Rolling Stone Italia

E chi l’ammazza Chrissie Hynde?

La cantante dei Pretenders è una tosta. Fermarla è impossibile. A 68 anni ha scritto un disco bello intenso, 'Hate for Sale'. Quando parla la retorica sta a zero. «Gli artisti pensano di guarire la gente. Che presuntuosi»

Foto: Matt Holyoak

È un venerdì sera di metà maggio. A quest’ora, Chrissie Hynde doveva essere in tour per l’America in supporto all’ultimo album dei Pretenders Hate for Sale. E invece è bloccata nel suo appartamento di Londra e canta Standing in the Doorway di Bob Dylan al telefono. Ad ascoltarla c’è il chitarrista della band. I due parlano di un progetto di cover a cui lavorano da tempo. Il coronavirus avrà anche scompigliato i suoi piani, ma Hynde non lo dà a vedere. «Vivo da sola e non ho animali, quindi ho tutto il tempo per prendermela con calma», dice. «Mi sembra di essere tornata ai miei 15 anni: zero responsabilità, niente pressione. Dipingo e suono».

Negli ultimi mesi Hynde, che di anni ne ha 68, ha ripreso i contatti col fratello-sassofonista Terry, che vive in Ohio,e parla spesso al telefono con le figlie, che dopo essere cresciute ad Akron vivono anche loro in Inghilterra, la terra adottiva degli Hynde (nonostante abbia passato mezzo secolo oltreoceano, Hynde ha ancora il tipico accento dell’Ohio, anche se chiama il calcio “football” e gli amici “mates”, da vera inglese). Da tempo vegetariana e ambientalista, è felice che il lockdown significhi anche meno smog e più animali liberi nel mondo. «Dove si firma per eliminare aerei e auto?». Durante la quarantena ha scritto un paio di canzoni, ma generalmente lavora solo se costretta. «Sono pigra», dice. «Sono brava a cazzeggiare».

Nel corso degli ultimi quattro decenni, Hynde ha sviluppato un atteggiamento imperturbabile di fronte alle avversità. La sua forza l’ha aiutata a sopravvivere nell’ambiente rock anni ’70 dominato da uomini, a superare le overdose che hanno ucciso due compagni di band all’inizio della carriera dei Pretenders, a crescere i figli al picco del successo. Oggi non sembra affatto cambiata. A volte, questo atteggiamento del tipo non-me-ne-frega-un-cazzo diventa predominante. «Ma no, certo che mi preoccupo delle cose», protesta. «Una volta qualcuno mi ha detto che la definizione di disordine è quando qualcosa che ti preoccupa inizia a interferire con la tua vita quotidiana. Non voglio che succeda». Quando le spiego che il mio era una specie di complimento, ride e si scusa. «Sono una persona sensibile», dice.

La leggenda del tennis John McEnroe, amico di Hynde dai primi anni ’80, è convinto che a parte Janis Joplin, la cantante dei Pretenders sia «la più grande rockstar di sempre». Hynde ha usato una delle sue tirate a Wimbledon – “You guys are pits of the world!” – in Pack It Up, una canzone di Pretenders II, e ogni volta che suonano a New York lo invita sul palco. Gli ha persino fatto suonare la chitarra sul suo album solista Stockholm.

McEnroe ha osservato da vicino il suo carisma parecchie volte. A metà anni ’90, l’ha accompagnata a vedere Jeff Buckley in un piccolo locale di Londra. «Dopo il concerto», racconta il tennista, «si sono incontrati e Jeff ha detto di essere un grandissimo fan di Chrissie, di conoscere tutte le tue canzoni. Lei l’ha invitato a suonare assieme. Ho portato il suo amplificatore in studio e Jeff sapeva tutte le parti, tutte le note di tutte le canzoni dei Pretenders. Questa cosa l’ha motivata parecchio, ne sono certo. A volte hai bisogno che qualcuno ti ricordi quanto sei rispettato».

