi tutto intorno a me, mentre invece dentro mantengo quella spiritualità che mi continua a influenzare, forse anche nel male e se non la avessi sarei persino una persona migliore, soltanto che fa parte del mio percorso umano e non ci posso fare niente.

Infatti il disco si intitola Messe sporche, ma con un secondo significato meno ascetico.
Ovviamente non penso di essere un santo. Mi affaccio alla spiritualità perché senza sarei diventato quello che non avrei voluto mai diventare. Ho un fratello gemello che è un uomo in carriera, che non voglio criticare, non mi reputo migliore né di lui, né di nessun altro. Cerco soltanto di essere la versione migliore di me stesso, usiamo questa definizione trita e ritrita, ma non sono mai riuscito a togliermi di dosso questa presenza spirituale. Mi hanno detto che è la mia coperta di Linus, che è anche vero, sarà una difesa, solo che per me è meglio averla. Guardala meglio la foto del disco, ho scoperto che il titolo può avere un altro significato interessante (la foto ritrae delle mutandine indossate da una donna, nda)

Spiritualità e ironia salvano quando la ragione non riesce a dare risposte?
Sì, proprio così. Come ti ho raccontato in passato, non ho avuto un’esistenza facile. E la vita in generale, quella di tutti, non è uno scherzo. Viviamo oggi in momenti ancora molto difficili. Ho visto mio padre, mia madre e mia sorella morire. Prima o poi morirò anch’io. Non sono cose allegre di cui parlare, ma la fede mi permette di guardare a questi momenti come a dei passaggi e, grazie a Dio, devo dire che non ho paura di morire. Anzi, spero che andrò a stare meglio. Se invece è stata tutta una cazzata, vabbè, io ce l’ho messa tutta.

“La vita la dimentico, comico quello che è tragico”. Un concetto quasi pirandelliano della maschera del comico tragico.
In fondo, se osserviamo bene, ci si mette un secondo a morire. Un secondo prima eri vivo, il secondo dopo sei morto. È un click. Per cui è molto importante la forma mentis con la quale ci arrivi. Ci vuole una preparazione a certi passaggi. La vita materiale non è un ostacolo, è come la trama di un vestito, se la segui prima o poi da qualche parte ti porta. Un po’ come la scommessa di Pascal: «Se vincete, guadagnate tutto; se perdete, non perdete nulla».

Altra istituzione che prendi in esame criticamente è la famiglia, nel pezzo Family day: “Il piacere che mi hai dato punitivo, come un angelo fissato e cattivo più del sale”.
La famiglia è importante, nel bene e nel male. Non sono riuscito a crearmene una, sono finito con la mia compagna nella sua di famiglia, anche se non ho fatto esattamente quello che si aspettava che facessi compiendo molti sbagli, però è un tema ricorrente del mio inconscio. La mia era una famiglia normale, da Champions League, quelle che vedo in giro oggi lottano per la zona retrocessione. Questo istituto, così criticato, è la base di tutto e sono i nostri genitori che ci educano, i nostri padri e le nostre madri. Non si può pensare che qualcos’altro possa sostituirla, neanche la scuola. Quando la famiglia è malata è un grave handicap per la società.

La fede, la famiglia, una proposta di legge lanciata in Dixan (“foto obbligatoria degli organi genitali” al posto del viso sulla carta d’identità, nda). Non è che ti stai riposizionando all’interno della nuova “egemonia culturale” conservatrice?
Dici che sono pronto per candidarmi con Fratelli d’Italia? No no, io vengo dalla sinistra. Però certe cose non si possono negare. Tutti nasciamo grazie a un padre e una madre, per cui la famiglia è importante. E deve poggiare su valori altrettanto importanti. Ognuno sceglie i propri, ma qualche valore ci deve pur essere. Mio padre, per esempio, mi ha fatto diventare interista… A parte gli scherzi, l’onestà, l’umanità, la fratellanza, sono tutti valori che qualcuno ti deve trasferire. Ma se i genitori non si amano, rischiano di fare gravi danni ai figli.

C’è chi considera la band una famiglia, tu invece il gruppo l’hai lasciato, in modo traumatico, a un passo dal grande successo. Il figliol prodigo tornerà mai a casa?
Ultimamente ho visto il podcast di Fabrizio (Rioda, chitarrista dei Ritmo Tribale e fondatore del Jungle Sound, ndr), che è molto bello. Sono contento che abbia la capacità di realizzare questa rubrica online, la chiamo così perché ormai sono vecchio. Comunque, a me non piace parlare del passato, mentre del futuro non so nulla. Posso solo parlare del presente e non ci sono grandi novità tra noi.

Nell’ultima puntata di Milano sogna ti citava: “Se non avessi cominciato a suonare con Edda in cameretta e al liceo oggi non saremmo qui”. Ma la ferita è ancora aperta?
Ma no, non credo. Siamo in buoni rapporti. Io voglio bene a tutti quelli della band.

Te le chiedo perché siamo nell’epoca del revival, con reunion che ormai vengono annunciate quasi ogni mese e in particolare di realtà che si erano affermate negli anni ’90 come, guarda caso, i Ritmo Tribale.
La nostra generazione è cresciuta dentro un alveo musicale pazzesco. Veniamo dagli anni ’70 i cui riferimenti erano i Beatles, i Rolling Stones e i Led Zeppelin. Quella è la musica che ascoltavamo. Persino quella italiana, per quanto bistrattata, era incredibile. Basta citare Lucio Battisti. Siamo cresciuti in una famiglia musicale di prima classe. Poi, magari, non siamo riusciti a raggiungere quelle vette, però si sentiva che i riferimenti erano buoni. Mi sembra giusto che anche la musica degli anni ’90 venga riproposta, non sarà mai fuori moda.

Durante la presentazione del disco, a Germi a Milano, in sala più di qualcuno, sottovoce, bisbigliava: «Se tornassero insieme…».
Lo so, ma si potrebbe anche fare. Questo disco, Messe sporche, è molto rock, per cui può richiamare l’atteggiamento musicale dei Ritmo Tribale. Quella però era, in tutto e per tutto, una musica legata alla nostra energia giovanile. E forse oggi tornare nell’identico modo sarebbe piuttosto anacronistico. Ma è vero che i nostri cuori sono sempre giovani, come ti dicevo prima, e io urlo ancora come un’aquila. Chissà, nella vita è difficile fare programmi. 

Prima di entrare a Germi ti ho visto con lo sguardo rapito dal ponteggio nel palazzo qui di fronte. Almeno puoi dire per certo che a quel lavoro non ci tornerai più?
Non è detto, ma ero rapito dalla zona. Quando ho visto i ponteggi, che ho installato per anni, ho rivisto il mio tentativo di reinserimento nella società. Anche perché ha rappresentato la mia prima busta paga a 40 anni. E c’è il palazzo a fianco dove ho abitato, poco più avanti il Sert che ho frequentato e in questa via una mia ex fidanzata mi ha beccato a spasso con il cane e l’amante e poi mi ha buttato fuori di casa. Per cui è la Milano che ho frequentato fino ai 30 anni. Ora è diversa. Se vuoi starci devi essere giovane, forte e se sei ricco è meglio.

Come vedi oggi il futuro?
Faccio di tutto per essere scanzonato e allegro, ma per me la vita è una tragedia. Non certo un parco di divertimenti. Sono contento se qualcuno non la pensa come me, anzi meglio. Spero un giorno di essere anch’io tra coloro che apprezzano la vita, ma, purtroppo, il povero Stefano ti deve ribadire che il futuro, almeno il suo, lo vede come una tragedia greca.

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