Hynde ha lavorato duramente per conquistare questo rispetto e non c’è riuscita subito. Da adolescente, si sentiva perduta. Come ha raccontato nella biografia Reckless, era una studentessa mediocre senza alcuna ambizione al di là del disegno. Si è innamorata del rock’n’roll e andava di nascosto ai concerti con gli amici – ha dato il primo vero bacio a Jackie Wilson, sollevata sul palco da un uomo della sicurezza –, ma non pensava affatto a una carriera nella musica. Quando con un amico ha iniziato a frequentare Rod Stewart e Ron Wood, era ancora troppo ingenua per realizzare che volevano solo sesso (le rockstar, alla fine, ci hanno rinunciato).

Ha studiato alla Kent State, era lì quando la Guardia Nazionale ha aperto il fuoco sugli studenti nel 1970. Ma a differenza di Joe Walsh o dei Devo, che si sono immersi nella musica per superare il dramma, all’epoca Hynde era ancora una dilettante. E si sentiva ancora perduta.

Quando le chiedo cosa pensa dei fatti della Kent State dopo 50 anni, dice che è decisamente più interessata alla violenza che c’è oggi nelle scuole. «Alla Kent State sono morte quattro persone e 19 sono rimaste ferite», dice. «Adesso c’è una sparatoria in un liceo ogni settimana. Mi fa pensare a come siamo finiti male in così poco tempo. Cinquant’anni sono un periodo molto breve per la storia dell’uomo. È un battito di ciglia, e ora c’è gente per strada armata fino ai denti che chiede di tornare al lavoro. È il segno dei tempi».

Dopo aver mollato la Kent State, Hynde ha passato il resto degli anni ’70 in giro per il mondo. Ha vissuto in Inghilterra, Francia, Messico e in vari Stati americani prima di trovare la sua vera vocazione. Ha passato anni ai margini del mondo della musica, scrivendo recensioni su NME e lavorando nel negozio di Vivienne Westwood che ha lanciato i Sex Pistols. Nonostante avesse studiato chitarra classica da ragazzina, ha sentito di essere una chitarrista solo a 25 anni, quando viveva a Londra.

Al college aveva suonato con alcuni dei futuri membri dei Devo, ma non avevano combinato granché e lo stesso è successo a Londra, dove provava con i musicisti che avrebbero formato i Clash e i Damned. Era così vicina ai Sex Pistols che sia Johnny Rotten che Sid Vicious si sono offerti di sposarla per farla diventare cittadina britannica, ma alla fine nessuno dei due è andato fino in fondo.

È stato un altro amico della scena punk, Lemmy Kilmister dei Motörhead, a gettarle un salvagente nel 1978, quando le ha consigliato di incontrare l’uomo che sarebbe diventato il primo batterista dei Pretenders. Kilmister era un po’ il suo modello. «Lemmy non è mai cambiato», dice Hynde. «Per me era la quintessenza di quel che il rock rappresenta. Il modo in cui pensava, il modo in cui vestiva, gli stivali da cowboy, le ore passate incollato alla slot machine, che lui chiamava “la macchina della frutta” o “il bandito con un solo braccio”, le ragazze strambe che si portava dietro. Lemmy è stato così fino all’ultimo. Senza di lui i Pretenders non esisterebbero».

Il batterista scelto da Kilmster era Gas Wild, un tipo con un nome improbabile che non ha suonato a lungo con Hynde, ma che l’ha aiutata ad assemblare la prima formazione dei Pretenders. C’erano il bassista Pete Farndon, il chitarrista James Honeyman-Scott – un musicista che non si riteneva mai più importante delle canzoni di Hynde –, e alla fine anche il rimpiazzo di Wild, Martin Chambers. Gli arrangiamenti del gruppo erano intelligenti: le chitarre tintinnanti di Honeyman-Scott, insieme alla ritmica vigorosa di Farndon e Chambers, erano l’allestimento perfetto per lo stile di Hynde, e le hanno consentito di diventare una delle cantanti più dinamiche del rock.

Il gruppo ha conquistato la Top 40 britannica al primo colpo con Stop Your Sobbing, una cover di un pezzo minore dei Kinks accompagnata da un’originale di Hynde, The Wait. L’album di debutto, invece, è arrivato al primo posto in classifica grazie ai singoli Brass in Pocket e Kid.

I Pretenders originali sono durati solo un altro album e un EP. La dipendenza da eroina di Farndon e la sua inaffidabilità sul palco hanno costretto il gruppo a licenziarlo nel 1982, e due giorni dopo Honeyman-Scott è morto per un infarto causato dalla cocaina. Poco più di un anno dopo, anche Farndon è morto di overdose, questa volta per eroina. A quel punto, Hynde e Chambers erano gli unici membri della band rimasti in vita. Per il decennio successivo vari musicisti sono entrati e usciti dalla formazione. È stata Hynde a guidarla hit dopo hit dimostrando un’incredibile forza d’animo e altrettanta vulnerabilità: Don’t Get Me Wrong, Middle of the Road, I’ll Stand By You. «Pete e James erano morti, ma la nostra musica non doveva morire», dice. «So che suona stucchevole, ma era così che mi sentivo».

Nel frattempo, la determinazione di Hynde ha spianato la strada a un successo ancora maggiore ottenuto grazie soprattutto ai numerosi passaggi su MTV, e questo significava più attenzione verso la sua vita privata – la storia con Ray Davies dei Kinks, con cui non si è mai sposata, ma da cui ha avuto la prima figlia, e il matrimonio con Jim Kerr dei Simple Minds da cui ha avuto la seconda (hanno divorziato nel 1990) – ma anche una piattaforma per parlare delle cose in cui credeva.

Hynde è diventata vegetariana a 18 anni e ha sfruttato il suo successo per aiutare la PETA e la causa animalista. Nel 2000 è stata arrestata insieme ad altre tre persone per aver distrutto mille dollari di quelli che consideravano “abiti di pelle per il mercato nero” in un negozio Gap a New York, ma il caso è stato archiviato con la promessa di stare lontana dai guai per sei mesi. Quattro anni dopo ha guidato una manifestazione contro KFC in Francia (Natalie Hynde, la figlia che ha avuto da Davies, segue le orme della madre: nel 2013 è stata arrestata per essersi incollata alla trivella di un sito di fracking).

Oggi, dice, «non voglio parlare di politica, soprattutto di quella americana», ma è convinta cha la gente sia «ipnotizzata» dall’atteggiamento strafottente del presidente verso il cambiamento climatico. Detto questo, le piace il fatto che le sue battaglie sono diventate popolari fra i giovani di tutto il mondo, dagli studenti che protestano per la strage a Parkland a quelli che puntano il dito contro gli allevamenti industriali. Nel 2009 ha scritto la prefazione di un libro, Cows and Earth: A Story of Kinder Daisy Farming, che combina l’amore per il vegetarianismo e un allevamento più compassionevole con la sua fede Hindu.

«Finalmente la gente sta affrontando la realtà», dice dell’agricoltura biologica. «Gli ambientalisti dicono da 40 anni le stesse cose che dice oggi Greta Thunberg. Finalmente abbiamo capito. Il messaggio è passato grazie a questa ragazzina svedese. A volte serve solo aspettare. Ho imparato che bisogna attendere, ma non smettere di fare ciò in cui si crede».

Chrissie Hynde sul palco nel 1984. Foto: Paul Natkin/Getty Images

Andare sempre avanti è diventato il mantra di Hynde, l’unica costante lungo tutta la storia dei Pretenders. Delusa dal modo di suonare di Chambers, a metà degli anni ’80 l’ha licenziato e ha portato avanti la band da sola. «Mi hanno chiesto mille volte se i Pretenders sono io o se è una band», dice. «Posso solo dire che non sono una solista. Ho avuto lo stesso ruolo in tutte le band in cui ho suonato: aiutare il chitarrista a raggiungere l’obiettivo. Gira tutto intorno alla chitarra».

Hynde ha riallacciato i rapporti con Chambers a metà anni ’90. Nel quarto di secolo che il batterista ha passato nella band i due sono sempre stati vicini, ma in quel periodo Chambers non ha suonato in due album. Nel 2018 ha scritto sul suo blog che lui e Hynde passavano il tempo sul tour bus a guardare DVD insieme, da soli. «C’è stato un lungo periodo in cui io e lui non abbiamo lavorato insieme ed è allora che ho capito», racconta. «Avevo bisogno di capire che cosa potevo fare da sola. Dovevo cambiare tutto. È difficile spiegare perché l’ho allontanato – forse ha a che fare con un trauma – perché voglio davvero bene a Martin. È un batterista fantastico. Dal vivo è il mio preferito. Non abbiamo mai litigato».

«Non conosco band che sono andate avanti 40 anni con la stessa lineup e hanno prodotto dischi nuovi sempre interessanti», continua. «Avevamo già cacciato Pete dopo due album. A volte devi cambiare. È la vita. Non so perché, non so spiegarlo. E non posso spiegare alcune decisioni che ho preso. È come quando guardi come sei vestita in una vecchia foto degli anni ’70 e pensi: ma che cosa avevo in testa? Per la mia carriera vale lo stesso. Ogni tanto mi guardo indietro e mi chiedo: ma cosa mi era venuto in mente?».

Hate for Sale è il primo album dei Pretenders con Chambers dal 2002, e il primo a includere il resto della band da Break Up the Concrete (2008). Da allora, tutto quello che ha fatto Hynde era una questione personale, incluso l’LP dei Pretenders del 2016, Alone. La cantante dice che non ha mai voluto mollare la band. «Ci sono problemi logistici», spiega. «Non ho uno studio, quindi vado dov’è il mio produttore. Volevo fare questo disco da 15 anni».

Paragonato a Valve Bone Woe, il disco solista soft dell’anno scorso, Hate for Sale è un pugno allo stomaco, un album di pezzi rock che parlano di allibratori, tossici e di piangere in pubblico. Il merito è in parte del chitarrista James Walbourne, che è entrato nel gruppo nel 2008 dopo che Chambers l’ha visto suonare in un pub locale. «Per me è il chitarrista definitivo», dice Hynde. Hanno collaborato a tutte le tracce di Hate for Sale.

Nonostante Valve Bone Woe sia un disco bello e raffinato – è stato completato nell’arco di un decennio, e più, intervallato da diversi dischi dei Pretenders –, i due autori volevano scrivere musica più urgente. «Tutte le canzoni devono avere carattere, sia le ballate che i pezzi punk-rock», dice Walbourne. «Abbiamo cercato di fare tutto spontaneamente, di non perdere la durezza degli arrangiamenti. Non volevamo scrivere musica zuccherosa o molle».

Hanno iniziato a lavorare al disco quando Walbourne ha proposto una canzone intitolata You Can’t Hurt a Fool, che hanno costruito sulla base di un arrangiamento romantico da power ballad. Hynde, però, non vuole spiegare più a fondo la nascita del pezzo. «Parlare di scrittura mi inquieta», dice. La maggior parte delle canzoni del disco sono grezze e dirette – solo un pezzo dura più di tre minuti e mezzo –, più rock di gran parte delle vecchie hit dei Pretenders. Hynde dice che Hate for Sale le ricorda i Damned, mentre Walbourne sostiene che il riff viscido di Junkie Walk fa pensare al garage rock.

Quando l’album era quasi finito, Hynde l’ha mandato a McEnroe per avere il suo parere. «Ha chiuso il cerchio», dice. «Suona canzoni veloci e che vanno subito al punto. Credo che i giovani musicisti dovrebbero sentire questo disco».

Ora che il tour è stato cancellato, Hynde vuole tornare alle radici e allontanarsi dai cavalli di battaglia della band. «Vorrei organizzare dei concerti alternativi e andare in tour con qualcuno come Mark Lanegan», dice. «Vorrei un pubblico per cui suonare i pezzi più oscuri dei Pretenders, cose che non hanno mai sentito e a cui non reagiscono andando al bar a prendere da bere».

I concerti con il distanziamento sociale non le interessano («dove vorreste organizzarli, negli hangar di un aeroporto?»), così come le canzoni motivazionali. «Gli artisti pensano di poter guarire la gente, che la loro musica sia importante? Che presuntuosi». E sul futuro dice: «Chi lo sa? Se resteremo in isolamento per altri cinque anni potrei fare uno striptease su Zoom. In giro c’è gente disperata».

Iscriviti